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Il Metodo Dodecafonico: Dritter Teil

Il 9 dicembre del 1918 il Kaiser abdicò al trono e i leader socialdemocratici proclamarono la repubblica, quella di Weimar, fatta di caos, stabilità e stanziamento verso il nazismo. Un periodo di equilibrio si ebbe dal 1924 al 1929, grazie a Gustav Stresemann, cancelliere e ministro degli esteri, ma con la sua morte

Il 9 dicembre del 1918 il Kaiser abdicò al trono e i leader socialdemocratici proclamarono la repubblica, quella di Weimar, fatta di caos, stabilità e stanziamento verso il nazismo. Un periodo di equilibrio si ebbe dal 1924 al 1929, grazie a Gustav Stresemann, cancelliere e ministro degli esteri, ma con la sua morte Hitler salì in cattedra. Mentre la “stabilizzazione” musicale fu diretta da Leo Kestenberg, consigliere prussiano della Scienza, Cultura ed Educazione che puntava ad “un’arte per il popolo” senza coinvolgerlo davvero, mancava della capacità di placare la destra deplorante l’avanguardia: quell'”arte degenerata, giudaica e bolscevica” a detta di Hitler.

Diverse vie musicali s’irradiarono: da quella ‘d’uso’ (Gebrauchmusik: la funzione che la musica intende svolgere rispetto alle esigenze della società) alla Zeitoper (Opera d’Attualità), alla ‘gestuale’ fino alla musica di ‘lotta e critica sociale’: l’Opera da tre soldi contro cui si scagliò la furia nazista.

Berlino, allora come ora, si mostrava piena di grandi promesse nonché di minacce, reinventandosi quale modello delle immediate culture metropolitane. Città che non dormiva mai, frenetica a tal punto da assuefare compositori quali Paul Hindemith, Ernst Krenek ed Hanns Eisler. Questi erano a un passo dalla svolta storica superando la canonica divisione tra musica classica e società moderna: “la musica non è più per pochi” e bisogna ripartire “da zero” temprando un linguaggio comprensibile a tutti annunciò Weill, Cocteau Les Six dissero qualcosa di simile a Parigi qualche anno prima), invece per Schönberg l’arte non era destinata al popolo, malgrado qualcuno volesse forzarla a diventare tale.

Occorreva quel “metodo di composizione con dodici note che siano in relazione l’una con l’altra“, per eludere il compositore “serio” dal rischio della volgarità. Svelato solennemente nel 1923 a casa Schönberg, ad amici e allievi, quale “musica dodecafonica” più ordinata rispetto “all’estrema emozionalità” atonale, fu l’eterno nuovo scandalo.

La Suite für klavier op. 25 (Suite per piano) è la prima proposta compositiva di grammatica innovativa, in cui le forme sono di per sé inespressive, classiche. La scrittura dodecafonica diverrà presto un metodo cosmopolita attraendo americani e camaleonti “metamorfici”. Arrivò dunque Stravinskij ancora una volta, esigente un nuovo rigore espressivo: Canticum sacrum e Threni soddisfano quest’esigenza.

Dodici sono i semitoni su di un pianoforte, e dodici note consecutive, seriali, formano la cosiddetta scala cromatica, la quale ha le potenzialità di suggerire tutte le sfumature di colore di uno spettro; di creare un’orgia demoniaca ed impetuosa grazie al suo cromatismo accentuato, del quale hanno fatto uso gli stessi Liszt, Strauss e Brahms oltre agli allievi viennesi; ma soprattutto di sfruttare l’occasione di affrancarsi dai rapporti gerarchici tra i vari gradi puntando sull’atonalità.

Nessun suono diventa dunque guida, così come accadeva nella grammatica occidentale del secolo precedente ampliata. Il pregio della scrittura dodecafonica è il superamento dell’idea di sequenza tra toni e semitoni (preferendo questi ultimi), ufficializzando invece la tendenza a “scorrere l’intera gamma delle possibilità”, seguendo una “serie”, ovvero una particolare disposizione dei dodici suoni della scala cromatica. La serie trova la propria essenza fondamentale non nella propria tematicità quanto invece nei rapporti tra le note, negli intervalli quindi.

La mano destra fa una serie di dodici suoni diversi e quella sinistra opera una trasposizione utilizzando, rigorosamente, altre note con gli intervalli invariati: una tecnica già in suo presso i fiamminghi e in Bach. La serie “originaria” può essere ordinata per “moto retrogrado” (procedendo dall’ultima nota alla prima) o secondo “inversione” (rovesciando la direzione degli intervalli) o secondo il “retrogrado dell’inversione“. Il compositore potrebbe anche “trasporre” la serie portandola in basso o in alto lungo la scala cromatica, la quale racchiude immense possibilità di contraccambi: 479.001.600, il fattoriale di dodici.

