Nel 1929 Iosif Stalin assunse il potere assoluto, prendeva quindi il via il periodo del terrore; il dittatore era uomo dai discreti gusti musicali, amava ascoltare la musica classica alla radio e si divertiva nel cantare “canzoni folk con una bella voce tenorile” (1).
Famose erano le sue frequenti visite al Palco A del teatro Bol’šoj di Mosca, dove sedeva nascosto dietro una piccola tenda per non dare nell’occhio. L’entrata di Stalin a teatro non era comunque evento capace di passare inosservato, instillando il terrore nei compositori in attesa del giudizio di Cesare.
Il dittatore controllava tutti i dischi pubblicati nell’Unione Sovietica, etichettandoli con telegrafici giudizi sulle copertine, ma la vera passione di Stalin erano le telefonate a sorpresa. Iosif era solito destare gli artisti nel cuore della notte, talvolta per complimentarsi, altre volte per comunicare con gelide modalità l’imminente capitolazione.
Nel gennaio del 1936 in colloquio nel Palco A in seguito alla messinscena de Il placido Don, Stalin aveva spiegato al compositore Ivan Dzeržinskij che l’opera sovietica doveva farsi emblema della grandezza dell’Unione, avvalendosi di tutte le tecniche musicali più moderne ma restando sempre fedele ad un linguaggio comprensibile alle masse.
Sul cammino verso una tale strumentalizzazione della musica, ma più generalmente dell’arte, al servizio della missione staliniana, si rese necessario stabilire delle regole che indicassero la via da percorrere. Ecco perché evento fondamentale nella vita culturale sovietica degli anni a venire fu il I° Congresso panrusso dell’Unione degli scrittori.
Convocato a Mosca nell’agosto del 1934, il Congresso decretò il principio del “realismo socialista” canone estetico da seguire. Per chiarezza di comprensione tentiamo di riassumerne i punti focali in un breve schema:
- condanna del pessimismo: (tipico dell’ideologia borghese) le opere dovevano infondere un nuovo ottimismo “rivoluzionario”;
- soggetti di estrazione quotidiana: le conquiste proletarie dovevano servire come bacino in cui pescare i soggetti delle nuove creazioni;
- servire all’edificazione socialista: gli scrittori sovietici vennero etichettati come “ingegneri di anime”;
- esaltazione nazionalista: l’opera d’arte deve ispirarsi ad un nuovo tipo di idealità “romantica” definita “romanticismo rivoluzionario”.
Qualsiasi opera presentasse elementi contrari al principio del “realismo socialista” era prontamente etichettata come “formalista” (nella peggiore accezione del termine), emarginata e velocemente ritirata dalla sua diffusione.
Assimilati i principi del “realismo socialista” tentiamo ora di capire, con una breve schematizzazione, come determinate regole siano state trasposte in ambito musicale:
- predilezione per i generi scenici: opera, balletto e musica per film;
- predilezione per i generi celebrativi: sinfonia;
- predilezione per la musica a programma: idonea alla trasmissione di un contenuto ideologico;
- rifiuto delle influenze borghesi: rifiuto di ogni modernismo, in particolare della dodecafonia considerata diabolus in musica.
Come in ambito letterario, anche in campo musicale ogni deviazione dal sentiero tracciato dal “realismo socialista” fu punita con la repressione, emarginazione e violenta censura. Esempio più emblematico dell’azione della censura fu un editoriale emanato nel 1936 dalla Pravda, organo ufficiale del Partito Comunista, in seguito alla rappresentazione di Lady Macbeth del distretto di Mcensk, opera del gigante della musica russa Dmitrij Šostakovič.
L’articolo fu intitolato Confusione anziché musica e rappresentava la condanna definitiva a Lady Macbeth, accusata di essere opera oscura e moralmente oscena. Il rischio corso da Šostakovič spaventò il compositore al punto da non riuscire mai più a scrollarsi di dosso tale sentimento.
I periodi in cui il partito irrigidì il lavoro della censura furono sostanzialmente due: quello delle grandi purghe staliniane (1936-1938), a cui seguì l’era di Ždanov. Quest’ultimo prese il nome da Andrej Aleksandrovič Ždanov, segretario del comitato centrale che, concordemente con il clima di guerra fredda, sferrò un pesante attacco anti-occidentale all’intero fronte culturale russo (1946-1948).
Il 10 novembre del 1948 una risoluzione del partito etichettò come formalisti alcuni fra i più importanti compositori sovietici, fra cui gli stessi Šostakovič e Prokof’ev.
Nel marzo del 1953 Iosif Stalin morì, aprendo così all’era di Chruščëv che, dopo i pesanti trascorsi, fu caratterizzata dal totale rifiuto e condanna del culto staliniano. È questo il periodo che viene comunemente conosciuto come “disgelo”. Il controllo del partito si allentò ed il dibattito venne riconosciuto come via culturalmente percorribile, ma soprattutto si aprirono nuovamente le porte alle influenze occidentali. Tale riapertura dell’Unione Sovietica all’occidente culminò nel 1962 con la visita dell’esule Stravinskij in URSS.
Il periodo del “disgelo” si può sicuramente leggere come un’allentarsi delle catene di costrizione sulla produzione musicale, ma ciò non pose fine al totale rifiuto delle nuove tecniche d’avanguardia occidentali quali la dodecafonia o la musica elettronica. Era comunque forte la necessità di concedere maggiore libertà espressiva, purché nei limiti della tradizione e del rispetto di un nuovo, e più elastico, canone di realismo socialista. La nuova era della musica sovietica si inaugurò con le dimissioni di Chruščëv nel 1964, cui succedettero Brežnev e Kosygin, rispettivamente primo segretario e primo ministro del Partito.
Il nuovo percorso culturale sovietico fu caratterizzato da un rinnovato inasprirsi del controllo: ogni interpretazione ideologica divergente da quella ufficiale fu etichettata come “dissenso”. L’attenzione nella scelta del termine “dissenso” fu molta, venne preferito a “contestazione” perché quest’ultima implicava un’azione politica diretta contro un’istituzione, termine attribuito alle forme di attività politica “alternativa” sorte nei paesi capitalistici occidentali verso la fine degli anni Sessanta. Il termine “dissenso” richiamava più un idea di scissione rispetto alla linea ufficiale.
Malgrado il totale rifiuto delle tecniche d’avanguardia occidentali, in seguito alla caduta di Stalin andò comunque formandosi un’avanguardia sovietica conosciuta e studiata poi anche in occidente. Le opere dell’avanguardia russa hanno trovato sfogo decisivo con l’apertura della perestrojka condotta dall’ultimo segretario generale del Partito dell’Unione Michail Gorbačëv.
Il 25 dicembre 1991 Gorbačëv annunciò le proprie dimissioni in un discorso televisivo, il sogno utopico dell’URSS si dissolveva definitivamente.
Cogliamo anche noi l’occasione per sospendere qui la nostra panoramica sull’evoluzione della produzione musicale nel ‘900 russo. L’appuntamento è al prossimo incontro per approfondire le forme musicali che caratterizzarono la musica sovietica.
Note:
(1) Alex Ross, L’arte della paura, la musica nella Russia di Stalin, Il Resto è Rumore, p.356, III edizione Tascabili Bompiani, Bergamo, 2013.
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