Non c’è da perdere l’attenzione dinanzi a queste esperienze musicali eterogenee, sempre ricche di nuove idee e spunti estemporanei che sbalordiscono e catturano all’ascolto, sia nella buona che nella cattiva sorte uditiva. Una musica più dionisiaca che apollinea, secondo quel folle nietzscheano de La nascita della tragedia, 1872 , la cui composizione si presenta come una sfinge “disperatamente difficile” (Doktor Faust – T. Mann) che gli altri musici, e non solo, devono “disperatamente” interpellare e tradurre.
Ognuno per sé e Dio contro tutti era il sentimento demiurgico di coloro che avevano «rotto il collo» alla tonalità, promuovendo nuovi accordi e sospendendo quelli vecchi. Illustrata sulle pagine di etica musicale dell’Harmonielehre, questa necroscopia di un sistema tonale, logico, etico e decaduto, diventa nel Novecento pestifera malattia da declinare. Il concetto di “degenerazione musicale” venne usato da Schönberg per distinguere due linguaggi musicali, l’uno sano e l’altro degenerato.
Nel secolo XIX la tonalità è stata immolata “all’incrocio delle razze e dell’incesto”, a detta di Schönberg, transitando nell’accordo vagante di settima diminuita, parallelo dell’ebreo cosmopolita. Dietro questa maschera razziale viene da riflettere sull’identità ebraica del compositore, e ciò potrebbe spiegare la sua conversione al luteranesimo nel 1898, anche se durante l’esilio del 1933 tornerà alla sua autoctona fede.
Una “terra promessa” nel cui clima stepposo e inabitato il compositore ebreo poteva rifugiarsi dall’odio dell’Europa borghese, dalla museale cultura concertistica, dall’alienazione cui erano sottoposti gli ebrei di Vienna, avvertendo una tendenza storica che andava dalla consonanza alla dissonanza e così tenta l’ignoto, prima solitariamente e poi in compagnia di altri due esploratori geniale ed impavidi: i discepoli Alban Berg e Anton Webern.
Quest’ultimo viveva a Darmstadt insieme a musicisti assorti in riflessioni attorno alle tecniche compositive, che finirono per radicalizzare il percorso comunicativo, isolandosi. Laureato sui compositori fiamminghi quattrocenteschi ed esperto del canone sonoro e del contrappuntismo di Heinrich Isaac, attinse nelle sue prime opere a Debussy, Mahler, Strauss, Wagner e particolarmente a Brahms da cui ricalca le variazioni, su una sequenza melodica ostinata, del Finale della Sinfonia Quarta nella sua Passacaglia für Orchester op. 1 (1908).
Poi conosce Schönberg e lo precede, quasi, nell’orbita atonale: Sechs Stücke für Orchester op. 6. Sono inquietanti pezzi nell’asprezza contrastiva dell’atonalità percussiva a suono indeterminato, che si riverbera attraverso una certa raffinatezza orchestrale. Segnati da un dolore lacerante per la scomparsa della propria madre, sono pezzi scanditi da stadi di afflizione, a metà sequenza dei brani nasce e cresce una processione funebre introdotta da una torva calma fatta di tam-tam, campana bassa e rombo di grancassa.
Ma i tromboni gemono in scena sino all’urlo, accompagnati dai legni e dagli ottoni, ed il brano viene coronato da una bestiale sequenza di accordi di nove e dieci note seguita da un crescendo, mai udito, culminante nel tuono delle percussioni che stermina le altezze musicali e giunge al traguardo dell’era noise. Una radicale opera atonale, dalla vocazione antimilitarista, capace di rivelare una vena da minimalista musicale sulla scia del rarefatto Pelléas et Melisande Debussyano.
Quest’opera pare anticipare i 6 kleine Klavierstücke op. 19 per l’efficacia espressiva della timbrica mutevole in funzione di una forma che “escluda le premesse tematiche”, abolendo la ripetizione e la simmetria, proponendo le idee musicali come tutte ugualmente tematiche. Una melodia di colori di suono (Kangfarbenmelodie – Schönberg), che suggerisca sonorità aleatorie rispetto al sinfonismo mahleriano, approdando al pointillisme.
Piccole pennellate regolari puntiformi di strumenti singoli, sparsi sonoramente, si rivelano dal silenzio con note singole, così procedimento tecnico pittorico elaborato in Francia nell’ambito delle ricerche post-impressioniste e il movimento artistico, più esattamente denominato neoimpressionismo.
