All I need is my old guitar… parola di un vero dislocated boy. “Driving Towards The Daylight” completa il compito di “Dust Bowl” riportando un Joe Bonamassa in buona forma dopo qualche prova non troppo convincente, ovviamente nell’opinione di chi scrive.
Sono finiti i tempi in cui serviva ancora dimostrare di avere la stoffa, ora è tutto lasciato alla creatività e al divertimento. Niente di meglio per un personaggio che anche nei suoi peggiori episodi ha sempre dimostrato qualità da vendere. “Driving Towards The Daylight” giunge quindi a confermare lo status internazionale giustamente tributato, negli ultimi tempi più che mai, ad un chitarrista che ha fatto di costanza e duro lavoro il proprio credo. Da quando ci si sorprendeva per la prima esibizione alla Royal Albert Hall è passata molta acqua sotto i ponti. Ormai il nome di Bonamassa stampato sui maggiori cartelloni del mondo non stupisce più, anzi, lascia una buona sensazione sulla pelle, come se il ragazzo della porta accanto fosse riuscito nella migliore delle imprese. Quest’ ultima fatica discografica non è niente di nuovo sotto il sole, Joe Bonamassa non è certo il più originale fra gli artisti, eppure questo nuovo capitolo rappresenta indubbiamente un nuovo punto di ripartenza nella carriera del chitarrista statunitense. Al di là d’ogni, seppur eccelso, “revisionismo blues”, bisogna prestare attenzione alle sorprese nascoste dietro i nuovi inediti, perché è quando Bonamassa lascia sfogare la propria vena che tutto prende un sapore diverso.
Senza nulla togliere al funambolico ed entusiasmante chitarrismo, che comunque caratterizza da sempre i dischi di Bonamassa, la peculiarità più interessante di “Driving Towards The Daylight” sta nei brani originali e nella loro composizione, trovando nel singolo che dà il titolo al disco la miglior espressione. Una session-band d’eccezione regala il tocco in più, quel tanto che serve per evidenziare ulteriormente il salto di qualità rispetto alle uscite precedenti. L’intero disco suona diretto, solido, compatto e rifinito, oltre che prodotto in maniera ineccepibile. Joe è perfettamente calibrato ed equilibrato, finendo per emergere ancor più nella stupenda semplicità di alcuni passaggi dimentichi del troppo virtuosismo, apparso svariate volte nelle scelte più recenti. Così anche il solo di “I got all you need” (Bernie Marsden), fatto di poche note e tanta cura, spicca e brilla nel bel mezzo della tracklist, altro gran punto di forza dell’album. La scelta delle cover è ben pensata e lineare, i brani inediti s’inseriscono al meglio tra Robert Johnson, Howlin’ Wolf, Koko Taylor, Tom Waits e Buddy Miller. Abbiamo già sottolineato però come vada ricercato il meglio là dove meno ce lo si aspetterebbe dal non-più-ragazzo di Utica (NY). “Heavenly Soul” apre con un inaspettato riff che traghetta l’attenzione senza problemi in un brano dal gran tiro, capace di buoni salti dinamici e atmosfere avvolgenti. Bonamassa conclude in bellezza la traccia, con un solo che potrebbe essere preso a raccolta dei suoi lick solistici preferiti. Il riff iniziale ritorna quando i cinque minuti del brano stanno per esaurirsi andando a chiudere definitivamente il pezzo. “A Place In My Heart” è l’altro brano originale del lotto, dedicato al defunto Gary Moore che viene richiamato in più di un momento chitarristico della canzone, a cominciare dalla melodia iniziale con cui canta la chitarra di Bonamassa. Dei tre inediti “A Place In My Heart” è forse la meno vincente, ma sopperisce con il sentimento, grazie al quale anche la voce di Bonamassa trova buona collocazione.
Sulla vena canora di Joe è più appropriato fare un appunto separato. Punto dolente della carriera di Bonamassa, sempre nell’opinione di chi scrive. Nel corso degli anni la voce di Joe è mutata notevolmente, sono finiti i pochissimi giorni in cui la carica di “So It’s Like That” era replicabile anche dal vivo. Così i brani che tanto affascinano sui dischi finiscono per essere talvolta sconvolti in sede live. Bonamassa spesso e volentieri non arriva a replicare ciò che la comodità e la tecnologia dello studio di registrazione gli permettono, finendo per ripiegare su escamotages canori alle volte imbarazzanti.
“Driving Towards The Daylight” lascia trasparire una prestazione canora non certo da applauso ed i brani spesso ne risentono, ma la verità è che non potrebbe andare diversamente. È un buon disco, quest’ultimo prodotto targato Bonamassa, ma nulla di sorprendente per novità anche all’interno della carriera dello stesso Joe. “Driving Towards The Daylight” è un disco che conferma la bontà di un chitarrista senza dubbio tra i migliori in circolazione, capace di qualche sincero spunto originale (come la titletrack e “Heavenly Soul”).
Un album solido, ben prodotto e ottimamente eseguito (con qualche riserva sulla voce). Joe Bonamassa si è fatto conoscere ed amare, sempre convinto proseguire sulla strada già tracciata, con la prolificità con cui si ripresenta nei negozi sarà ancor più interessante vedere in che senso muoverà i prossimi passi.Francesco SicheriJoe Bonamassa – Driving Towards The Daylight
Genere: Blues-RockTracklist:1. “Dislocated Boy“
2. “Stones in My Passway” (Originalmente registrata da Robert Johnson)
3. “Driving Towards the Daylight” (Originalmente registrata da Howlin’ Wolf)
4. “Who’s Been Talking?” (Originalmente registrata da Koko Taylor)
5. “I Got All You Need” (Originalmente registrata da Bernie Marsden)
6. “A Place in My Heart“
7. “Lonely Town Lonely Street” (Originalmente registrata da Bill Withers)
8. “Heavenly Soul“
9. “New Coat of Paint” (Originalmente registrata da Tom Waits)
10. “Somewhere Trouble Don’t Go” (Orginalmente registrata da Buddy Miller)
11. “Too Much Ain’t Enough Love” (Originalmente registrata da Jimmy Barnes)Lineup:
Joe Bonamassa – guitar (all tracks), vocals (all tracks except 11), Dobro (track 1), mandolin (track 8), backing vocals (track 11)
Anton Fig – drums and percussion (all tracks)
Arlan Schierbaum – organ (all tracks except 2), piano (tracks 2, 3, 7, 10 and 11)
Brad Whitford – guitar (tracks 1, 2, 3, 4, 7, 9 and 11)
Michael Rhodes – bass (tracks 1, 2, 3, 4, 7, 9 and 11)
Doug Henthorn – backing vocals (tracks 1, 3, 8, 10 and 11)
Carmine Rojas – bass (tracks 5, 6, 8 and 10)
Blondie Chaplin – guitar (tracks 5, 6 and 8)
Harrison Whitford – guitar (track 3)
Jeff Bova and The Bovaland Brass – horns (track 6)
Pat Thrall – guitar (track 7)
Jimmy Barnes – vocals (track 11)
Album correlati: Bloodline, Black Country Communion, Walter Trout, Warren Haynes, Gov’t Mule, Gary Moore, Craig Erickson.
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