Manchester. Un altro concerto di musica, un’altra strage dovuta a un attacco terroristico.
Non è certo una notizia, né siamo qui per ricordarvi ancora una volta il numero dei morti e dei feriti, la loro età, lo strazio che in queste ore staranno vivendo le loro famiglie.
Ma è singolare che proprio determinati luoghi di aggregazione, sentimenti positivi, condivisione culturale, vengano aggrediti per l’ennesima volta. I nostri luoghi, quelli dei musicisti e degli amanti della Musica.
Nel 2015 fu il Bataclan. Concerto degli Eagles of Death Metal. Alcuni di noi erano, quella sera stessa, a Bologna per il concerto di un’altra rock band, i Foo Fighters. Dopo una serata musicalmente elettrizzante, fu la prima volta che durante l’uscita, invece dei canti a squarciagola, si sentirono molte suonerie di messaggi e telefoni, un brusìo circostante, tante espressioni esterrefatte, alcuni silenzi increduli.
“Potevamo essere noi” era il pensiero di tutti.
La sera stessa i Foo Fighters annullarono il loro tour e tornarono in America. Da un lato non se la sentivano di continuare, ma dall’altro erano ovvie le ragioni di sicurezza in quei giorni (il giorno dopo avrebbero dovuto essere a Torino).
La stessa cosa è successa poche ore fa. Dopo l’attentato all’uscita dal live, Ariana Grande ha annullato tutte le date europee del suo tour.
Al di là dei generi, dei gusti musicali, di ogni altra cosa di cui è futile ogni argomentazione adesso, quello che conta è come stia continuando a vincere il terrore, il silenzio a prevalere sulla cultura, sulla musica.
Viene da chiedersi quale sia la reazione di noi musicisti a tutto questo.
Continuare o sospendere? Avere paura o ergersi di fronte alle strategie del terrore?
Non viviamo in un film hollywoodiano in cui essere coraggiosi sembra facile e scontato, non è semplice come si può pensare rispondere a una domanda del genere. Soprattutto quando sai che il tuo spettacolo può mettere a rischio in ogni momento decine o centinaia di persone.
Intanto, nella musica, qualcuno si oppone in maniera netta e spesso sono musicisti provenienti dai paesi in cui circola e da cui si diffonde il veleno del terrorismo.
Uno di loro è Shaaban Abdel Rehim, che è stato definito “il cantante egiziano più odiato dall’Isis”, perché ha definito il leader terrorista Abu Bakr al Baghdadi “principe dei criminali” in una canzone.
C’è poi Helly Luv, la pop star curda in cima alle liste nere dei terroristi per le sue canzoni in cui incita alla rivoluzione di tutti gli oppressi contro il califfato. Afferma “Non bisogna aver paura nel mondo. Uniamoci per far sapere loro che noi siamo qui“.
Terzo, ma non ultimo, esempio è quello di Aeham Ahmad, un pianista siriano diplomato al conservatorio che ha vissuto momenti drammatici nella sua Damasco e usa la musica contro le strategie del terrore. I terroristi dettero fuoco al suo pianoforte e uccisero un bambino che lo stava ascoltando suonare.
E quindi, viene da pensare che se il terrore vuole avere lo specifico scopo di spaccare in due il mondo, di separare i fratelli e le sorelle in quanto esseri umani, forse può diventare l’occasione, anche con la musica, di unirci nel combattere le frange estremiste. Non si tratta quindi solo di preservare la nostra cultura, ma di unirla a quella di coloro che sono oppressi in patria da decenni, come noi stiamo imparando solo negli ultimi anni.
Fare musica, insieme; resistere, insieme.
People Have The Power
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