Le opere di Webern sono sospese su di un filo a metà tra l’immobilità della morte e il rumore della vita, che si mischiano ed affiorano in quel rumoroso crescendo funebre e nel seguente silenzio assordante. Fünf Stücke für Orchester op. 10 sono la condensazione estrema di Webern. I movimenti durano un minuto o quasi e il quarto pezzo racchiude meno di cinquanta note. Pizzichi di mandolino, ripetute note di un clarinetto, acute grida degli ottoni, pizzicati dell’arpa e celesta, nuovamente il mandolino e per chiudere una breve melodia al violino solista, come musica giapponese dice A. Ross.
Webern rese il linguaggio di Schönberg più fruibile, diluito in frammenti chiari e lineari, più facilmente assimilabili se seguiti con estrema attenzione. Lo spingersi verso i limiti del linguaggio accostandosi al nulla è parte fondante dell’estetica di Webern, come anche degli intellettuali viennesi fin de siècle.
Alban Berg era un uomo empatico, afflitto cronicamente da un’asma bronchiale che lo portava ad identificarsi con i più sfortunati, ma nonostante tutto ciò era un esempio di autoironia. Più distaccato dalle fantasie utopiche dello Schönberg-Kreis, equilibrato tra una musica comunicativa ed un rinnovamento del linguaggio oltre ad un lirismo accentuato, fu comunque plasmato tecnicamente da Schönberg per farlo giganteggiare musicalmente, così si prestò a qualsiasi tipo di faccenda: dal carico dei bagagli, al prendersi cura dei conti in banca, all’organizzare la raccolta fondi, a correggere le bozze e riscrivere spartiti.
Crebbe in lui un senso di determinazione ostinata nel voler comporre il nuovo: la Sonata op. 1 per pianoforte (1908-1909) contamina la “consonante” sonata ottocentesca alla “tonalità allargata” con un linguaggio espressionista; è in un unico movimento esteso in forma-sonata riconoscibile ed il primo tema è infarcito da dissonanze, ma ancora non siamo giunti alla creazione della s-concertante serata del 1913: gli Altenberg Lieder op. 4 per voce e orchestra (1912) simile a quella di Erwartung, esasperando quell’orchestra post-mahleriana con combinazioni timbriche di rarefazione verso l’acuto o di trasparenza, lontano dall’espressionismo.Strutturati attorno a note non proprio dissonanti (Do# Mi Sol Sol# Sib: risuonano quale accordo a inizio del monologo finale di Salomè), c’è comunque un uso radicale dell’atonalità oltre ad una rigorosa costruzione, e nonostante l’impetuoso accordo dodecafonico di cui parlavamo nell’ultima uscita, non si distaccano dal linguaggio “incestuoso” del secolo addietro facendo capire che Alban si presta ad essere il più abbordabile e moderato del circolo.
Un compositore biunivoco, attratto da una fissazione matematica complessa ed autoreferenziale, e da suoni dolci, quasi kitsch, che collidono nei sinfonici Drei Orchesterstücke op. 6 (1914) oscillanti tra i 5 e 10 minuti: Preludio-Girotondo-Marcia; mahleriani nella forma quanto schönberghiani nel contenuto (c’è corrispondenza con i 6 kleine Klavierstücke op. 19), dal movimento finale in caleidoscopica Marcia per l’orchestra al completo nell’apoteosi di trombe squillanti e rulli di tamburi. A differenza di Webern, il pentagramma di Berg si arricchisce di note e strumenti e nel finale si giunge ad una quiete sfuggente, quando il lirico violino solista intona un materico lamento funebre, mentre arpa e celesta insistono su di una monotona figura che richiama il ticchettio di una bomba.
Questa esplode nelle battute finali con una visionaria “iper-nota” di tromba e trombone, con scomposti movimenti spiralici degli ottoni ed una terminale martellata percussiva nel registro grave, senza che venga mai meno una melodia tematica emergente anche se squillante. Il 23 agosto del 1914, giorno in cui fu ultimata la marcia, le truppe tedesche radunarono gli abitanti di Dinant sparando all’impazzata sulla folla, uccidendo più di settecento persone… la Germania non era più la culla della civiltà moderna, ma la malattia da estirpare!
Guerra! Che purifica, che libera e lascia sperare quegli artisti sfrenati e bramosi di distruzione, al punto da sconvolgere le folli fantasie di un bellicoso Schönberg, fervente verso la causa tedesca e contrario alla musica di Ravel e dell’odiato Stravinskij, gettando “in catene questi mediocri trafficanti di Kitsch” insegnando “loro a venerare lo spirito tedesco e ad adorare il dio tedesco“. Il concetto di guerra-totale dello stato maggiore tedesco, risalente al 1902, rifletteva la prospettiva apocalittica dell’arte austro-tedesca, ma non tutti furono vittime di questo delirio vichingo.
