È facile prendere da parte oggi un giovane, ma anche qualcuno di più attempato, è chiedere chi sia e che strumento suoni Jimi Hendrix o altri musicisti come lui diventati icone e, quindi, note ai più, anche a chi non ha mai acquistato un loro album.
Per rivolgere la stessa domanda parlando del chitarrista/bassista Walter Becker, l’interlocutore deve necessariamente avere un livello di conoscenza della musica approfondito e raffinato, anche se probabilmente chiunque almeno una volta nella vita avrà sentito un brano dei mitici Steely Dan.
Assai difficile definire la sua/loro musica, dal rock, al jazz, al pop… fondamentalmente “buona” musica, che poi incontri i nostri gusti o meno. Ci può non piacere il jazz, ma non si può dire che Coltrane non facesse buona musica. La stessa cosa vale per gli Steely Dan, che in più ci hanno regalato tante registrazioni studio di qualità stratosferica (cosa spesso sottovalutata, ma anche su questo si basa, e non poco, la capacità di una musica di attrarci o meno).
La band nasceva da un duo creativo, quello di Becker con un altro grandissimo musicista, Donald Fagen, che oltre agli Steely ha prodotto notevoli album da solista, primo tra tutti quel The Nightfly che fu rivoluzionario nel 1982, aprendo la strada alle prime registrazioni digitali (con i mezzi dell’epoca, quindi, un mezzo miracolo!).
Nato a New York, nel Queens, Walter Becker conobbe Fagen al college durante il periodo più bello di sempre per il rock, la fine dei ’60. Come molti giovani studenti, la musica li rapì in breve tempo, portando alla fondazione della band (in realtà prima variarono varie formazioni, in una era addirittura presente l’attore comico Chevy Chase).
Il primo album studio venne pubblicato del 1972, intitolato Can’t Buy a Thrill, nel quale già si dimostrarono degli astuti compositori e produttori. “Do It Again” è un incredibile successo commerciale.
Si circonderanno sempre di grandi musicisti: da Elliott Randall a Jeff Porcaro e nel 1977, con il loro celebre Aja, formano un vero e proprio dream team con Larry Carlton, Steve Gadd e Wayne Shorter.
Il loro sodalizio ha fine nel 1981 e i due intraprendono carriere soliste come musicisti e produttori, fino alla reunion del 2000 e a quel Two Against Nature che gli valse un Grammy Award come album dell’anno.
Walter Becker ebbe il suo primo incontro con la musica attraverso il sassofono, che abbandonò presto in favore della chitarra blues anche grazie a un maestro d’eccezione, Randy Craig Wolfe, quel “Randy California” che nello stesso momento stava fondando gli Spirit, una delle formazioni rock-blues più importanti degli anni ’60, ben conosciuti tra i giovani chitarristi dell’epoca per quel sustain incredibilmente prolungato con cui Randy condiva i propri assoli (ascolto consigliato “Mechanical World“).
Sin dai primi minuti dopo la sua scomparsa, ieri, musicisti da ogni dove hanno tributato il loro omaggio a Becker. Larry Carlton lo ha definito un'”icona della musica”.
Warren Haynes ha scritto un lungo e sentito post:
Ovviamente non si è fatto attendere il ricordo di Donald Fagen, che ha dichiarato:
Walter Becker era il mio amico, il mio writing partner e il mio bandmate da quando ci eravamo conosciuti al Bard College nel 1967. Iniziammo a scrivere canzonette su un piano verticale in una lobby del Ward Manor, una vecchia costruzione sul fiume Hudson che il college usava come dormitorio.
Avevamo molte cose in comune: il jazz (dagli anni ’20 fino a metà dei ’60), W.C. Fields, i fratelli Marx, la fantascienza, Nabokov, Kurt Vonnegut, Thomas Berger e i film di Robert Altman. Anche la musica soul e il blues di Chicago.
Walter aveva avuto un’infanzia dura. Per fortuna era uno tosto, un chitarrista eccellente e un grande autore di canzoni. Era cinico sulla natura umana, compresa la propria, e molto divertente. Come molti ragazzi che escono da brutte storie familiari, aveva una creatività unica, riusciva a leggere la psicologia nascosta delle persone e trasformava tutto in arte. Scriveva delle lettere imitando lo stile originale di mia moglie Libby e tutti e tre ridevamo da matti.
Le sue debolezze ebbero il sopravvento alla fine degli anni ’70, e ci perdemmo di vista per un po’. Quando stavo lavorando alla NY Rock and Soul Review con Libby, ci ritrovammo per ricostruire gli Steely Dan e mettemmo insieme un’altra band formidabile.
Intendo mantenere viva la musica che creammo insieme fino a quando posso, con la band degli Steely Dan.
Un messaggio che quindi sembra confermare il prosieguo dei concerti già programmati, che però perdono un loro protagonista fondamentale.
Ma la stessa Musica, più in generale, lo ha perso.
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