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Dipinto di “blue”: George Gershwin

L'Europa è travolta da un grande cambiamento musicale: Strauss stravolge il pubblico con la sua acclamata "Salome" (1906), Schonberg apre le porte alla dodecafonia e all’atonalità con la "Sinfonia da Camera" (1907) e "Cinque Pezzi per Orchestra" (1909), seguito dai suoi più brillanti discepoli Alban Berg e Anton W

L’Europa è travolta da un grande cambiamento musicale: Strauss stravolge il pubblico con la sua acclamata “Salome” (1906), Schonberg apre le porte alla dodecafonia e all’atonalità con la “Sinfonia da Camera” (1907) e “Cinque Pezzi per Orchestra” (1909), seguito dai suoi più brillanti discepoli Alban Berg e Anton Webern. L’America osserva e si rende partecipe di questo evento (un “silenzioso” e invisibile Charles Ives scrive già nel 1906 pezzi come “Central Park in the Dark” e “The Unanswered Questions”) e tra le strade della grande metropoli di New York riecheggiano due nomi: jazz e https://www.musicoff.com/articolo/george-gershwin-popular-jazz George Gershwin.

Dipinto di "blue": George Gershwin

Chi era questo giovanissimo pianista? Cos’era questa musica così elegante e allo stesso tempo “selvaggia”? È forse questa la tanto agognata voce del popolo Americano? È forse questo il jazz? Certamente Gershwin non è stato il primo pianista a suonare questo genere musicale, sicuramente non si possiamo attribuire a lui l’invenzione, ma allora cosa è stato a consacrarlo a “pilastro” delle origini?

“Gershwin fu il fenomeno fondamentale della musica della prima parte dell XX secolo, l’uomo in cui tutte le tendenze discordanti dell’epoca si fusero in un dolce armonia” (1). Questa frase riesce a dare un risposta alle precedenti domande. Quel sincero ragazzo di Brooklyn sapeva bene come destreggiarsi nella nuova realtà musicale “tutta” Americana. La sua era una visione ampia che abbracciava il fervente business della musica, la travolgente era della macchina, il fuoco e la “serietà” della musica europea.

La fama acquisita con i musical non riusciva però a placare il profondo turbamento del suo animo. C’era un’aspirazione più grande in lui: conquistarsi un posto tra la schiera dei compositori definiti “seri” ed elevare il jazz stesso a musica “seria”. Non a caso tra i suoi beniamini musicali c’erano soprattutto i Maestri europei a lui contemporanei.Il suo primo tentativo di “serietà” fu la famosissima Rhapsody in Blue (1924). Paul Whiteman commissionò l’opera, in lui ardeva lo stesso desiderio di Gershwin: elevare il jazz a musica seria e portarlo nelle prestigiose sale da concerto.

La Premiere si tenne il 24 febbraio 1924 all’Aeolian Hall di New York, per l’occasione della direzione dell’orchestra si occupò lo stesso Wihteman, ed ovviamente al piano si esibì Gershwin.Chiunque dopo aver ascoltato l’incipit di quest’opera poteva facilmente intuire il successo che ne sarebbe seguito. Un agile clarinetto dopo le prime timide note inizia la sua ascesa al cielo grazie ad un incredibile glissando, aprendo così all’ascoltatore le porte del mondo di Gershwin, la frenesia della città, il rumore della strada, la maestosità dei grattaceli (nel film Disney “Fantasia 2000” è proprio la frenetica Manhattan a rappresentare la rapsodia di Gershwin). Al termine dell’esecuzione l’Aeolian Hall travolse Gershwin con una cascata di applausi assordanti e la sua fama compì un salto senza eguali.

Ma non tutti gioivano di quest’evento. Non tutte le voci si prestavano all’acclamazione, molti avevano da ridire di questo “presunto” miracolo. Autorevoli esponenti e rappresentanti della “musica colta” attaccarono la Rapsodia per la sua presunzione nel presentarsi come “musica seria” quando altro non era se non una musica selvaggia e frenetica. Simili critiche furono avanzate contro Gershwin stesso, accusandolo di aver preso il merito dell’orchestrazione che era in realtà opera di Ferde Grofè.

Ovviamente Gershwin rispose a queste critiche difendendo la nobiltà del jazz e senza negare la collaborazione con Grofè, di cui era amico.Ma la fazione “anti-Gershwin” sarà puntualmente presente anche alla prima esecuzione del “Concerto per piano in F” (1925), dove venne nuovamente attaccata l’autenticità dell’orchestrazione.

Gershwin non si fece trovare impreparato, rispose invece allegando addirittura la fotocopia di una pagina del manoscritto originale da lui scritto. Nonostante il successo di queste due opere, dentro il ragazzo di Brooklyn s’insidiò quell’insicurezza e quella paura di non essere all’altezza della situazione, paura che non lo lasciò mai e che segnò il resto della sua carriera, della sua vita e delle sue opere a venire.

