Il suo vicino di casa (Abel Shaker) lo vede, lo saluta e capisce che qualcosa non va.
“Tutto bene Les?“.
“Sì, sto una meraviglia…“.
Lester Bangs lo diceva sempre a tutti: sto una meraviglia… E mai come negli ultimi 6 mesi diceva la verità: aveva smesso con le droghe e persino il suo loft (celebre per il degrado e lo squallore) sembrava rimesso a lucido.
Lester entra in casa, non chiude nemmeno la porta, mette sul piatto del giradischi il suo album preferito di quei giorni e crolla sul divano: nel giro di mezz’ora la sua amica Nancy Stillman sarebbe arrivata per una serata di musica.
Vuole riposarsi un pochino.
Quando Nancy arriva vede Lester sul divano, a faccia in giù con un braccio che penzola. È una posa abituale per lui, quando dorme.
Solo che stavolta Lester non dorme…
Sul piatto sta girando il miglior album degli Human League (Dare) ma Lester Bangs, il più famoso giornalista Rock della storia, non lo sta più ascoltando. È morto da qualche minuto, forse per una dose di eroina tagliata male, forse per un mix letale di droga e farmaci ingeriti per curare l’influenza.
Il ragazzo che aveva mandato la sua prima recensione a Rolling Stone con una nota a piè di pagina (“se non la pubblicate, mi dovete spiegare il perché“) ora giace senza vita, senza ancora aver compiuto 34 anni, come molti dei suoi eroi musicali.
Eccentrico, irriverente, trasgressivo e geniale, Lester Bangs è stato il Jimi Hendrix della critica Rock: talmente originale che tentare di copiarlo diventa un’operazione ai confini del ridicolo. Bangs non aveva timore di stroncare i grandi, specie quando i grandi sbagliavano. Per uno solo, ha avuto una predilezione speciale: il suo nome è Lou Reed.
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