Alla fine, per dei limiti fisici, Schönberg si ridusse a suonare in un’orchestra militare. Webern afflitto da un’acuta miopia fu assegnato a un battaglione di riserva degli Alpini. Berg arruolatosi come volontario, “vergognoso di essere un semplice spettatore di questi grandiosi eventi“, come scrisse in un lettera al suo maestro, ebbe un crollo fisico per cui venne ricoverato e così fu confinato ad un lavoro d’ufficio dove ebbe vita difficile. Appuntò il suo quaderno di un gergo burocratico militare e di istruzioni sulla condotta da seguire nella guerra di trincea. Da qui sarebbe nata una visione altra della guerra messa in scena il 14 dicembre 1925 all’Opera di Stato di Berlino sotto la direzione orchestrale di Erich Kleiber, il padre di Carlos: Wozzeck.
Un’opera tratta dal “realistico” Woyzeck (Berg sostituì la y in z per semplificare la pronuncia): uno scientifico testo teatrale “a quadri” del talentuoso militante Büchner, valsosi delle trascrizioni degli esami psicologici di Woyzeck, tratti da una cronaca giudiziaria, per la stesura del dramma. Basato su una storia vera di sfruttamento del soldato-barbiere J. C. Woyzeck da parte di dotti moraleggiatori (il Dottore e il Capitano), che lo indussero all’assassinio della donna amata, colta in adulterio, a Lipsia nel 1821. Il Dottor Clarus non gli riconobbe l’infermità mentale, della quale soffriva, dichiarandolo idoneo a sottoporsi al giudizio della giuria che sentenziò di decapitarlo.
In Büchner, Woyzeck è un soldato alienato dalla disumanizzante disciplina militare che accelera la sua crisi psicologica; è vittima dei sadici esperimenti di un Dottore pazzo che gli impone una dieta fatta di soli piselli e agnello, e delle stramberie di un maniacale Capitano pedante; distrutto dalle beffe e dall’insensibilità di commilitoni e commercianti che chiudono il cerchio di una città morbosa, a tal punto da non riuscire più a distinguere la realtà dalla fantasia. La critica alla classe dominante è condotta grottescamente e le tematiche psicoanalitiche, anticipatrici di elementi tardoromantici, rispondono ai “violenti” ideali etico-estetici dell’espressionismo: il sangue, l’incubo, la visionarietà minacciosa della Natura, l’assassinio bestiale, l’alienazione mentale dell’individuo all’interno di meccaniche massificanti, di degradazione morale più che di sfruttamento economico.
Berg provava empatia verso quest’intimità dell’uomo, avendo anche lui trascorso gli anni della guerra alle dipendenze di gentaglia che odiava, che lo umiliava, che lo sfruttava paralizzandolo creativamente. Questo soggetto lo colpì alla sua prima nel 1914, lo attirava per il legame continuativo, raggiunto tramite gli interludi orchestrali come nel Pelléas, tra le scene di ogni atto, tematiche e atematiche alla maniera formale di Erwartung. La gestazione dell’opera, dal 1914 al ‘25, fu interrotta dalla guerra e la sua “grezza” messinscena, senza l’approvazione del magister che dichiarò il soggetto inadatto, deriva da tagli (da 25 scene originali a 15 per tre atti) e invenzioni sintetiche adattandola lui stesso alle scene senza avvalersi di un librettista, come fecero Strauss e Debussy per Salomè e Pelléas suoi modelli strutturali. Il ritorno del rimosso per Sigmund Freud era quella tonalità, espressa tramite il ricorso a forme musicali antiche, al servizio dell dramma.
La ricchezza dei diversi mezzi musicali viene adattata alle diversi situazioni sceniche e personaggi: ad esempio la scrittura polifonica, la dissonanza libera, il grottesco canto isterico o pomposo, l’angolosità del timbro rappresentano l’automazione disumana del Capitano e del Dottore.
L’umanità di Wozzeck traspare dalla declamazione solenne “Noi povera gente” che si trasfigura espressivamente in gelosia, sofferenza e istinto omicida; Marie è il recupero della tonalità accompagnata da toccante nostalgia, quando canta la ninna-nanna e quando prega dopo aver tradito Wozzeck e quando paurosa affronta la gelosia di questo. Persino l’ostile Natura trova “rappresentazione” in orchestra avvalendosi di note stridule e acute, quel divisionismo orchestrale dei Naturlaute (Suoni della Natura) così denominati da Mahler. Emerge una ricerca di serie di strutture musicali che danno musicalmente completezza e consistenza interiore. L’opera ha una struttura simmetrica: tre atti per cinque scene, le quali hanno una logica costruttivo-formale dichiarata.
È il momento di fermarsi dopo una lunga ed intensa cavalcata. Riposiamo le nostre menti provate ma ricche di stimoli, per ripartire nel prossimo incontro con la disumana immersione nel corpus del Wozzeck berghiano.
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