Il Metodo Dodecafonico: Dritter Teil

Schönberg riscrive con scioltezza le sue composizioni dodecafoniche che, liberate dalla mistica atonale e dall’agognata dissoluzione della forma, calamitarono i suoi discepoli. Anton Webern nel 1911 aveva stilato una tabella con le dodici note cromatiche per cancellarle una dopo l’altra mentre componeva; parlò delle 6 Bagatellen für Streichquartett op. 9 come premessa alla scelta dodecafonica ed in un manoscritto del 1922 trattò della Serie per moto retrogrado e inversione, anticipando e radicalizzando le tecniche compositive del suo magister.

I Drei Volkstexte op. 17 (Tre canti popolari) del 1924 e lo Streichtrio op. 20 (Trio per archi) del 1927, ampio brano strumentale, sono intrisi del nuovo metodo. Da quest’anno in poi la ricerca compositiva si sposta verso il recupero seriale-dodecafonico delle forme classiche.

Webern raggiunse il culmine con il metodo mistico-naturale delle Variationen III op. 27 (Variazioni III, 1936). Dodici possibili trasposizioni moltiplicate per le quattro configurazioni basilari:

  • I: inversione
  • O: originale dove 0 è il DO
  • R: retrogrado
  • RI: inverso del retrogrado

Tale configurazione presenta i quarantotto modi diversi in cui “variare” la serie (ripresa del “quadrato magico latino”, Il Quadrato del Sator); e la Klangfarbenmelodie, intesa come segmentazione di una melodia in “eventi” strumentali (di singole o complesse note) diversi timbricamente, rimanda al processo di sottrazione più che di accumulazione espressionista schönberghiano.

Il discorso musicale è rigenerato nella mutevolezza dei registri, degli attacchi e delle emissioni, e nella strumentazione oltre che nel recupero dei metodi compositivi antichi, barocchi e polifonici. C’è una ripresa del pianismo di Brahms, Chopin e Liszt, anche se oramai gli strumenti non sono più protagonisti ma meri riproduttori di musica. La razionalità del processo compositivo e l’effetto timbrico sono i primi piani del quadro, mentre lo sfondo è occupato dal pianoforte. La serialità intesa come sfruttamento rigoroso delle possibilità combinatorie offerte da determinate scelte preliminari, è tale che la Dodecafonia appaia quale particolare caso della serialità: quella fondata sui dodici gradi della scala cromatica.

Matriz Serial Variationen op. 27 s’avvale di uno schema compositivo che porta alla spersonalizzazione dell’artista; ad una scientificità delle variazioni; ad un’astratta serialità, applicabile ad ogni strumento, in cui le altezze producono suoni. Si ragionando per schemi più che per suoni, differentemente da come operava il magister. L’estremo strutturalismo weberniano si basa su di un’intenzione simbolico-espressiva il cui messaggio restò sconosciuto ai suoi contemporanei, soprattutto a causa dell’ostracismo nazista che considerava questa musica “arte degenerata”, ma rimase intatto per chi volle riprendere la ricerca di presenti e future giornate migliori, e Stravinskij rispose presente all’appello.

La morte misteriosa e improvvisa di Anton prima della Liberazione, non portò certo al suo oblio, anzi ebbe una fortuna tale presso la “scuola di Darmstadt” che questa applicò la “cara” serialità al fatto sonoro, considerato meno fondante del razionale pensiero e processo compositivo la di cui musica è sottratta all’intenzione umana. Il progetto apprezzato più del prodotto e la non comunicabilità che porta all’incubazione artistica, sono coerenti conseguenze della radicalizzazione demiurgica di Schönberg.

Per concludere il quadro dodecafonico serve tornare a Berg, che nel 1928 si approccia dodecafonicamente a Lulu, incompleta ancora nel 1935 alla sua morte. Il libretto nacque dalla contaminazione e sintesi di due testi di Wedekind: Der Erdgeist (Spirito della terra) e Die Büchse der Pandor (Il Vaso di Pandora), letti nell’ottica satirica di Karl Kraus che disseziona il sociale, sottolineando come Wedekind riservi il massimo disprezzo verso l’alta borghesia che incoraggiava i suoi uomini a ottenere soddisfazione sessuale dalle prostitute, condannando in simultanea l’alienazione femminile degenerata nella società moderna.

La mutevolezza dell’ammaliante giovane cantante Lulu fa convergere l’attenzione verso un profondo erotismo eloquente nei suoi scontri amorosi, nell’accalcarsi di situazioni tragiche e grottesche, nella peripezia che la conduce alla scalata sociale e all’inevitabile caduta nella prostituzione, trovando la morte per mano di Jack lo Squartatore. Mentre il personaggio “positivo” della contessa Geschwitz, probabilmente riflette l’amore di Alban per la sorella Smaragda, il cui lesbismo l’aveva vissuto come dolorosa “malattia”.

