Chiunque, come me, si è trovato a scrivere canzoni e musica in generale si sarà chiesto prima o poi da dove arriva questo impulso o anche semplicemente cosa sia il processo creativo, come può succedere che a volte possa passare attraverso di noi quel lampo particolare che rende unici una melodia o delle parole.
Se affrontiamo direttamente quell’oggetto ambiguo chiamato “canzone” il discorso si fa interessante, perché – sminuita e relegata spesso al rango più basso – in realtà essa rimane una delle sfide più intriganti del mondo della musica. Scrivere una canzone che sia realmente “grande” e non solo efficace o accattivante è una cosa che riesce a pochi e neanche così spesso.
Tra i malintesi più diffusi c’è quello che basti essere tormentati o sofferenti (generalmente per le fatidiche “pene d’amore”) per animare come d’incanto lo spirito creativo e scrivere qualcosa di indimenticabile. Non è così. Per nessuno. Anche se è vero che grande musica e grandi canzoni hanno avuto origine da momenti difficili e dolorosi. Come dire, situazioni in cui ci si confronta con la propria debolezza e fragilità.
La mia sensazione, mi permetto di condividere, è che proprio la fragilità sia un presupposto necessario per lasciar spazio a una serie di cose che ci identificano come esseri umani, dalla capacità di amare a quella di partecipare attivamente a un processo creativo artistico. Il paradosso è accettare di essere vulnerabili ma cercare comunque di andare oltre il proprio limite.
Per questo mi ha colpito profondamente la risposta data da Nick Cave a un suo fan che, nel suo blog personale, chiedeva:
Considerando l’immaginazione umana come l’ultima landa selvaggia, pensi che un’Intelligenza Artificiale sarà mai capace di scrivere una bella canzone?
Nella sua risposta Cave parte da una citazione del saggista Yuval Noah Harari, il quale ritiene che l’intelligenza artificiale sarà in grado di scrivere canzoni migliori di quelle degli umani… di mappare la mente di ognuno e creare canzoni adattate esclusivamente ai particolari algoritmi mentali, che ci possano far sentire, con molta più intensità e precisione, qualunque cosa vogliamo sentire.
Per sentirci tristi o felici – scrive Harari – basterà semplicemente ascoltare una canzone creata su misura per noi dal computer.
Un po’ inquietante, direi. Ma ci pensa Nick a controbattere con grande lucidità che c’è qualcosa di più…
Certo, ci rivolgiamo alle canzoni perché ci facciano provare qualcosa – felici, tristi, sexy, nostalgici, eccitati o altro – ma non è tutto. Quel che ci fa sentire una grande canzone è un senso di stupore. C’è una ragione per questo. Il senso di stupore è quasi esclusivamente basato sui nostri limiti come esseri umani. Ha a che fare interamente con la nostra audacia di esseri umani nello spingerci oltre il nostro potenziale.
È possibile per una macchina dall’enorme possibilità di calcolo identificare e mettere assieme tutti gli ingredienti necessari per confezionare una canzone come “Smells Like Teen Spirit” dei Nirvana e farci sentire eccitati e ribelli come l’originale? Forse lo può fare e darci sensazioni ancora più intense di quanto possibile a un autore umano, argomenta Cave. Ma…
… per me quando sentiamo “Smells Like Teen Spirit” non si tratta solo della canzone. Io credo che ascoltiamo la fuga di un giovane introverso e alienato dalla piccola cittadina americana di Aberdeen – un giovane che era comunque un pacchetto ambulante di disfunzioni e limiti umani – un giovane che ha avuto la temerarietà di urlare il suo particolare dolore in un microfono e nel farlo, per qualche caso o azione divina, ha raggiunto i cuori di un’intera generazione.
Quel che segue è una dichiarazione d’amore per alcuni fra i musicisti più straordinari di ogni tempo, colti nel pieno della loro inarrivabile intensità…
Stiamo ascoltando anche Iggy Pop che s’immerge nel suo pubblico e si cosparge di burro di arachidi mentre canta “1970”. Ascoltiamo Beethoven che compone la Nona Sinfonia quando è quasi completamente sordo. Stiamo ascoltando Prince, quel minuscolo ammasso di atomi viola, che canta sotto la pioggia battente al Super Bowl e manda tutti fuori di testa. Nina Simone che riempie la più tenera delle canzoni d’amore con tutta la sua rabbia e la sua delusione. Paganini che continua a suonare il suo Stradivari mentre le corde si spezzano. Stiamo ascoltando Jimi Hendrix che s’inginocchia e dà fuoco al suo strumento.
Nick Cave conclude con delle parole su cui vale la pena di riflettere.
Una grande risposta per tutti coloro che pensano che la tecnologia possa risolvere qualsiasi cosa in quel grande mistero che rimane, nonostante tutto, l’essere umano:
Ciò che stiamo realmente ascoltando sono le limitazioni umane e l’audacia di trascenderle. L’Intelligenza Artificiale, con tutto il suo potenziale illimitato, semplicemente non ha questa capacità. Come potrebbe? E questa è l’essenza della trascendenza. Se abbiamo un potenziale illimitato, allora cosa c’è da trascendere? E quindi qual è lo scopo dell’immaginazione? La musica ha la capacità di toccare la sfera celeste con la punta delle dita e lo stupore e la meraviglia che proviamo sono nella disperata temerarietà dello sforzo, non solo nel risultato. Dov’è il trascendente splendore in un potenziale illimitato? Quindi, per rispondere alla tua domanda, Peter, AI avrebbe la capacità di scrivere una buona canzone, ma non una grande canzone. Gliene manca il fegato.
Love, Nick
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