Salve MusicOffili, dopo la bella intervista a Jonathan Kreisberg a cura di Gianni Salinetti pubblicata a Luglio, ecco un’altra puntata della rubrica Jazz On tutta dedicata al dialogo con un altro grande musicista internazionale, Reinier Baas, chitarrista olandese tra i più influenti nella scena jazz nord-europea odierna, che il sassofonista Benjamin Herman ha addirittura definito tra le figure più importanti per il futuro del genere e che moltissime autorevoli riviste di settore non hanno mancato di elogiare negli ultimi anni.MusicOff: Raccontaci la tua storia, come sei cresciuto musicalmente e come sei entrato in contatto con il jazz e la musica sperimentale.Reinier Baas: Sono cresciuto in Olanda, a Hilversum, vicino ad Amsterdam. Mio padre è un musicista classico, suona il contrabbasso, ed è stato lui a farmi ascoltare i primi dischi di Coltrane, Zappa, Steely Dan. In più andavo a sentirlo suonare e tutto questo ha sicuramente esercitato una grande influenza su di me. Ho iniziato con il piano, ma non ero molto bravo, quindi a undici anni ho comprato la mia prima chitarra e da lì non ho mai smesso di suonare. I miei primi eroi furono Jimi Hendrix ovviamente, e Django Reinhardt.Ad Amsterdam la scena musicale è sempre stata molto attiva, e da teenager iniziai a muovermi da Hilversum per frequentare le jam session della capitale, finchè a 18 anni mi ci trasferii. Mi iscrissi al Conservatorio, in cui mi diplomai nel 2010, per poi andare a studiare a New York per un semestre, alla Manhattan School Of Music. Da lì in poi ho sempre suonato e lavorato.MO: Ed hai sempre composto musica?RB: Scrivevo poco prima di andare a scuola, provavo a tirare fuori idee sul pianoforte, ma non avevo chissà quanti pezzi. Non sono di certo stato un “Mozart”… (ride NdR) Ho iniziato a dedicarmici seriamente una volta ad Amsterdam, una volta creati i miei gruppi. I pezzi che ho inciso nei miei dischi sono stati scritti a partire dal 2008, quindi ho sempre inciso musica nuova. Ora però scrivo tantissimo.MO: Infatti hai fatto uscire tre dischi uno di seguito all’altro, anno dopo anno.RB: Si, cerco di essere produttivo. Spesso fisso le date di registrazione prima di avere il materiale pronto. Può essere molto stressante ma, ti obbliga a metterti a lavorare… Quando ho fissato la formazione nel mio gruppo, so per chi sto andando a scrivere, e quello aiuta molto.MO: Tornando al discorso delle scuole, cosa ne pensi riguardo a frequentare una scuola, quindi anche a studiare ciò che in qualche modo ti viene imposto? Le scuole ti possono insegnare molte cose ma, è quello che davvero conta secondo te? Come si fa a sviluppare un proprio stile?RB: Molti musicisti non riescono a sbarcare il lunario suonando solo la propria musica, quindi in questo senso aiuta molto avere un background molto solido ed essere in grado di suonare in diversi stili. Nel mio caso, se non fossi andato a scuola, non avrei fatto ciò che ho fatto. Hai l’occasione di entrare in contatto con persone nuove, di conoscere tanta gente e di subirne l’influenza. Sono cose importanti! Credo che, attualmente, sia la cosa migliore da fare per diventare un musicista Jazz. Allo stesso tempo, devi essere forte a perseguire la tua strada, anche se il tuo insegnante ti dice che devi suonare prima in “quel modo”, altrimenti non potrai mai suonare ad alti livelli.MO: A proposito di questo, cosa ne pensi della relazione imitazione/innovazione? Ascoltando la tua musica sento che è suonata con strumentazione tradizionale, molto acustica nella maggior parte dei casi, ma allo stesso tempo sento un forte desiderio di emancipazione dalla tradizione afroamericana, che comunque hai fatto tua.RB: Beh ti ringrazio, io cerco di sviluppare contemporaneamente entrambe le cose, studio materiale tradizionale, rafforzando le mie basi, ma allo stesso tempo cerco sempre di tenere in mente chi sono io e quali sono le mie aspirazioni artistiche. Da un lato devi essere un musicista completo, professionale, essere in grado di fare bene tante cose, ma alla fine c’è qualcosa che ti differenzia dal resto dei musicisti e una volta capito cos’è, è proprio quello che secondo me bisogna approfondire di più. È molto importante per me cercare di esprimere la mia personalità, cercando di materializzare ciò che ho nella testa.Una cosa che, per esempio, ho capito negli anni è che non mi interessa se la gente deve “impegnarsi” un po’ a trovare qualcosa nella mia musica. Magari dovranno ascoltare il disco tre o quattro volte, non deve essere per forza amore a prima vista, ma non devi scrivere e suonare “easy” per loro. Cerco di scrivere qualcosa che abbia qualcosa da scoprire ascolto dopo ascolto.MO: Una volta Ben Street mi diede un consiglio che mi illuminò; è un concetto tanto semplice quanto efficace: “Non sei obbligato ad ascoltare i dischi di jazz che pensi di dover conoscere, ascolta quello che ti fa vibrare e asseconda i tuoi gusti, fai quello che davvero ti piace“. Che ne pensi?RB: Beh concordo pienamente, lui è un grande, un guru! Certo, impara il tuo strumento, le scale, migliora il suono e bla bla bla, ma la parte difficile è ciò che vuoi esprimere.MO: Mmm.. a proposito di scale, ho sentito dire che hai sviluppato un sistema alternativo per crearne di nuove partendo dagli arpeggi. Di che si