La necessità di colmare quel vuoto che sentiva dentro di sé, portò Gershwin a viaggiare in Europa quattro anni dopo la prima della Rapsodia. Qui conobbe di persona i suoi eroi, ai quali chiese lezioni di piano e di composizione. Nacquero molte leggende sulle risposte che ricevette: quando chiese a Ravel delle lezioni di pianoforte, il collega francese gli rispose “perché vuole diventare un secondo Ravel, quando può essere un primissimo Gershwin?”.

Un altro curioso aneddoto nacque dopo la visita ad Alban Berg, in quest’occasione si può Gershwin venne invitato nella casa del compositore, il quale gli chiese di suonare la sua musica. Il pianista Americano mostrava una lampante insicurezza e timore quasi reverenziale nel dover suonare la sua musica davanti ad un compositore di tale calibro. Non la considerava all’altezza, inadeguata. Questa incertezza spinse lo stesso Berg ad incitarlo dicendo: “Signor Gershwin, la musica è musica”.

Nonostante il successo riscosso fra i colleghi europei, nel 1932 Gershwin decise d’intraprendere un corso di studi sotto la guida del compositore russo Joseph Schillinger, con il quale approfondì le tecniche di contrappunto, studi sulle dissonanze e l’uso della serie degli armonici naturali. Tutto ciò che apprese lo convogliò in quella che ancora oggi è considerata una delle sue opere più rappresentative, mature e riuscite: “Porgy and Bess” (1935).

Da molto tempo tra i progetti di Gershwin c’era quello di realizzare una “folk-opera”, unire l’eleganza dell’opera lirica di tradizione europea e l’immediatezza e potenza del folk americano. Trovò il soggetto adatto in Porgy, romanzo di DuBose Heyward, in cui vediamo Porgy, un mendicante zoppo, innamorarsi della bella Bess, la quale però è costretta fra le grinfie di Crown. Gershwin scelse questo racconto per via dei suoi momenti sia drammatici sia comici, diceva che gli permetteva di spaziare da momenti frenetici “da musical” a parti più liriche e riflessive. Nelle pagine musical di quest’opera Gershwin infuse tutto ciò che aveva appreso sotto la guida di Schillinger. “Summertime” (1935) spicca senza dubbio fra i pezzi più famosi di tutta la produzione Gershwiniana.

In questo brano possiamo individuare l’evidente influenza che Berg, e il suo Wozzeck, hanno avuto su Gershwin. L’atmosfera malinconica e sospesa, impiegata dal compositore Americano, riecheggia la ninna nanna cantata da Marie nell’Atto 1, scena 4, del Wozzeck. Quando Porgy and Bess fu presentata al pubblicò si scontrò contro un insuccesso commerciale inaspettato, nonostante le 124 repliche a Broadway. La critica fu feroce, attaccando soprattutto la “presunzione” di Gershwin nel voler far apparire Porgy and Bess come un’opera autenticamente nera.

Da questo lavoro possiamo percepire l’aspetto “di sintesi” della personalità di Gershwin. Oltre all’estrema versatilità improvvisativa, in lui era presente un efficente sistema di ricezione e rimodellazione estremamente efficente: come una spugna assorbe l’acqua, Gershwin riusciva ad assimilare tutto c’ho che gli interessava, rielaborandolo poi nel suo personale stile.

Un esempio utile potrebbe essere trovato anche in altre composizioni. Prendendo in esame le sue influenze pianistiche (Luckey Roberts, James P. Johnson, Willie “The Lion” Smith) dalle quali deriva l’uso del ragtime, il fast shout e lo stride piano, possiamo notare come nei suoi “Tre Preludi per pianoforte” (1926) riuscì a maneggiare il Blues in maniera completamente personale. Allo stesso modo nel “Preludio n.2” la melodia viene elegantemente “sporcata” di cromatismi grazie all’uso delle “blue-note”, l’accompagnamento ondeggia tra il modo maggiore e quelle minore, ma il tutto viene suonato senza il caratteristicoterzinato blues. Un perfetto esempio di “sbiancamento” delle tipiche caratteristiche di un genere musicale nero.

Dopo tante parole è giunto il momento di chiudere la porta su un personaggio unico per l’intero secolo musicale, ed ancor più per il continente americano, che trovò in George Gershwin uno dei primi esponenti capaci, seppur nel fuoco incrociato della critica, di portare alta la bandiera di una musica rivolta verso un’indipendenza stilistica che non fu però completo distacco dai grandi maestri del passato. Prepariamoci quindi per affrontare il prossimo capitolo di questo lungo viaggio, ci ritroviamo fra il prossimo mese sempre fra queste pagine!

Leonardo Di Stefano

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