Ricercato partner dei più grandi, Doyle Bramhall II è chitarrista, produttore ma soprattutto songwriter nel nuovo Shades con diversi ospiti di alto rango.
Chi l’ha visto sul palco di Eric Clapton nel corso degli ultimi vent’anni ha avuto modo di apprezzarne le doti – notevoli – di strumentista, ancora più evidenti quando si tratta di suonare la sua musica. Il ragazzo cresciuto spalla a spalla con i fratelli Vaughan è oggi un artista completo che non si adatta a facili definizioni.
Chitarrista capace di passare dai toni più grezzi a delicate finezze senza somigliare troppo a nessuno dei grandi maestri, Doyle definisce nelle canzoni che scrive un mondo variopinto che si mantiene equidistante sia dal Blues che dai pilastri della musica pop moderna.
Mischia le carte con facilità senza preoccuparsi, sempre pronto a sorprendere con una soluzione armonica inusuale, poco prevedibile e spesso originale, a rischio di scontentare quella parte di pubblico che non ha tempo o voglia di addentrarsi in una dimensione artistica meno scontata della media.
I paragoni sono sempre difficili, ma più volte viene da pensare a quel Lenny Kravitz con il quale Bramhall ha diverse cose in comune, come la capacità di scrivere canzoni intriganti, le notevoli doti chitarristiche, l’amore marcato per le armonie vocali e per le melodie beatlesiane.
Nell’album, dall’iniziale, cupa, “Love And Pain” si passa alla frizzante “Hammer Ring”, uno dei momenti trainanti dell’album dal punto di vista del groove, ma già il terzo pezzo è una pop-soul ballad malinconica, “Everything You Need”, dove Eric Clapton si presta a uno scambio di fraseggi con la sua proverbiale eleganza.
“London To Tokyo” è una canzone sofisticata in cui gli archi si intrecciano abilmente con le chitarre, a contrasto con “Live Forever”, una robusta performance eseguita con i vecchi amici texani Greyhounds pestando allegramente sugli strumenti per accompagnare melodie vocali molto più “educate”.
“Searching For Love” è un’altra slow ballad, che alterna atmosfere bluesy e solari con l’aiuto di Norah Jones, ma “Break Apart To Mend” potrebbe essere uno dei parti più trasversali di un Neil Young prima maniera.
L’amore per la musica del Nord-Africa viene rimarcato efficacemente in “Parvanah”, quello per i Fab Four in “Consciousness” con il suo finale onirico, mentre la chiusura è affidata a un’intensa cover di “Going Going Gone”, dal Dylan di metà anni settanta, con la slide “marziana” di Derek Trucks che spicca nel dialogo con la sei corde graffiante del titolare.
Abbiamo fatto qualche domanda a Bramhall, sottraendolo per un attimo al suo tour per raccontare qualcosa della sua personale dimensione artistica.
È difficile classificare la musica che fai oggi. C’è in parte anche il bisogno di differenziarsi da quella che è stata la tua immagine artistica negli ultimi vent’anni?
Non sento questo bisogno. La musica, così come esce, è l’espressione della creatività dentro di me. Ho smesso molti anni fa di cercare di adeguarmi a una determinata immagine perché per me la cosa più importante è rimanere fedele alla mia espressione e alla musica. Tutto il resto è fumo…
A parte la chitarra, chi sono i tuoi artisti di riferimento oggi?
Trovo ispirazione per la maggior parte nel silenzio quando non sto lavorando sulla mia musica, cosa che al momento faccio a tempo pieno. Se ascolto qualcosa per il mio piacere, si tratta in genere di band Sufi dal Marocco, musica classica, musica del Medio Oriente o del Nord Africa.
Il tappeto ritmico di chitarra in “Hammer Ring” ricorda in effetti la cosiddetta desert music del Nord Africa. Ti piacciono artisti come Bombino o Tinariwen?
In realtà in quel pezzo ho suonato l’oud, lo strumento medio-orientale. Ho iniziato a suonarlo dopo aver ascoltato un musicista somalo nel 2004. Il riff l’ho preso da lui. Era un video YouTube in cui suonava nel deserto tra cammelli e altri animali. Ascolto le band che hai citato come anche artisti del Mali fra cui Oumou Sangaré, Ali Farka Touré, Toumani Diabate.
Canzoni come “London to Tokio” hanno una produzione piuttosto sofisticata. Hai arrangiato personalmente gli archi? E nelle armonie vocali hai sovrainciso la tua voce?
In questo e nell’album precedente, Rich Man, gli archi sono stati arrangiati da Adam Minkoff che è nella mia band. Uno dei suoi compositori preferiti è il grande Ennio Morricone. Di solito sono io a scrivere tutte le parti vocali. A volte le canto tutte oppure chiamo altre persone per avere diverso carattere e struttura, a seconda di quel che richiede la canzone. In “London To Tokyo” è sempre la mia voce.
Cosa pensi sia stato in te e nel tuo lavoro a colpire così tanto Clapton e Roger Waters da chiederti di lavorare con loro?
Immagino fosse il mio approccio, il suono e il fatto di essere cresciuto quasi con le loro stesse influenze musicali, per cui ero in grado di attingere alla loro stessa fonte. Penso che Eric potesse sentire tutte le mie influenze quando suonavo e cantavo. Ha un orecchio incredibile. Con Roger forse è stato lo stesso. Chi lo sa?
Con Clapton hai lavorato per molti anni. Qual è la cosa principale che hai imparato da lui?
Semplificando al massimo, credo di aver imparato da lui a fare tutto da me come artista, produttore e performer. Ad ascoltare la mia voce e aver fiducia in me stesso nel viaggio che è la mia carriera.
Quali sono i componenti essenziali del tuo suono oggi?
Uso amplificatori Two Rock, chitarre semi-hollow Collings I-35 e Heritage 535, una Fender Stratocaster del 1964 e un’altra chitarra costruita da Chad Underwood.
I pedali sono Acid Fuzz “The Zoink Machine”, Dustin Francis 1969 BC183 Fuzz Face, Jesse Davey “The Duellist” ed Experience di Prescription Electronics.
Sarai in tour a lungo per promuovere l’album o ci sono altri progetti importanti in ballo?
Sono in tour proprio ora per il nuovo album Shades e sto per partire con Boz Skaggs come ospite speciale. Il prossimo anno sarò in tour con Clapton e poi con la mia musica, dalla fine di maggio fino ad agosto o settembre. Ho scritto delle cose con un nuovo artista, Quinn Sullivan e forse produrrò presto qualcosa per lui. Ho in ballo la partecipazione a molti show con una varietà di artisti. Uno è sulla East Coast, un tributo a Bessie Smith organizzato da Paula Cole, e penso sarà molto divertente e significativo.
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