Le membrane vibranti sono il fondamento della tecnologia acustica, costituendo la spina dorsale di altoparlanti e microfoni (termine coniato da Sir Charles Wheatstone nel 1827); stavolta ripercorriamo brevemente la storia dei microfoni per parlare di una novità che gira da alcuni giorni ma raccontata in modo ameno da diverse fonti.
I primi trasduttori realizzati per trasformare l’energia acustica in energia elettrica furono i microfoni a carbone… e parliamo di poco più di un secolo fa, sia che si attribuisca al brevetto del Telettrofono di Meucci o all’inglese David Howard Hughes o agli statunitensi Emile Berliner o Thomas Alva Edison; questi microfoni, per il loro costo bassissimo, erano usati ancora negli anni ’70 nelle cornette telefoniche in quanto riproducevano bene la banda passante di allora, circa 300Hz-3500Hz!
Nella ricerca di una migliore qualità nel tempo sono stati realizzati diaframmi con altri materiali, quali l’alluminio usato per i primi microfoni a nastro, mentre i microfoni a condensatore devono la loro fortuna alle mitiche membrane in M7 realizzato da Georg Neumann e tuttora costruite dalla Microtech Gefell.
Negli ultimi anni per per i microfoni a nastro si usano anche nanomateriali, o mentre il titanio è usato per alcuni microfoni pregiati, ma il materiale principe è il mylar utilizzato nel 99% della produzione attuale (sia occidentale che orientale).
Allo stato attuale, il microfono con le migliori prestazioni è quello a condensatore le cui proprietà acustiche derivano principalmente dalla dimensione della membrana, il cui spessore ora è spesso ridotto a pochi µm (micron = millesimo di millimetro) dalla massa della superficie e dalla tensione statica realizzabile. Ma tutti i suddetti materiali mostrano limiti nella risposta in frequenza che sono tuttavia ritenuti accettabili per la maggior parte delle applicazioni, anche se tutte le volte che si supera la fatidica (e piuttosto numerologica) soglia dei 20kHz ascoltiamo una maggiore definizione dovuta alla risposta temporale… tema caro a David Blackmer del quale parleremo in un prossimo articolo.
Il grafene è un nuovissimo materiale che sicuramente, a parte le amenità di riviste “scientifiche” che ne decantano la capacità di captare frequenze addirittura oltre gli 11kHz (ossia secondo queste finora non avremmo mai ascoltato in nessun disco, incluso Dark Side of the Moon di oltre 40 anni fa, i piatti della batteria né le armoniche superiori del piano o del violino…), si rivelerà in grado di darci grandi soddisfazioni ed una ripresa decisamente più accurata.
Il grafene è valso il premio Nobel per la Fisica nel 2010 ai due fisici Andrej Gejm e Konstantin Novoselov dell’Università di Manchester e da allora si stanno facendo ricerche per le migliori applicazioni in tutti i campi con questo materiale che ha molte proprietà straordinarie: è circa 100 volte più resistente dell’acciaio con uno spessore ipotetico 3.35Å (1Å = 0,1nm o 0,0001µm!).
Ma ciò che interessa noi è che conduce efficientemente il calore e l’energia elettrica, quindi secondo una recente pubblicazione di Dejan Todorović, Aleksandar Matković, Marijana Milićević, Djordje Jovanović, Radoš Gajić, Iva Salom e Marko Spasenović basteranno 30 atomi di grafene per realizzare un microfono che avrà almeno 10dB in più di sensibilità (se le elettroniche la potranno supportare) e con una risposta in frequenza che salirà fino ad 1GHz… non per fare registrazioni per pipistrelli e giraffe, ma per darci quel dettaglio hic et nunc che manca alla ripresa microfonica attuale.
Sicuramente ne sentiremo delle belle!
Francesco Passarelli
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