tratta?RB: È una cosa che cerco di praticare ogni giorno. L’idea è semplice, e sono sicuro di non essere il primo ad essere uscito con questa cosa: uso 18 diversi modi che derivano da un arpeggio Maj7. Parto con T, 3M, 5G e 7aM, che sono le note che non cambiano, mentre 2a, 4a, 6a possono cambiare; avremo quindi tre opzioni per la 2a (dim, mag, aug), due per la 4a (giusta, aug) e altre tre per la 6a (min, mag, aug). Sono tutte scale con 7 suoni, come la scala maggiore, e possono essere trattate allo stesso modo, creando accordi, figurazioni, etc…MO: Quindi su un accordo Maj7, seguendo questa logica, hai 18 possibili scale a 7 suoni con cui suonare comunque “in”, giusto?RB: Si, alcune non suonano proprio benissimo alle mie orecchie, diciamo che ho deciso di approfondire quelle che mi piacciono di più, ovvero:Provando a portare a spasso dei voicings in queste scale, si ottengono secondo me dei suoni molto interessanti. Puoi partire con una combinazione di intervalli, per esempio F 4a, 7a, 3a, e muoverla lungo una di queste scale. Può essere qualsiasi voicing, qualsiasi combinazione di due, tre o più intervalli. Ti permette di sentire molti suoni nuovi, e di aprire le orecchie a nuove possibilità.MO: Posso chiederti quanto hai lavorato su questo argomento? È un lavoro enorme…RB: Ancora devo lavorarci molto, è un progetto molto lungo. Anche perchè puoi applicare questa logica a qualsiasi quadriade. In teoria ci sono 18 scale a 7 suoni per ogni accordo a 4 suoni. Io prendo quelle più belle e lavoro su quelle.MO: È un’ idea molto semplice ma molto originale. Anche i titoli dei tuoi dischi mi piacciono molto, così come l’album in sé. I primi due dischi finiscono entrambi con uno standard suonato in solo. Che mi dici del suonare in solo?RB: Grazie… (ride NdR) La chitarra è uno strumento molto complicato, specialmente a livello visuale. Limitato, da un certo punto di vista. Diventa una sfida suonare da solo, devi portare avanti pulsazione e struttura e allo stesso tempo essere libero e ispirato. Per un periodo ho sperimentato con loop station e effetti, ma ho capito che non è quella la mia strada.Lavoro molto sulla mia mano destra, spesso suono sui dischi seguendo il ride dei batteristi, cercando di ottenere quella stessa sensazione con accordi o note singole. Uso il pollice, cercando di essere indipendente dalle altre dita, creando un effetto pianistico, poliritmico. Ultimamente sto studiando per suonare con le dita, per i concerti in solo o in duo. In genere non fraseggio melodicamente senza plettro, provo a suonare cose arrangiate o più vicine all’armonia che alla melodia. Lo faccio in modi diversi, su standard o altro. Cerco di essere più libero possibile tecnicamente e a livello visuale, tutto qui.MO: C’è una routine di studio che segui?RB: Sì ce l’ho. Finchè andavo a scuola prendevo in mano la chitarra e suonavo le cose che mi venivano in mente, soffermandomi sulle cose che non riuscivo a fare. Ora invece ho un piccolo piano di studi che funziona su di me: la gran parte è costituita da tecnica e visione della tastiera. Ho degli esercizi che mi aiutano a suonare più libero, ovvero muovermi con accordi sulle scale, come ti dicevo prima, diversi voicing, scale e tonalità. Li muovo diatonicamente, poi cambio set, e vado avanti così. Spesso ti scontri con posizioni troppo late, ma a quel punto puoi arpeggiare, suonarlo melodicamente. Personalmente cerco di praticarle mettendo in relazione ogni nota con la fondamentale, modalmente. Spesso cerco di cantare le combinazioni prima di suonarle, poi controllo sulla chitarra.Oltre a questo lavoro tanto sui rivolti delle quadriadi che creo su quelle scale, con diversi drop, insieme a gruppi di quattro note che non possono essere definiti propriamente quadriadi. Poi pratico anche tanto le scale, molto lentamente, legato e molto uniforme dinamicamente. Infine provo ad accentare le note ogni 3, ogni 4 etc…, esercitandomi in tutte le posizioni, con plettrata alternata. Cose molto basic in realtà…Lavoro tanto anche sul mio suono; penso che gran parte del “suono” di un chitarrista arrivi in gran parte dalla mano destra. Mi alleno a non premere troppo con la sinistra, certo, ma gran parte degli esercizi sono sul controllo del plettro, l’angolo, la forza e il peso che scarico sulla corda. Mi interessa suonare uguale su ogni chitarra. In genere studio questo tutti i giorni, insieme ad un pò di lettura. Non sono bravo a leggere, ma sto migliorando.MO: Ultima domanda: consiglieresti ai lettori cinque dischi di qualsiasi genere? Senza metterli “in classifica”.RB:• Glenn Gould – “Art Of The Fugue” (insieme a tutti gli altri dischi su Bach)• Louis Lortie – “Ravel Piano Works”• John Coltrane – “A Love Supreme”• Jakob Bro – “Balladeering”• Kendrick Lamar – “Good Kid, Mad City”Reinier Bass Official WebsiteGO TO THE INTERVIEW IN ENGLISH/VAI ALL’INTERVISTA IN INGLESE
Jazz On! – Intervista a Reinier Baas
Salve MusicOffili, dopo la bella intervista a Jonathan Kreisberg a cura di Gianni Salinetti pubblicata a Luglio, ecco un'altra puntata della rubrica Jazz On tutta dedicata al dialogo con un altro grande musicista internazionale, Reinier Baas, chitarrista olandese tra i più influenti nella scena jazz nord-europea odier
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