Ma spesso accanto a loro si sono distinte anche personalità che pur non avendo per natura dentro le vene quel sangue e quel groove della “pelle nera”, sono considerati a pari livello assoluti geni della musica del ‘900.
Uno di loro è Dave Brubeck, formidabile pianista e compositore che nasceva oggi nel 1920 (e, tra l’altro, ci ha lasciato proprio un giorno prima del suo compleanno nel 2012).
Come tutti i giovani pianisti inglesi dell’epoca, la formazione di Brubeck non poteva essere che classica. Ma ben preso il giovane Dave sviluppò una forte passione per il “nuovo” genere i cui echi arrivavano da oltreoceano, il Jazz.
La prima data davvero importante per lui è il 1951, anno in cui nasce il Dave Brubeck Quartet, con Paul Desmond al sax, Bob Bates al basso e Joe Dodge alla batteria.
Com’è prevedibile, pur non avendo mai abbracciato davvero fino in fondo la musica classica, il modo di suonare di Brubeck risente di quel retaggio (del resto, a indagar bene, tanti musicisti insospettabili del genere avevano ben più che un orecchio fugace per la musica colta… ); la combinazione è però particolarmente elegante e sebbene nei primi passi non viene notata con piacere da parte della critica, mano a mano si perfezione e accresce l’interesse intorno a sé.
Ma è il 1959 l’annata migliore per l’artista: nell’estate viene pubblicato quel disco capolavoro, probabilmente tra i 10 dischi da isola deserta per molti jazzisti, che è Time Out.
Registrato a New York presso i 30th Street Studios della Columbia/CBS Records, nel quale sono stati incisi capolavori di ogni tempo e genere da Kind of Blue di Miles Davis a The Wall dei Pink Floyd, questo album (nella sua intera bellezza) contiene due assoluti masterpiece del genere: “Blue Rondò à la Turk” e “Take Five“, con i loro temi che siamo certi che, anche a completo digiuno di Jazz, avrete ascoltato almeno una volta nella vita.
È un disco dalle continue sorprese, prima di tutto nei tempi ma anche nelle scelte di arrangiamento: in “Take Five” tutti potrebbero aspettarsi un assolo di piano o di qualche altro strumento, il sax ad esempio (visto anche che il brano nasce anche da un’idea di Paul Desmond), che solitamente troviamo come protagonista dei momenti di improvvisazione nei dischi dell’epoca.
Invece la scelta è ardita, perché il riflettore più potente viene puntato su un solo di batteria, quello del mitico Joe Morello, ed è senza ombra di dubbio uno dei momenti più esaltanti di sempre dello strumento, senza eccessivi virtuosismi, in tutta la storia jazzistica.
Nel giorno in cui Brubeck avrebbe festeggiato il suo compleanno, riascoltiamo proprio questo grande classico senza tempo.
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