Nella fredda Norvegia Jørn Stubberud, Abbath e Varg Vikernes, avvolti in parecchi strati di appuntite borchie, si rivolteranno nelle loro camerette rigorosamente dipinte di nero alla notizia che il miglior disco Black Metal di quest’anno (anche se è un po’ limitante ingabbiarlo in un genere) non solo è di una band che viene dalla solare San Francisco e che si presenta con i capelli corti, sbarbata e senza borchie, ma, soprattutto, ha la copertina rosa.
Fortunatamente la particolare scelta cromatica (che non è gratuita, ma vuole riprodurre il colore che possiamo vedere all’interno delle nostre palpebre quando sono colpite dai raggi del sole), non è l’unica nota distintiva di “Sunbather” e dei Deafheaven, ma anzi non può fare altro che passare in sencondo piano davanti a un talento tutt’altro che comune e veramente sorprendente. Un talento che ha consentito alla giovanissima band statunitense di pubblicare in tre anni due album di qualità rara come “Roads to Judah” e quello di cui stiamo per parlare, Sunbather.
Alla base del lavoro c’è l’unione delle melodie carezzevoli del Post-rock e delle atmosfere nebulose dello Shoegaze con la tormentata frenesia del Black Metal. Una formula che tutto sommato non ci giunge nuova, ma che trova qui un suo equilibrio particolarmente piacevole.
L’alternanza e l’unione di sentimenti contrastanti sia a livello macroscopico (con l’avvicendarsi di brani lenti e possenti a intermezzi più brevi e scarni) che microscopico (ossia nei singoli brani, tra momenti più o meno oppresivi), fa di “Sunbather” un album ricco di tensioni dinamiche e con una travolgente forza emotiva.
È uniforme, viceversa, la qualità dei brani. Sono eccellenti quelli di lunga durata, tra cui sottolineamo “Dream House“, che apre l’album con una tempesta di sensazioni prima di trascinarsi epicamente, nella seconda parte, verso l’accettazione serena di una morte che “sembra un sogno” (“I’m dying. […] It’s like a dream.”) e soprattutto la titletrack, “Sunbather“, che inizia in maniera torrida prima di concedersi, precisamente a metà, una pausa, con il basso che crea magnificamente tensione e introduce il tema alla base di una seconda parte che man mano tenderà a sbocciare.
Tra i brani di intermezzo invece risaltano più la cristallina “Irresistible” e l’onirica “Please Remember“, che sembra una rappresentazione sonora dei momenti precedenti e successivi all’ultimo respiro (rappresentato, metaforicamente, da un rumore accecante che spezza la canzone), rispetto alla più vuota ma comunque suggestiva “Windows“.Nonostante molti brani superino i dieci muniti, il grande gusto nella costruzione e l’attenzione per i dettagli rendono l’album estremamente scorrevole.
Dal punto di vista strumentale e vocale le canzoni tendono a un movimento organico (sorretto da una batteria impressionante), ad eccezione di alcuni momenti più lenti in cui le chitarre prendono il sopravvento con un tono che ricorda gli Explosion In The Sky e l’uso del clean nei Baroness (“Vertigo“, “Irresistible“…). Lo scream di George Clarke si amalgama completamente con una componente strumentale che è comunque la vera protagonista; i brevi testi sono estremamente espressivi e carichi di immagini suggestive, anche se comprenderli con il solo ausilio delle orecchie è difficile persino per un madrelingua (la pronuncia più che oxfordiana è JacobBennoniana).
In conclusione “Sunbather” ci conferma principalmente due cose che alla fine ci erano già note: la prima è che non si giudica un album dalla copertina (e tanto meno dal colore della copertina), mentre la seconda è che i Deafheaven possono essere considerati una delle band più capaci a creare atmosfere complesse ed emotivamente coinvolgenti della musica estrema.
“Sunbather” è senza alcun dubbio uno degli album più interessanti di questo 2013.
Francesco CiceroGenere: Post-rock, Black MetalLine-up:
George Clarke
Kerry McCoy
Daniel Tracy
Tracklist:
1. Dream House
2. Irresistible
3. Sunbather
4. Please Remember
5. Vertigo
6. Windows
7. The Pecan Tree
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