È inutile girarci intorno: gran parte di ciò che ancora oggi è nell’immaginario della musica rock lo dobbiamo ai The Who e al suo leader Pete Townshend.
Con una carriera iniziata ai prodromi del british rock – che pochi anni dopo muterà in “invasion” – a differenza dei Rolling Stones, all’inizio piantati mani e piedi nel blues, e dei Beatles, i cui primi dischi erano quasi inudibili sotto gli urli delle giovani fan, per i The Who le idee sono subito molto chiare: salire su un palco e inondare le persone di decibel.
Pete Townshend è in questo un precursore. A lui e pochi altri dobbiamo l’entrata in scena di amplificatori maggiorati di potenza, distorsioni, pedali fuzz e un uso decisamente fuori dal comune della chitarra.
Chitarrista ritmico più che solista, ancora oggi reggere la sfida con lui è durissima, uno di quelli che quel suono lo ha nelle mani. Dirompente, cristallino, forte come un ceffone in piena faccia, dai primi Marshall e Fender ai muri di Hiwatt delle immagini più note.
Ma Townshend è anche un grandissimo compositore. Vuole abbandonare velocemente i limiti imposti dalle case discografiche, producendo brani della durata maggiore a quella di un 45 giri. Il primo timido tentativo lo fa nell’album A Quick One, con il brano “A quick one, while he’s away”, ma in realtà si tratta di 6 brani molto corti uniti insieme, un po’ a forza, ma funziona, come dimostra la splendida esibizione live al Rock and Roll Circus degli Stones nel 1968.
Ma Townshend compie un passo da gigante e l’anno successivo esce il suo capolavoro compositivo, Tommy, la prima Rock Opera della storia, un album che dovrebbe stare nelle case di ogni appassionato di musica.
Oggi Pete compie 73 anni, ma a quanto pare sul palco è ancora un ragazzino!
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