Siamo felici di pubblicare un articolo, diviso in due puntate, a proposito di uno dei miti della liuteria elettrica, una Fender Stratocaster cosiddetta “pre-CBS”, analizzata nel dettaglio (e nel suono) da Luca Villani, stimato professionista che da anni si occupa di approfondimenti su varie testate giornalistiche del settore, oltre a dare voce alle nostre amate sei corde con la sua ben nota produzione di pickup. Questa prima parte analizzerà lo strumento e il mondo che ruota attorno ad esso, nella seconda parte, in prossima uscita, ne ascolteremo il suono. Entrambe le puntate saranno accompagnate da un contributo video realizzato dallo stesso Luca.
Buona lettura musicoffili!
Due parole sul Vintage”Vintage” è un termine che risuona spesso e ci anima un po’ tutti, sia che ne vogliamo osannare o denigrare il culto, sia che sosteniamo che possa essere sinonimo di “migliore” oppure no.
Ci ritroviamo sovente a parlarne in relazione a chitarre e bassi e sebbene dal punto di vista etimologico la parola vorrebbe intendere qualcosa di prodotto almeno vent’anni prima del periodo corrente, questa descrizione mal si attaglia all’oggetto del nostro interesse. Essa si scontra, infatti, con la nota appartenenza degli strumenti a cicli produttivi ben databili, che per varie ragioni si sono chiusi storicamente ben più di vent’anni fa, lasciando il campo a generazioni successive caratterizzate da scelte produttive tese (o perlomeno valutate tali) a massimizzare i profitti a scapito della qualità. In particolare, i riferimenti temporali che definiscono storicamente il vintage per antonomasia, quello ritenuto di maggior valore collezionistico per i marchi Fender e Gibson, sono due: – il 1962/63, periodo nel quale la Gibson manda in pensione le vecchie Leesona 102, le bobinatrici meccaniche con le quali venivano avvolte le bobine dei pickup. Sostituendole con macchine più moderne, l’azienda ottimizza e standardizza maggiormente la produzione, ma fa perdere al contempo alcune caratteristiche ai trasduttori chiamati convenzionalmente “PAF”. Una vera e propria parentesi di crisi qualitativa dei prodotti arriva invece più tardi, alla fine dello stesso decennio – il 1965, anno nel quale avviene la cessione dell’azienda Fender Musical Instruments Corporation da parte del suo fondatore Leo. La grande compagnia Columbia Broadcasting System Inc. ne diviene proprietaria, creando di fatto la definizione “pre-CBS” per gli strumenti costruiti in precedenza. Il colosso imprenditoriale introduce scelte commerciali e costruttive più vantaggiose dal punto di vista dei costi allo scopo di aumentare i profitti L’appellativo vintage è oggi decisamente abusato, spesso associato a speculazioni nei confronti del semplice “usato”, utilizzato per identificare qualunque oggetto in vendita del quale si abbia interesse ad incrementare artificiosamente il valore o semplicemente impiegato dall’industria per connotare prodotti che richiamano a malapena l’estetica o qualche funzionalità tipica dei prodotti del passato. Il Vintage con la “V” maiuscola è invece fisiologicamente connesso al fenomeno del collezionismo ed all’esborso di ingenti somme di denaro, non fosse che per il fatto che se ne trova sempre meno e sempre più difficilmente in buono stato di conservazione, originale in ogni aspetto (cosa che interessa particolarmente il collezionista, più della funzionalità stessa dello strumento).
Tutto ciò non sempre va a braccetto con le possibilità economiche dei musicisti che alla musica dedicano la vita e nemmeno con la passione di tanti hobbisti, che raramente (sempre più raramente, dato l’andamento attuale delle quotazioni) possono permettersi di possedere uno strumento che meriti genuinamente questa connotazione. Comunque sia, accanto al vintage come oggetto da collezione o come status symbol, si è consolidata nel tempo anche la convinzione che gli strumenti d’epoca, in particolare quelli costruiti da Fender e Gibson, siano in grado di raggiungere prestazioni ineguagliate ed ineguagliabili dagli stessi strumenti costruiti in epoche più recenti, così da trasformarli in riferimenti assoluti da citare quanto a timbrica anche per chi di collezionismo non ne sa nulla, tacitamente accettati come tali dall’opinione dominante. Quanti di noi, in effetti, hanno modo di ascoltare, analizzare, prendere confidenza e mettere a confronto il suono di chitarre autenticamente d’epoca originali in ogni loro parte? Ricorrono spesso, nei nostri discorsi, riferimenti a caratteristiche sonore di certi modelli in funzione del loro periodo di produzione (il suono anni ’50, anni ’60, ecc), ma li citiamo come fossero “presets” di una tastiera elettronica e nella maggior parte dei casi li richiamiamo soltanto per sentito dire, in ragione di poco più che opinioni diffuse o supportate da sensazioni ricavate dall’ascolto di registrazioni d’epoca o di brani nei quali si suppone sia stato fatto uso di strumenti d’epoca. Questo genera confusione e fraintendimenti: ecco così, per citarne solo alcuni, che al suono delle strato “palettone” anni ’70 di Jimi Hendrix si sostituisce in studio quello proveniente per lo più da una Stratocaster del ’62, che Jimmy Page registrò il primo album dei Led Zeppelin prevalentemente con una Telecaster anziché con la sua proverbiale Les Paul del ’58 modificata, che il leggendario suono di SRV proveniva a volte, senza che nessuno ne facesse un caso, da ottime imitazioni Fender prodotte dalla nipponica Tokai della quale egli fu endorser, che il mitico suono Strato di Mark Knopfler viene spesso da chitarre non prettamente Fender, che il caratteristico suono Gibson di Pat Metheny proviene fin dai primi album indifferentemente sia da un prototipo Ibanez che dal PAF della sua celeberrima Gibson ES175 del ’58 e che l’imitatissimo e formidabile suono del solo di Another brick in the wall eseguito da David Gilmour è stato registrato con una Les Paul con i P90 anziché con la mitica “Black Strat”!! Fortunate circostanzeProprio a partire da queste considerazioni e dalla confusione che si genera sull’argomento, data la possibilità o per meglio dire la fortuna offertami occasionalmente dal mio lavoro di avere per qualche tempo strumenti “autenticamente vintage” a disposizione, ho pensato per una volta di documentare, come meglio posso e sempre attraverso il mio “filtro” personale, quel che rappresenta timbricamente uno di essi, mettendolo alla prova in situazioni normali, come quelle nelle quali ciascuno di noi potrebbe avere occasione di impiegarlo. Da ciò nasce questa documentazione filmata e suonata, che pubblico con l’autorizzazione dell’amico Claudio Cardelli che dello strumento è il legittimo proprietario ed al quale va il mio sentito ringraziamento e che riguarda una classica icona del vintage: la Fender Stratocaster del 1961.
In questo caso si tratta di un esemplare con hardware inusualmente dorato, al quale sono riuscito a rendere nuovamente funzionale, senza riavvolgerlo, il pickup centrale che risultava interrotto.
Questo intervento, che definirei di “microchirurgia chitarristica”, ha mantenuto intatta al 100% l’originalità dello strumento, che non presenta così alcuna modifica visibile di nessuna parte elettrica, meccanica o liuteristica, dal momento della sua costruzione ad oggi e che mi pare quindi candidato ideale per una documentazione del sound. La tastiera in palissandro di questa Strato (detta “slab-board” in ragione del suo profilo piatto di contatto con l’acero, di lì a poco trasformato in “curve-board” seguendo la raggiatura esterna) presenta alcuni dei primi tasti un po’ usurati, ma questo influisce poco sulla suonabilità: limitandomi ad alzare lievemente l’action e ad accettare qualche sferragliamento di corde in più nelle prime posizioni, per il resto lo strumento risulta perfettamente funzionale e molto comodo. Questa Strato ha suonato molto ed evidentemente ad opera di persone che non si sono fatte troppi scrupoli riguardo alla sua buona conservazione: ne è testimonianza evidente l’asportazione di gran parte della verniciatura del retro, dove l’acero del manico e l’ontano del body affiorano per buona parte della superficie, privi di protezione alcuna che non sia la patinatura naturale dovuta all’utilizzo ed allo strofinio contro abiti e pelle.
Vero è che la vernice nitro sia decisamente fragile e poco durevole, ma il vissuto di questo strumento risalta prepotentemente alla vista, rendendo anche le pesanti reliccature di certe linee di produzione odierne della casa madre quasi timidi interventi ad opera di una “mano leggera”!
Nessun problema di curvatura del manico, corretto e stabile, nè di tenuta dell’accordatura che non rientri nei normali parametri di una Stratocaster con ponte mobile a sei viti, capotasto in osso e meccaniche Kluson. Il peso è davvero leggero, segno che l’umidità residua del legno è evaporata negli anni in misura consistente, probabilmente anche a causa del fatto che la chitarra è invecchiata in ambienti abbastanza caldi e secchi. Le classiche micro-fratture della vernice nitro, dovute agli sbalzi di temperatura ed ai tanti cambi di stagione vissuti, si ritrovano in varie parti dello strumento, in particolare sul retro della paletta ed in alcune zone del body, che è invece disseminato di piccoli urti e graffi di ogni genere ed entità per tutta la sua superficie. Come spesso accade, il palissandro della tastiera ha assunto nel tempo un colore molto scuro, quasi fosse ebano ed appare consumato solo alla fine del manico, mentre è in buone condizioni su tutto il resto della tastiera.
Appena smontato lo strumento e rovesciato il battipenna per la riparazione del pickup, mi sono trovato di fronte a quel che si definisce a ragion veduta il “circuito originale” di una Strato del 1961: nemmeno una sola saldatura risultava infatti rifatta in tempi recenti, il che vi confesso ha caricato di una certa responsabilità il lavoro che avevo da fare e che fortunatamente si è concluso con il più augurabile dei risultati!…to be continued… Luca Villani
Link alla seconda parte dell’articolo
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