HomeStrumentiStoriaWeill, Brecht e L’opera da tre soldi

Weill, Brecht e L’opera da tre soldi

Kurt Weill raggiunse un successo enorme ed inaspettato, le cui motivazioni vanno rintracciate anche nei compagni di lavoro e nelle persone che incontrò durante la sua carriera; partito da Dessau Weill arrivò a Vienna con il grande sogno di studiare con il maestro Arnold Schoenberg, purtroppo però i pochi soldi in ta

Kurt Weill raggiunse un successo enorme ed inaspettato, le cui motivazioni vanno rintracciate anche nei compagni di lavoro e nelle persone che incontrò durante la sua carriera; partito da Dessau Weill arrivò a Vienna con il grande sogno di studiare con il maestro Arnold Schoenberg, purtroppo però i pochi soldi in tasca non gli permisero di accedere ai corsi desiderati.

Weill “ripiegò” così sul perfezionamento di Ferruccio Busoni, un toscano che aveva rimproverato a Schoenberg il drastico distaccamento dall’antico nella spasmodica ricerca del nuovo. Busoni auspicava infatti in un rimodellamento del sistema tonale che non chiudesse però le porte al classico, teorie che espose nel suo “Saggio su una nuova estetica musicale“.

Weill, Brecht e L'opera da tre soldi

La Weimar di Weill fu quindi dipinta dagli insegnamenti di Ferruccio Busoni, che all’allievo insegnò nientemeno che a “non aver paura della banalità” (1). Con “banalità” Busoni si riferiva a quella semplicità insita nelle opere di Verdi, in grado di racchiudere la complessità sentimentale e di messaggio in melodie apparentemente innocue, pronte però a sprigionare tutta la propria carica laddove necessario.

Fu al fianco di Busoni che Weill scoprì la “parola scenica“, ovvero quelle parole, tanto importanti nella drammaturgia verdiana, in grado di riassumere in un solo istante un’intera situazione teatrale. Weill mise le mani sulla “parola scenica” producendosi nella formulazione del concetto di Gestus. Quest’ultimo fu definito dal critico Daniel Albright come quel momento drammatico in cui mimica, musica e discorso cooperano per creare una manifestazione di completo significato.

Weill, Brecht e L'opera da tre soldi

Bertold Brecht fu fondamentale nella costruzione del successo di Weill, così come lo fu Lotte Lenya, donna con cui Weill avviò una relazione sentimentale oltre che lavorativa. Lenya era una ballerina, una cantante, un’attrice, una comparsa ed anche una prostituta, una figura dal passato segnato da un padre violento, perfetta controparte per Weill, che, come molti compositori ed artisti del periodo, fu attratto dalle proiezioni più estreme e talvolta perverse della condizione umana.

Mahagonny Songspiel” è il primo risultato della collaborazione fra Weill e Brecht. Il titolo gioca su un’americanizzazione del genere popolare tedesco Singspiel, il lavoro nacque dal riutilizzo di cinque Mahagonny Songs che Brecht aveva già precedentemente pubblicato in una raccolta di poesie dal titolo “Devotions for the Home” (“Hauspostille”), alle quali aggiunse “Poem on a Dead Man” per costruire il finale.

Due delle songs brechtiane, scritte da Elisabeth Hauptmann, erano una sorta di parodia eccentrica in lingua inglese: “Benares Song” e “Alabama Song“. Quest’ultima non suonerà certo nuova ai tanti appassionati di musica rock e pop: nel 1967 i The Doors ne inciserò una versione (lievemente modificata nel testo) divenuta uno dei brani più amati della band, successivamente lo stesso David Bowie si cimentò con “Alabama Song”, prima nel 1980 pubblicando il brano come singolo per RCA e poi includendolo nel 1992 nella riedizione dell’album “Scary Monsters (and Super Creeps)“.

Il successo di questa prima collaborazione fu ingente, tanto da far propendere Weill e Brecht per la creazione di un’opera più ampia che sarebbe divenuta “Ascesa e rovina della città di Mahagonny“. Nel bel mezzo dei lavori per quest’ultima produzione i due si concessero una “visita” alla Londra ottocentesca, per dare vita a quello che diverrà il loro lavoro più celebre. “L’opera da tre soldi” è basata su “The Beggar’s Opera” (1728) del compositore inglese John Gay, si svolge nella Londra ottocentesca in un tripudio di furfanti, criminali ed efferati serial killer. L’opera si apre con un cantore, aggiornamento della figura del menestrello, che intona la “Ballata di Macheath”, ovvero “Die Moritat vom Mackie Messer” (o in inglese “Mack The Knife”).

Peachum, organizzatore di una vasta rete di finti accattoni londinesi, scopre che la figlia Polly si è segretamente sposata con Macheath, capo di una banda di malviventi. Tra gli invitati giunti a congratularsi c’è anche Brown, vecchio amico di Macheath, capo della polizia, impegnato nei preparativi per l’imminente festa dell’incoronazione. Peachum è deciso nel voler eliminare Macheath denunciandolo: sua moglie sospetta infatti che questi sia nascosto e protetto presso alcune prostitute di sua frequentazione. Venuta a sapere del piano, Polly avvisa Macheath del pericolo e lo esorta a fuggire, impegnandosi a guidare personalmente la banda.

