Nata da padre suonatore di banjo e una ballerina appena tredicenne, l’infanzia di Billie non fu certo facile. Ancora giovanissima, per non dire bambina, fu costretta a prostituirsi in un bordello di Harlem, attività che univa ad altri lavori umilianti e faticosi.
La proprietaria del bordello, tuttavia, le dava la possibilità di ascoltare i dischi di alcuni artisti molto in voga, come la cantante Bessie Smith e il più grande trombettista di sempre, Louis Armstrong.
Come spesso succede, è proprio la musica a salvare la vita di Billie. Notata quasi per caso dal produttore John Hammond, che è dietro al lancio di artisti come Count Basie, Leonard Cohen, Bob Dylan, Aretha Franklyn, Bruce Springsteen e Stevie Ray Vaughan tanto per citarne una minima parte, inizia ad incidere dischi con l’orchestra di Benny Goodman.
Da lì la sua vita decolla verso l’olimpo delle star, arrivando al fianco anche di quel Louis Armstrong i cui dischi erano l’unico sollievo di un’adolescenza infelice, da schiava.
Non è un caso, del resto, se prese una posizione molto precisa anche nelle lotte razziali, basti ricordare la canzone “Strange Fruit” che le creò non pochi problemi (il tema ruotava intorno all’impiccagione di un uomo di colore su un albero da parte dei bianchi, cosa che succedeva piuttosto spesso, soprattutto in determinati Stati americani rurali).
Purtroppo come molti all’epoca fu travolta dall’abuso delle droghe, cosa che ne compromise in parte anche la voce a lungo andare, fino alla morte del 1959.
Ma un posto nel nostro cuore Billie lo avrà sempre, come in quello di tanti artisti, dagli U2 che le dedicarono “Angel of Harlem”, alla “Lady Day” di Lou Reed.
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