Un piccolo gioiellino italiano per il suono blues nudo e crudo, il Dreamaker 02_20R mette in gioco un bel po’ di suoni in pochi watt.
Molto si definiscono come dei “gioielli” determinati oggetti che hanno una particolare resa in uno o più ambiti di utilizzo, indipendentemente che si parli di strumenti musicali o meno, tutti con in comune il fatto di non passare inosservati.
Nel corso degli anni, abbiamo visto tantissimi strumenti che fanno parte di fasce costruttive elevate, con una minuziosa cura nei dettagli e un apporto estetico ricercato, per essere riconoscibili anche all’occhio e non solo all’orecchio.
Oggi ti parlo di uno di questi, italiano, il Dreamaker 02_20R, una testata monocanale da 20W valvolare, dotata di tre valvole 12AX7 e una 12AT7 nel preamplificatore e due 6V6 nella sezione finale.
Questa testata viene costruita da Marco Ferrari nel veronese, il processo costruttivo è totalmente “umano” e fatto da lui stesso, dalla realizzazione al test prima della spedizione al cliente.
Possiamo dire che l’amplificatore comunica una forte dose di classe, una scelta di forme morbide, nessun colore troppo aggressivo, un buon gioco cromatico tra i materiali utilizzati fino anche sulle manopole.
La mezzaluna sulla plancia comandi è senza alcun dubbio un tocco particolare rispetto a tante altre produzioni che ho visto, è una differenza estetica notevole perchè non gioca su una trasparenza dello chassis per far mostrare le valvole.
Pochi elementi ma tutti strutturalmente ben bilanciati, che però non fanno parte solo del lato estetico, ma anche della dotazione: questo amplificatore strizza parecchio l’occhio a un mondo vintage, soprattutto per chi è amante del blues sound degli anni ’60 e ’70, e rimane ben delineato su questa impronta con la serie di controlli:
- Volume
- Treble
- Bass
- Middle
- Reverb
Oltre a questi, su questo preciso esemplare – viene fornito come optional – è presente un ulteriore switch che si potrebbe associare a un “Tight”, o comunque a un taglio di equalizzazione che permette due tipologie di suono:
- Posizione in basso – Il suono diventa più esile, ma più a fuoco sulle medie e medio-alte, però senza risultare estremamente secco, permette di avere più “aria” nella timbrica generale e un suono più brioso.
- Posizione in alto – Abbiamo un suono con basse e medie più “in faccia”, la timbrica generale ne guadagna in termini di spessore.
Per quanto riguarda il pannello posteriore, abbiamo le classiche uscite cassa (con impedenza selezionabile) che permettono di collegare due cabinet da 4 a 16 Ohm.
La mancanza di un master volume, in questo preciso contesto, sarebbe difficile da annoverare come un difetto, molti amplificatori vintage (Fender in primis, citando uno dei nomi più altisonanti) sono stati costruiti senza questo controllo.
Questi amplificatori nascono per meglio utilizzare l’headroom e per dare spazio alla dinamica comandata dal musicista, un controllo di master volume è solitamente più utile quando invece hai un amplificatore che vuoi tirare molto per il collo, con relativa saturazione spinta, ma senza un volume improponibile anche per un palco di medie dimensioni.
Il timbro finale di questa testata fa parte di un mondo associabile al sound dei vecchi Fender Blackface, con però una serie di differenze.
La prima e più importante è un’incredibile definizione anche a volumi molto alti, evitando che determinate frequenze possano risultare estremamente presenti. Un esempio molto comune è quello del Bassman, su cui alzando il volume sei costretto ad abbassare il controllo delle basse frequenze, mentre nel nostro caso portando il volume del finale a “regime” (ovvero quella che sarebbe la soglia dove il finale comincia a far sentire il suo contributo armonico) non ho trovato la necessità di dover effettuare correzioni di equalizzazione.
La soglia di “edge”, nel mio caso, è stata portando l’amplificatore verso 6/7 di volume, per via anche dei magneti utilizzati e del tocco della persona che suona (e nel mio caso, il mio tocco è molto lieve).
Il suono non è effettivamente “sporco”, rimane molto intelligibile nonostante l’impronta vintage (un esempio simile era avvenuto con la Skill di Mezzabarba, ma ha un carattere di fondo totalmente diverso).
Questo suono intelligibile è ovviamente la migliore delle condizioni possibili quando si decide di abbinare dei pedali al proprio suono, perché abbiamo effettivamente un foglio bianco su cui possiamo giocare chirurgicamente con tutto il nostro rig, cambia la percezione del vostro strumento, dei vostri pickup, dei vostri pedali.
