Nell’intervista di Riccardo Marra, Gegè Telesforo, cantante, speaker radiofonico e appassionato di musica sperimentale da lunga data, ricorda Dalla come compagno di scat, tornando con la memoria a quel felice incontro sul palco televisivo della trasmissione DOC da lui condotta a fine anni ottanta in stretta collaborazione con Renzo Arbore.
Gegè, marzo è il mese di Lucio Dalla: la nascita, la morte. Vorrei partire quindi dall’aspetto personale, che ricordo hai di lui?
Quello di una persona generosa e appassionata. Cavolo, ti stordiva con la sua passione per la musica, l’arte e la natura! Ricordo che ci siamo conosciuti alle Isole Tremiti, lui stava là con la sua barca chiamata Catarro. Era il 1980, aveva da poco registrato l’album Dalla ed era uno spasso vederlo che si godeva il mare. Io e un altro gruppetto di giovani musicisti pugliesi fummo accolti benissimo da lui.
La semplicità del mare e l’avanguardia della musica: è questo l’ossimoro Dalla?
La sua avanguardia era la curiosità, ovvero il non ascoltare solo un tipo di musica. Lucio era appassionato di world music, indagava i suoni che venivano da altri paesi, era un fan di musica classica, conosceva perfettamente l’Opera oltre ad avere un eccellente background jazzistico. Insomma, non era solo un cantautore.
E il jazz gli insegnò a improvvisare e mischiare le carte. Tanto è vero che, se si vanno ad analizzare le strutture ritmiche e armoniche dei suoi pezzi, si noterà una varietà fuori dal comune. Ti faccio un esempio: anche un brano che potrebbe apparire ordinario come “Attenti al lupo”, invece, è un’autentica rottura degli stereotipi della canzone pop: strumenti strani, gorgheggi, inserti nuovi.
E poi c’erano pezzi che il pop lo sfiguravano del tutto, vedi quella “Stronzo” che tu hai riletto dopo la morte di Lucio. Un brano folle, no?
“Stronzo” è un incredibile brano scat. Ha una struttura anomala, i canoni della canzone sono capovolti. Nel 1983 le radio private e la RAI non potevano passarlo, secondo me, non tanto per la parolaccia ripetutamente scandita dal coro, ma perché proprio non ne capirono il senso. E poi forse perché si saranno chiesti: ma con chi ce l’ha Dalla? A chi è rivolto quell’insulto?
Non lo sapremo mai. Senti, parliamo un po’ della voce di Lucio.
Una voce infinita, estesa. Ci giocava, riusciva a ironizzare con la sua vocalità e poi sfoggiava mille timbri: scherno, dramma, pazzia. Non era mai uguale la sua voce. Non annoiava, si calava perfettamente nella musica. L’approccio di Dalla con la sua vocalità era strettamente connesso alla padronanza degli strumenti che conosceva: pianoforte, clarinetto, sassofono.
Come un vestito da abbinare. Tra l’altro Lucio non aveva studiato la musica, non era stato in conservatorio, tutto ciò che possedeva era l’istinto. Come un animale, un animale da palcoscenico.
Era come Chet Baker. Tipi così ne nascono uno ogni cinquant’anni, eh!
Torniamo allo scat. Sono passati trent’anni dal vostro mitico duetto a Doc su Raidue. Cinque minuti di improvvisazione a perdifiato. Ci racconti come andò?
Incredibile! Era il 1988, con Renzo Arbore invitammo Lucio che, con la sua solita generosità, si mise totalmente a disposizione del programma. Me lo ricordo ancora, arrivò con questo borsalino grigio e questi gilet e cravatta marroni dicendoci: “Allora? Che devo fare?”. Quindi, dopo aver duettato con Arbore in una versione fantastica di “I Can’t Give You Everything But Love” di Billy Holliday, venne il mio turno.
Nel dietro le quinte decidemmo un turnaround del tipo po-pa-po po po-pa (Telesforo simula il motivo con la voce, ndr) e partimmo. C’era questo groove ipnotico che girava continuamente, noi iniziammo a improvvisarci sopra.
All’inizio ammetto di aver avuto un po’ di difficoltà, voglio dire: accanto avevo un gigante come Dalla e quindi un po’ di tensione c’era. Poi però, lungo i minuti, il nostro dialogo fatto di fonemi, scat, ammiccamenti divenne totalmente folle e credo coinvolgente per tutti.
In quella puntata Dalla fece anche la cosiddetta “frantumazione del clarinetto”: uno sketch in cui smonta e rimonta il suo strumento in una sorta di teatro-canzone.
Sì, era un pezzo che proponeva in quegli anni. Ed è l’ennesima prova di quella che io definisco la sua immotivata euforia che veniva fuori al momento giusto.
Insomma era la staticità ciò che odiava più di tutto. La staticità della musica.
Esattamente. La musica la vedeva come qualcosa in continuo movimento, senza filtri, senza steccati.
Che è un po’ la filosofia dietro a “Variazioni sul tema”, no? Il tuo programma su Rai5.
Vero, affronto proprio questo aspetto. Infatti nella prima puntata intitolata “L’evoluzione della specie”, ho fatto dialogare il rapper Willy Peyote e il grande maestro jazz Enrico Intra. Perché anch’io odio i comparti stagni e le gabbie musicali.
Se Dalla fosse ancora tra noi l’avrei invitato come ospite fisso. Sarebbe stato perfetto perché Variazioni non è un programma di musica ma sulla musica.
Ma ci sono nuovi Lucio Dalla in giro?
Non lo so, ma di sicuro grande musica ce n’è eccome, solo che bisogna andarsela a cercare senza attendere la discografia ufficiale. Non dobbiamo accontentarci, dobbiamo scovare cose su bandcamp e sulle altre piattaforme.
Nel mio programma “Soundcheck” proviamo a fare questo: evadere dal concetto di discografia per passare a quello di musicografia intesa come proposta di musica liquida, che scorre nelle varie piattaforme, su vari formati.
Se la gente ascolta musica in movimento, senza palinsesti, senza strutture, non possiamo negare l’evidenza, ormai è così.
Chissà quanto Dalla si sarebbe sentito a suo agio in questo nuovo scenario. Per chiudere ti chiedo: si avverte il suo lascito nei suoni di oggi?
Sì è presente. È presente nelle composizioni di molti giovani musicisti, nei nuovi cantautori italiani. Si sente eccome il suo tocco. Purtroppo però quello che manca è… lui, intendo lui come persona. Lui come Lucio.
La sua verve, la sua personalità, le sue battute. E anche fisicamente: quando ti salutava alzandosi il parrucchino o il suo modo quasi gorillesco di camminare. Mi manca molto Lucio.
Riccardo Marra
L’articolo è pubblicato sul Mucchio numero 764 in edicola nel mese di marzo 2018.
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