Lulu è in parte ridicola caricatura della femme fatale, mostruosa creatura di cui è responsabile l’uomo, “distruttrice di tutto […] perché da tutti veniva distrutta” così ne parlava Karl Kraus. Questo dipinto sociale viene “illustrato” musicalmente per mezzo di una tavolozza stilistica che varia dalle scritture antiche e paratonali, a quelle triviali, alle deformazioni espressioniste, a quelle vocali chiare e violentemente comunicative. Una “forma a specchio”, con totale corrispondenza simmetrica tra forme drammaturgiche e musicali, emerge in quest’opera incarnante tutte le contraddizioni della cultura mitteleuropea alla vigilia dell’Attesa.

L’orchestra suona un mostruoso accordo di dodici note, costruito da una serie di quinte e di quarte, quando Lulu viene uccisa da Jack che potrebbe simboleggiare la sintesi della cattiveria maschile, secondo l’idea di Kraus. L’accordo mortuario è un intenso attacco sensoriale, di una rapidità inaudita ma la musica ha l’efficacia di farci immedesimare in Lulu, e in primis lo fece Berg. La contessa pronuncia l’elogio funebre, dichiarandosi eterna a Lulu, recuperando un frammento lirico da quell’esplosione dissonante. Il sipario è basso e la Dodecafonia sovrasta la scena: tre tromboni eseguono tre accordi, l’ultimo è un’entità obliqua, lo stesso risuonante in Wozzeck mentre Marie spira, un lamento dove “parlare non può più ma cantare solo parole incomprensibili” (Edipo Re, Sofocle). Ogni volta che viene suonato, vaga nell’aria alla ricerca estenuante della musica che lo completerà, e Berg lo chiamava “accordo di Attesa”.

Il Metodo Dodecafonico: Dritter Teil

Rappresentava anche un gesto sarcastico di denuncia, di risposta alle accuse di anarchia, di visionaria vittoria sulle barbarie naziste antisemite, quella Dodecafonia dell’Ode to Napoleon Buonaparte e di A Survivor from Warsaw. Tuttavia lo sforzo inaudito arrivò nel caro anno 1928, lavorando al libretto biblico dell’altro incompiuto capolavoro: Moses und Aron (Mosè e Aronne) che, alla pari della Sinfonia dei Salmi di Stravinskij, avrebbe rappresentato una riscoperta da parte di Schönberg; delle proprie radici ebraiche, un profetismo religioso da opporre al lassismo morale e all’antisemitismo portando la Parola di Dio al popolo refrattario.

Gli effetti stereofonici con varie disposizioni delle voci in orchestra e sulla scena; la partitura contenente indicazioni di regia e luci; le diverse ed astratte musicalità di Mosè e Aron sono del materiale sonoro asservito ad un rigore unitario attraverso l’uso di un’unica serie trasposta sui diversi gradi cromatici secondo l’ordine “seriale”. Un costruttivismo artistico dove la comunicazione viene meno e non resta che l’oggettività.

Arnold attacca gli stili più folklorici-popolari ma li assimila inconsciamente nelle sue composizioni, vedi il secondo atto contenente stilemi musicali coevi, dalle melodie dolenti alla Kurt Weill al sostenuto contrappunto di Paul Hindemith fino alla percussiva poliritmia del suo eterno avversario: Igor Stravinskij. Inoltre traspare una perseverante critica contro Weill, nella scena finale dell’Atto II quando Aron-Weill espone tenorilmente, “mondanamente”, a Mosè-Schönberg la propria missione: “Mai giunse il verbo tuo immediato al popolo. Perciò con la verga parlai alla rupe nella sua lingua, che anche il popolo intende“, accompagnato da figurazioni più o meno tonali. Mosè-Schönberg, Sprechstimme (voce recitante), esaspera gli accenti deformando il canto e la parola (l’apice dello Sprechgesang si ha nel Pierrot Lunaire) su armonie atonali dichiarandosi fedele all'”inesprimibile” e chiudendo l’Atto sul grido disperato: “O Parola, parola che mi manca!”.

Nell’Atto III mai ultimato, il profeta custode dell’ineffabilità di Dio, avrebbe ritrovato la fiducia in sé vendicandosi di coloro che non lo compresero in passato. Aron imprigionato sarebbe stato folgorato e il popolo non si sarebbe salvato né avrebbe avuto l’aspirata terra promessa. Mosè avrebbe peregrinato eternamente nel deserto scortato dai suoi discepoli maturi, e qui sarebbero stati inespugnabili Zarathustri.

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