Inauguriamo oggi uno speciale in 3 puntate a cura di Andrea Pellegrini, fonico di caratura internazionale e grande amico di Musicoff, attualmente in tour con i Brit Floyd che saranno presto in Italia.
La parola subito ad Andrea…
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Per capire bene cosa penso dei Brit Floyd devo sottolineare una cosa: gli ultimi anni sono stati decisamente fortunati per me, una sorta di sogno che diventa realtà, mi sono infatti trovato a lavorare con svariati artisti e musicisti di fama interazionale. Senza contare una miriade di progetti inediti, tanto belli quanto musicalmente stimolanti.
Per cui non sapevo bene come interpretare questa occasione lavorativa con una tribute band, per quanto famosa e prodotta ad altissimi livelli. Quando mi ci sono trovato dentro, ho capito una cosa fondamentale…
Questa non è una tribute band dei Pink Floyd.
Lo show che i Brit Floyd portano in giro per il mondo, come concetto, è molto più vicino all’Opera. Mi spiego meglio: se vai a teatro a vedere Verdi o Mozart, ovviamente non trovi né l’uno né l’altro a dirigere, ma altre persone che eseguono in maniera corretta e rispettosa la musica scritta, interpretandola. Il tutto contestualizzato in una scenografia suggestiva.
Cosa ci spinge quindi ad andare a una rappresentazione di questo tipo? Chiaramente le composizioni, ma allo stesso modo la scenografia, la regia, l’unicità del luogo e dell’evento, il suono, l’impatto emotivo e così via.
Ecco, qui è la stessa cosa. I Brit Floyd sono un gruppo di musicisti che suonano puntando i riflettori sulla musica, l’impatto visivo con giochi di luce e laser e la resa sonora dell’evento. Chiaramente vengono avvantaggiati dal fatto che i Pink Floyd sono forse l’unico (o il più famoso) gruppo senza frontman al mondo.
I Pink Floyd veri, oltretutto, non sono (e ne saranno) più operativi, con mio sommo dispiacere, questo vuol dire che non è più possibile affidarsi agli artisti originali per poter godere di un’esperienza del genere.
La produzione, estremamente completa, viaggia con due bilici di cui uno dedicato esclusivamente al “ferro” (ovvero le strutture in americana realizzate custom per lo show) e al materiale luce e video.
L’architettura del palco vede una scenografia che fa uso di un cerchio e un arco. Sono presenti entrambi in dimensione regolare ed in dimensione ridotta, per adattarsi alle dimensioni dell’ambiente che ci ospita. Una struttura come Red Rocks, ad esempio, ci permette di utilizzare la scenografia completa, in altri casi può essere sacrificato l’arco, lasciandoci la scelta tra cerchio grande e piccolo, oppure viene messo il cerchio più piccolo unito all’arco minore.
Sia nell’arco che nel cerchio viene montato come avrete forse intuito il telo per le proiezioni video che accompagnano la musica. Anche in questo caso preciso che in alcune situazioni, come la suddetta Red Rocks, non viene coperto lo spazio dell’arco (come vedete nella foto) per chiare ragioni scenografiche: l’ambientazione direi che parla da sola.
Tutto il ferro e le luci sono proprietà della produzione, viene spedito dall’Inghilterra. Per il lighting arrivano i fari, la consolle GrandMa 2 e idem tutte le attrezzature che si utilizzano per il comparto video.
Il secondo bilico è invece dedicato all’audio. L’impianto, che è un D&B serie J con moduli J8 J12 J Sub e moduli V e Y che utilizziamo per i front fill e i Side fill, viene noleggiato negli USA.
Questo è ciò che viaggia insieme a noi. In alcuni posti utilizziamo l’impianto residente, se esso è all’altezza delle richieste (sono io stesso ad approvarlo).
È raro che, ove sia già presente l’impianto, ci sia la necessità di farlo smontare: fortunatamente i teatri di solito sono veramente molto belli se non straordinari.
Nello stesso bilico c’è la strumentazione dei musicisti, che è proprietà sia dei musicisti che della produzione, a seconda dei casi. La batteria, ad esempio, è della produzione, come anche le tastiere e i microfoni.
Parlando di questi ultimi, io ho richiesto innanzitutto una fornitura di microfoni DPA D-Facto per le voci. Sulla batteria, il modello top di DW Drums equipaggiata con piatti Zildjian, uso Shure beta91 nella cassa, beta57 sul rullante, Sennheiser 604 su tom e cordiera, due AKG C451B e come overhead gli Audio-Technica AT4050.
Piccola nota curiosa sul batterista: è Arran Ahmun che è stato dietro le pelli di Pino Daniele dal 1988 al 1992 e la cosa divertente è che in quegli anni il fonico di Daniele era Rodolfo “Foffo” Bianchi, mio caro amico e assoluto mentore per la mia stessa carriera di fonico. Non riuscirò mai a ringraziarlo a dovere.
Le chitarre, il basso e la sua amplificazione, i sistemi Fractal di bassista e chitarristi sono di proprietà dei musicisti.
I mixer vengono noleggiati negli Stati Uniti, per quanto ovviamente riguarda questo specifico tour USA. Abbiamo un CL5 Yamaha come mixer di palco, su cui opera il fonico Mark Hadman. Io invece utilizzo un Midas Pro2. C’è uno splitter attivo che divide il segnale di due stage box in modo tale che noi due possiamo essere indipendenti sulla gestione dei guadagni.
Tanto per capirci, il mio mixer ha 48 canali. Li ho tutti pieni. Mi piace lavorare col Pro2 in quanto è un ottimo compromesso tra potenza e dimensione.
La richiesta che la produzione volge nei miei confronti è quella di un risultato sonoro che stia a cavallo tra il live e l’esperienza dell’ascolto dei brani originali, quindi con un’ottica quasi hi-fi.
Questa è senza dubbio la parte più difficile da realizzare in quanto questi due mondi possono stare in antitesi, ma senza dubbio per me è la cosa più stimolante ed affascinante. Significa quindi gestire i riverberi, i piani sonori, la dinamica, la timbrica, e cosi’ via con cura e dedizione. Un lavoro da “scribano fiorentino di fine ‘300” , dove però lascio spazio anche alla mia interpretazione (ove possibile) ed al mio gusto in quanto a suono.
Nel prossimo articolo parleremo di strumentazione e scoprirete il perché di questo mixer così affollato!
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