Quando incide “Cocaine” nel ’77 Eric sta cercando di uscire dalla droga pesante e di cambiare immagine. La carta vincente è ancora una volta la musica di JJ.
Sono passati sette anni da quando in un demo di questo sconosciuto chitarrista ha scoperto un pezzo particolarmente interessante. Si trattava di “After Midnight”, diventata un successo di Clapton nel suo album omonimo, accendendo improvvisamente i riflettori sull’autore.
JJ Cale – che era ormai sul punto di mollare la musica per disperazione – è preso di sorpresa e si trova costretto a uscire dalla sua tana, cioè lo studio di registrazione, di cui è molto esperto, per realizzare il suo primo lavoro. Incide di nuovo la sua canzone ma con un arrangiamento diverso, molto più lento e rilassato rispetto all’originale, distaccandosi così anche dalla versione di Clapton.
Grazie a Clapton la sua vita cambia rapidamente e passa dalla quasi povertà al relativo benessere, grazie anche ad altri artisti rock come i Lynyrd Skynyrd che registrano la loro versione di “Call Me the Breeze” nel 1974 e in seguito anche “I Got the Same Old Blues Again”.
Laconico, JJ dichiara: “Anche questo ha aiutato il mio conto in banca“.
Quando realizza Troubadour nel 1976, l’artista di Tulsa è ormai ben noto per il suo stile minimalista, introspettivo, fatto di brani brevissimi costruiti quasi sempre intorno a ritmiche frizzantine con abili incastri di chitarre sincopate. Il carattere di base è però dato dalla sua voce rugosa, caratterizzata ulteriormente dall’uso di uno slapback echo che aggiunge un pizzico di mistero al personaggio.
I termini usati più spesso per descrivere il suo stile sono “tranquillo” e “rilassato” e, in effetti, per la maggior parte si tratta di canzoni giocate su tempi medio-lenti e mai troppo aggressive.
“Quando ero giovane ho suonato molto più rock and roll“, dice Cale, “ma quando ho iniziato a scrivere canzoni e le dovevo cantare, visto che la mia voce aveva un paio di note d’estensione, era più facile fare cose tranquille“.
Nell’album Troubadour, però, spicca una canzone anomala, introdotta da un riff granitico che ricorda il rock più classico e che non può non attirare l’attenzione del solito Clapton, cui magari ricorda vagamente l’inizio di un suo grande successo con i Cream, “Sunshine of Your Love”.
Il titolo è spiazzante, visto l’esplicito riferimento alla “polvere bianca”, meno diffusa di quanto avverrà poi in seguito ma decisamente illegale.
Cale non è certo il primo a scrivere una canzone che parla di droghe. Si va dalla tradizionale “Cocaine Blues” cantata da tutti i folksinger, Dylan compreso, alla tosta “Heroin” di Lou Reed con i Velvet Underground a metà anni ’60, fino a quella “Sister Morphine” palleggiata fra Marianne Faithfull e gli Stones, che nel 1971 la inseriscono in Sticky Fingers, dove trova posto anche “Brown Sugar”, meno esplicita ma comunque in tema.
Chiusa la parentesi dell’LSD libero e archiviata la grande utopia del movimento Hippie in un bagno di sangue e decessi da overdose, Clapton è uno dei molti artisti che faticano a uscire da una serie di tossicodipendenze. È anche uno dei pochi che ne usciranno con stile e con la volontà di aiutare quelli meno fortunati attraverso una sua fondazione dedicata.
Nel 1977, però, celebrare in qualche misura la cocaina non sembra il massimo, ma Eric non rinuncia a una canzone dal forte potenziale e sceglie tatticamente di interpretarne il senso a suo modo.
Dichiarerà più volte che “Cocaine” è in realtà contro la droga, anche se lo esprime in maniera sottile, sottolineando le parole “If you wanna get down, down on the ground, cocaine” (“se vuoi cadere, cadere per terra, cocaina”).
Accettabile o no, “Cocaine” diventa rapidamente uno dei pezzi più noti e richiesti di Clapton, che pagherà tributo a JJ Cale fino alla morte di quest’ultimo, nel 2013, avendolo riconosciuto fin dall’inizio come modello di sobrietà da contrapporre a quel ruolo di “guitar hero” che voleva in ogni modo dimenticare.
“Nei suoi album mi colpiva la parte più sottile, ciò che non veniva suonato… è tutta finezza“.
Paragonare le due versioni della canzone, apparentemente molto simili, è un buon modo per capire cosa intende Eric.
Per queste ragioni e per un fortunato colpo del destino, Cale diventa un artista di culto, pur tenendosi sempre lontano dai riflettori e risparmiandosi anche volentieri la fatica dei tour.
Dichiarazione chiave: “mandatemi i soldi e lasciate la fama ai più giovani. Essere famosi accresce l’ego fino al punto che inizi a credere alle tue stesse cazzate“.
E pensare che la sua formula spartana parte da una chitarra Harmony da 50 dollari selvaggiamente customizzata con 4 pickup e vari output, sostituita poi con una discutibile Casio strat-style con output MIDI, e soprattutto una delle prime drum machine.
L’uso della batteria elettronica è nel suo caso un miracolo di essenzialità e, all’inizio, una necessità di carattere economico, come nel primo album in cui suona quasi tutti gli strumenti, Poi, però, ne fa una scelta consapevole:
“Non avevo abbastanza soldi per pagare una band, ma ora che i soldi li ho mi piace comunque usarla. È a suo modo una forma d’arte“.
Il suo ammiratore più noto incide con lui un album nel 2006, The Road to Escondido“ che vince un Grammy Award, e organizza poi un tributo postumo, The Breeze: An Appreciation of JJ Cale, in cui le canzoni di JJ sono interpretate dallo stesso Clapton e da stelle della musica come Tom Petty, John Mayer, Willie Nelson e Mark Knopfler, altro artista influenzato dallo stile di Cale.
È una storia istruttiva. La musica è sicuramente un mezzo potente che può tirar fuori il meglio e il peggio dal profondo di ogni incauto musicante. La storia di questi due grandi artisti dimostra che è possibile uscire dal peggiore degli inferni se si trova qualcosa di solido a cui aggrapparsi. Certo, di personaggi come JJ non ce ne sono molti, ma, si sa… chi cerca trova.
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