Tradito da Jenny, prostituta con la quale era solito intrattenersi, Macheath finisce in cella, dalla quale è però certo che qualche altra donna lo aiuterà ad uscire. Si presentano davanti alla prigione Polly e Lucy (figlia di Brown), quest’ultima a sua volta segretamente sposata con Macheath, e il loro incontro sfocia nel celebre duetto della gelosia, “Eifersuchtsduett”.

Polly viene poi allontanata dalla prigione, dando così modo a Lucy di far evadere Macheath.Peachum minaccia quindi il capo della polizia predisponendo un piano con cui sabotare il regolare svolgimento della festa dell’incoronazione grazie ad una controproducente sfilata di (finti) accattoni. Arrestato da Brown, Peachum lo minaccia di rivelare i loschi legami che lo vincolano a Macheath, così il capo della polizia si trova costretto a cedere alle minacce e far arrestare nuovamente Macheath. Il malvivente aspetta ormai l’ora della sua esecuzione, suonano le campane di Westminster e Macheath viene portato verso il suo destino, ma un colpo di scena rivolta gli eventi: invece della notizia della sua morte arriva quella della sopravvenuta grazia stabilita dalla regina. In quest’ultima virata verso l’assurdo, a Macheath viene donato un castello così come il titolo nobiliare di baronetto.

L’amore per i criminali di Brecht era grande, ne ammirava la scelleratezza e le follie, e Macheath, è probabilmente il più folle fra quelli da lui creati. Macheath, o Mackie, è presentato al pubblico con “Die Moritat vom Mackie Messer”, vera e propria “ballata di omicidi” in cui viene presentata l’efferatezza psicopatica di un protagonista artefice di svariati e perversi delitti. Macheath è ovviamente basato sul Macheath di John Gay, ma grazie alla musica che Weill gli cuce addosso il personaggio brechtiano riesce nell’intento di divenire più attraente e perversamente sensuale della sua controparte originaria. Quella di Brecht per il lato oscuro dell’uomo fu una passione condivisa dall’intera Weimar, attratta e stregata da criminali, serial killer ed in particolare dai delitti a sfondo sessuale.

Macheath, che rappresenta il vero diavolo della metropoli, è disegnato da Weill con una partitura beffardamente canticchiabile che si pone a metà fra il genere classico e quello popolare, senza mai disdegnare categoriamente virate verso il pop più scanzonato. Lo spartito è orchestrato per un ristretto numero di musicisti, sette in totale, ai quali viene chiesto di suonare ventitré strumenti diversi, con questo espediente Weill cercava di ottenere un effetto di generale immediatezza e istintività sconnessa.
Altrettanta libertà fu concessa alle voci dei vari personaggi (così come Gershwin aveva fatto per alcune parti di “Porgy And Bess“), che gli interpreti poterono rendere propri infondendovi il personale grado di disperazione, isterismo e sagacità. Negli anni cinquanta “Die Moritat vom Mackie Messer” divenne uno standard pop americano con il titolo di “Mack the Knife”, cantato da artisti dalla diversa estrazione che, di volta in volta, la modificarono aggiungendo delle variazioni.

Louis Armstrong (aggiunse il nome di Lenya fra la lista delle vittime), Frank Sinatra (citò il celebre verso tratto da “Il Padrino”: “an offer he can’t refuse”), Ella Fitzgerald e Bobby Darin, la lista potrebbe continuare ancora con molti altri artisti, comprendendone anche svariati tutt’oggi in piena attività. Kurt Weill continuò a riscuotere grande successo per molti anni anche in seguito alla sua morte, così come tutt’oggi ancora riesce a fare. Grazie a quell’infida orecchiabilità capace di unirsi splendidamente ad un’astuta orchestrazione modernista, Weill proiettò i versi di Brecht così che giungessero alle orecchie di artisti quali Bob Dylan, che non si limitarono alla re-interpretazione di brani celebri del compositore.

Quest’ultimo, affascinato da un’interpretazione teatrale di Lotte Lenya cui assistette da giovane, non impiegherà molto per fare proprio il concetto di Gestus e riutilizzarlo in brani divenuti immagini capaci di farsi riassuntive, non di un momento teatrale, ma di momenti cruciali della storia politica e sociale degli anni ’60 e ’70.

Note:
(1) Kurt Weill, Musik und musikalisches Theater: Gesammelte Schriften, a cura di Stephen Hinton e Jurgen Schebera, Schott, Mainz 2000, p.489.

Letture consigliate:
Alex Ross, Il resto è rumore, Bompiani Editore, III ristampa, Milano, 2013.
Foster Hirsch, Kurt Weill on Stage: from Berlin to Broadway, Limelights Editions, febbraio 2014.
Stephen Hinton, Kurt Weill: The Threepenny Opera, Cambridge University Press Handbook, Luglio 1990.

TORNA ALL’INDICE DEGLI ARTICOLI
TORNA ALL’ARTICOLO PRECEDENTE
VAI ALL’ARTICOLO SUCCESSIVO

Promuovi la cultura e goditi contenuti esclusivi

Musicoff Patreon

Instagram

Instagram has returned empty data. Please authorize your Instagram account in the plugin settings .

MUSICOFF NETWORK

Musicoff Discord Community Musicoff Channel on YouTube Musicoff Channel on Twitch Musicoff Channel on Facebook Musicoff Channel on Instagram Musicoff Channel on Twitter