Un discorso a parte va fatto per il riverbero: quello a molle in un amplificatore di solito può essere controproducente, perché puoi passare dal non sentirlo a trovarti la chitarra totalmente divorata dall’effetto.
Il riverbero di questa testata, invece, è il giusto compromesso, ha un bel calore, una coda molto gradevole che mi ha fatto personalmente tornare il piacere di usarlo, dà il giusto spazio al nostro suono e anche se decidiamo di andare su con il potenziometro, il suono della chitarra non viene mai smarrito.
Per quanto riguarda un arco temporale di riferimento, come detto sopra, è un suono che ricalca molto gli anni ’60 e ’70, quando si suonava con chitarra cavo e amplificatore, ma un discorso a parte va fatto per il suo comportamento con i pedali, infatti è uno dei pregi di questo amplificatore, oltre alla sua dinamica e alla costruzione handmade.
Abbiamo quindi dato sfogo al nostro arsenale di pedali, e abbiamo utilizzato:
- Ibanez TS9
- LAA Custom PhilX
- Masotti OD Box
- Boss DS1 Ultra Keeley
- Eventide Timefactor in modalità ‘Tape Echo’
- Korg SDD 3000 con il suo algoritmo ‘SDD 3000’
- Chorus clone CE2 vintage
Abbiamo collegato i pedali in gruppi di tre o massimo quattro pedali, mantenendo un rig che comprendesse due pedali di preamplificazione, un pedale di modulazione e infine un pedale di ritardo.
I risultati sono stati molto buoni, confrontandoli con un piccolo combo con un pulito estremamente “freddo” ma dallo stesso wattaggio del Dreamaker, ho potuto riscoprire molte sfumature degli overdrive e dei ritardi, i risultati sono stati tutti molto “a fuoco”.
Questo risultato ero riuscito a ottenerlo solo con una combo di amplificatore e PhilX utilizzando il trasformatore come “filtro”, però il mio margine di lavoro con questa accoppiata è molto stretto, mentre utilizzando il Dreamaker ho riscontrato molte più possibilità timbriche.
Con alcuni pedali che spingono molto sul regime delle basse e medio-basse frequenze, potrebbe non piacere se si predilige il taglio di frequenze con lo switch verso l’alto, però si riesce a correggere il tiro aggiustando l’equalizzazione dall’amplificatore.
Con l’SDD 3000 ha avuto un comportamento che non mi aspettavo, perché mi ha permesso di sfruttare pesantemente il preamplificatore del delay (il Korg ha un suo preamp dedicato) dando spessore in più senza però risultare “dirty”, una piacevole scoperta perché permette di rendere ancora più evidente il suono della macchina e di poter ottenere il meglio dalle sfumature dell’equalizzazione presente sulla stessa.
Con l’Eventide si è trovato particolarmente a suo agio, con l’algoritmo di tape echo non è semplicissimo trovare amplificatori che vadino d’accordo al primo colpo (molto spesso infatti si è costretti ad agire sulla manopola del filter) ma anche con l’algoritmo del vintage delay, che è particolarmente medioso, risultato perfetto per questo amplificatore.
Stesso risultato è avvenuto con il chorus basato sul ce2 storico della Boss, ho preferito un utilizzo non troppo spinto per il chorus con il depth a metà e il rate a ore dieci, il suono è risultato molto incisivo e aperto.
Il risultato sonoro ha particolarmente soddisfatto le mie necessità di blues-rocker (Cream, Clapton, ZZ-Top, Led Zeppelin, ecc.), perché mi ha dato un ottimo foglio bianco su cui poter costruire tutti i miei suoni, ci si riesce a spingere fino al rock abbastanza spinto ma non mi azzarderei oltre, perché rischierei di snaturare il timbro originale dell’amplificatore.
Possiamo quindi definire lo 02_20R come un ampli estremamente minimale nella progettazione, nei controlli e per certi versi anche nelle forme, per mantenere il tutto quanto più semplice e qualitativamente alto possibile, eliminando il superfluo, senza aggiungere optional che avrebbero potuto compromettere questa filosofia costruttiva.
Ciò permette di ottenere un prodotto visivamente di classe dal sound immediato e dall’utilizzo semplice e alla portata di tutti, che può esprimere il meglio di sé abbinato a casse con coni Greenback o Creamback.
Lo street price si aggira sulle 1500 euro, un prezzo leggermente verso il basso se paragonato ad altri amplificatori della fascia “boutique” e con costruzione totalmente artigianale, che in molti casi si aggirano tra i 1700 e i 2200 (Carr Amplifiers Mercury V o il Divided by 13 SJT 10/20), quindi possiamo definire il prezzo più che adeguato per avere un amplificatore di questa caratura.
Maggiori informazioni sul sito Dreamaker
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