Veniamo a quel che più ci interessa, cioè al suono dello strumento, che una volta rimontato e regolato ho provveduto a sottoporre ad estensivo test. Questa signora seicorde di oltre cinquant’anni di età ha indubbiamente un fascino irresistibile ed è innegabile la soggezione che induce uno strumento di questo tipo e di questo valore economico.
Superata la timidezza iniziale ci si trova in mano una favolosa Strato, ma non particolarmente diversa da quel che ci si potrebbe aspettare da un esemplare indovinato dei giorni nostri, considerando ovviamente quelle di impostazione similare: risponde al tocco in modo dinamico ed espressivo e produce un suono appagante, corposo, pieno e brillante al tempo stesso.
Tali qualità sono oggettivamente fuori della portata di gran parte della produzione corrente di fascia bassa e media (per scelta dello stesso costruttore, imho) ma sono però riscontrabili nelle Custom Shop o in certe signature (mi viene in mente il modello John Mayer, che suona in maniera assai simile). Ottime qualità, dunque, ma nulla che debba far gridare al miracolo. A questo punto, vi starete chiedendo: ma una Stratocaster PRE-CBS non ha nulla di particolare? Vogliamo distruggere a tutti i costi un altro mito? Beh, la caratteristica sonora che rappresenta davvero il “plus” di questo strumento rispetto a gran parte delle Stratocaster recenti traspare con difficoltà da un sample audio, ma davvero esiste e si concretizza in una maggiore “complessità” della vibrazione della corda.
Tale fenomeno diventa percepibile più distintamente in un confronto serrato con una buona riedizione moderna, a parità di setup (cosa che ho ovviamente fatto, sfruttando ad esempio la “mia” reissue ’62). Per dirlo in altri termini, è come se nonostante il timbro assai simile (io stesso l’ho riprodotto molto fedelmente sulla mia reissue) la forma d’onda della strato più recente (pur equipaggiata, oltre che con pickups coerenti, con lo stesso tipo di legni, di hardware e di verniciatura nitro…) sia più scarna, più tendente ad una forma sinusoide semplice, mentre quella della ’61 resta più ricca di armoniche, più guarnita da componenti secondarie.
Non parliamo di differenze abissali, ma di un qualcosa di ben percepibile: la sensazione resta presente infatti in ogni situazione: nel suono pulito quanto in crunch, nella risposta dinamica, nell’attacco della nota in ogni parte della tastiera ed in tutte le combinazioni dei pickup.
E’ costante e garantisco che è molto gustosa, musicalmente parlando: un caratteristico “zzzing” sull’attacco della pennata (il cosiddetto “ring”), seguito da un inviluppo della nota articolato, ricco. Probabilmente è ciò che a volte viene descritto come il “riverbero naturale” delle vecchie Fender e non si tratta di una caratteristica peculiare di questa chitarra, in quanto mi è capitato di rilevarla anche in altre Fender d’epoca. Non voglio e non posso dire che “tutte” le Fender vintage posseggano questa stessa complessità sonora a prescindere, anche perché ritengo che in tutti i periodi di produzione vi siano stati esemplari più o meno riusciti e che di per sè il numero di serie non sia forzosamente sinonimo di qualità; non so nemmeno identificare la causa precisa alla quale imputare tale fenomeno (legni, hardware, pickup, ecc), ma sta di fatto che in produzioni post-CBS (anche di fine anni ’60) non sia mai riuscito a rilevarlo.
Finché non lo si sa ben identificare pare resti come in secondo piano, ma quando diventa presente all’orecchio e soprattutto quando poi non lo si ritrova su un altro strumento, fa sentire subito la sua mancanza. Se questo feeling sonoro possa rendere congruo l’esborso di svariate migliaia di euro necessario per una chitarra come questa è cosa che lascio giudicare ad ognuno di noi: di fatto, come già detto, il prezzo è determinato da canoni puramente collezionistici. Se sono però riuscito a comunicarvi almeno in parte questa particolarità sonora (i suoni sono sempre difficilissimi da descrivere a parole…) saprete almeno cosa andare a cercare di diverso se vi capiterà di provare una di queste mitiche chitarre. La parola… ai suoni! Vi propongo finalmente l’ascolto di alcuni samples nei quali la chitarra suona da sola, senza musica e la visione di due video, entrambi con basi musicali complete. I samples coprono varie zone della tastiera, dal I al XII tasto, perché man mano che si sale diminuisce di pari passo l’influenza sonora del manico, che lascia sempre più spazio alle sole caratteristiche dei pickups. Il selettore della ‘61 è naturalmente a tre sole posizioni (resterà tale in produzione fino al 1977!), ma spesso è stato da me forzato a cercare quelle intermedie, che mettono in parallelo il pickup centrale con quello al manico o al ponte, cosa che del resto facevano anche i chitarristi dell’epoca. Ho cercato di utilizzare per ogni posizione suoni appena crunch, in modo da evidenziare bene il timbro tipico dello strumento, ma allo stesso tempo anche la sua risposta dinamica alle diverse sollecitazioni di plettro e dita. Per non incorrere in problemi dovuti a differenze nelle condizioni di registrazione (visto che non sono riuscito a fare tutto di seguito e nello stesso giorno), ho utilizzato un setup molto semplice (amplificatore + delay+ riverbero) e del tutto virtuale, creato con una versione demo del software Guitar Rig che, pur restando funzionale per soli 30 min, è stato sufficiente per realizzare in modo ottimale le brevi clips necessarie!
Ovviamente ho provato prima ed a lungo lo strumento nel mio studio, con amplificatori “reali” di vario genere e posso garantire che il suo carattere reale esce fuori pienamente e nel modo più chiaro dalle registrazioni in ogni sua sfumatura. Colgo infine l’occasione per ringraziare nuovamente Claudio Cardelli per avermi messo a disposizione lo strumento, complimentandomi con lui per l’acquisto fatto! I complimenti al genio imprenditoriale e lungimirante di Leo Fender, ovviamente, sono scontati! Luca Villani
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