Innanzitutto parliamo di Hans Zimmer, compositore e premio oscar per la sua direzione della musica del film “Interstellar”.
Ascoltando la sua opera si nota una presenza umana costante, come qualcuno in connessione da molto lontano che tenta di parlarci. Una musica che non ha un inizio né una fine, ma solo un continuo.
Alcune parti del disco sono state registrate in una chiesa nel centro di Londra, dove risiede un antico organo a canne. Una grande tensione perdura per tutta la durata di queste parti, da far rimanere attaccato l’ascoltatore (e lo spettatore) alle casse e lo schermo, in una fantastica scenografia, opera d’arte direi, creata dalla mente di Zimmer e del visionario Cristopher Nolan (con il supporto scientifico di Kip Thorne).
Si può dire che l’intero album sia stato scritto a quattro mani. Forse uno tra i migliori adattamenti di musica da orchestra per un film di questo calibro che sia stato mai realizzato. L’intero film è contrassegnato da momenti di estrema e concitata adrenalina mista a fervore, che lasciano un segno indelebile nella mente di chi lo guarda. Nessuna parola aggiunta, nessuna discussione si interpone tra le immagini e la musica (se non la splendida villanelle “Do not go gentle into that good night” di Dylan Thomas, NdR) entrambe magistralmente composte come fossero generate da unico essere.
Se lo spazio avesse un suono, o meglio, se avesse una materia attraverso cui esso potesse propagarsi, è proprio così che me lo immaginerei. In particolare, le composizioni di nome “Coward” e “Cornfield Chase”, nei video qui sopra, riassumono il senso di quanto detto.
Rimanendo in tema spaziale, continuando a percorrere gli spazi siderali, non si può non citare “2001: Odissea nello Spazio” dal regista Stanley Kubrick, uno dei migliori film di fantascienza di tutti i tempi. La musica rimasta fissa nel tempo è composta da brani tratti dalla musica Classica di autori classici e contemporanei come “Sul bel Danubio blu” (An der schönen, blauen Donau)” di Johann Strauss jr e “Così parlò Zarathustra” (Also sprach Zarathustra) di Richard Strauss o ancora opere di György Ligeti e Aram Chačaturjan.
Nel 1982 la band Stadio nel loro primo album dedicò il brano “Un fiore per Hal” proprio la computer super intelligente Hal 9000 della navicella Discovery del film di Kubrick. Il testo fu curato dalla lucente scrittura di Lucio Dalla.
David Bowie ha affermato di essersi inspirato proprio al film per scrivere la sua “Space Oddity”, smentendo la credenza per cui l’avrebbe scritta in onore del lancio dell’Apollo 11 sulla Luna nel 1969.
Una versione della stessa canzone è stata risuonata per intero dall’astronauta Chris Hadfield che ne ha girato il videoclip proprio dallo spazio, uno dei video più virali di sempre.
Continuano i possibili riferimenti al colossal di Kubrick con ciò che è raffigurato sulla copertina dell’album Presence dei Led Zeppelin, una famiglia seduta al tavolo riunita attorno a quello che sembrerebbe un monolite simile a quello apparso nelle scene iniziali del film, in cui le scimmie danzano e saltellano attorno ad esso.
All’inizio di “Perfect Sense pt1″, terza traccia del concept album Amused to Death dell’ex componente dei Pink Floyd, Roger Waters, sono presenti alcune delle frasi pronunciate da Hal 9000 mentre Bowman disinstalla le sue memorie; inoltre, il primo verso cantato della canzone recita: “La scimmia sedeva su un mucchio di pietre e fissava l’osso rotto nella sua mano” proprio come nel lungometraggio.
D’altronde il legame con lo spazio, la sua stessa ex-band l’ha sempre avuto, fin dall’inizio con l’uscita di “Astronomy Domine” appartente al primo album del 1967 (che non sia stato altro che una voce premonitrice dei futuri viaggi spaziali?).
Sulla copertina di Who’s Next (1971) della band The Who, si staglia un enorme costruzione monolitica su cui i componenti della band hanno appena urinato. Pare che questo gesto dissacrante sia stato in corrispondenza al rifiuto di Kubrick di dirigere la regia del film che sarebbe stato tratto dalla loro rock opera Tommy (1968) e che invece venne diretto da Ken Russell.
Nel 1977 la N.A.S.A finanza il progetto Voyager e lancia nello spazio Voyager 1. A distanza di quasi 44 anni è ancora in viaggio nello spazio interstellare.
All’interno del Voyager c’è il cosiddetto Golden Record, un disco d’oro che racconta il genere umano con immagini e alcuni brani musicali come: “Dark Was the Night, Cold Was the Ground” di Blind Willie Johnson, la Sinfonia no. 5 I. Allegro con brio di Beethoven, “Gavotte en Rondeau” dalla Partita No. 3 in Mi maggiore per violino di Bach, “Johnny B. Goode” di Chuck Berry e molti altri.
Un segno lasciato nello spazio nella speranza che qualcuno prima o poi lo trovi e sappia cosa siamo e cosa abbiamo prodotto.
Dagli anni ’70, si dà inizio al fenomeno della musica dello “spazio”, dando inizio alla sperimentazione e alla ricerca di nuove sonorità che richiamano l’infinità dell’universo. Un effetto concreto si ha nella colonna sonora del film di Steven Spielberg, “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, utilizzando strumentazioni nuove per l’epoca e poco intese dagli ascoltatori che avranno modo di farsi “l’orecchio”, musicalmente parlando.
A questo punto non si può non citare John Williams compositore, oltre che della colonna sonora del film appena detto, di quelle della trilogia di Star Wars.
Il maestro ha realizzato una delle composizioni più famose di tutto il cinema mondiale e in generale dei film di Spielberg (diretti o prodotti) è divenuto un marchio di fabbrica inconfondibile, udibile e riconoscibile da chiunque tra gli amanti e non del suo cinema.
La sua musica decisiva negli ingressi trionfali dei personaggi di Star Wars e successivamente adrenalinica e fuggitiva negli inseguimenti interspaziali tra la famosa Millennium Falcon e la flotta Imperiale…
Anche i Blue Oyster Cult si sono rivolti al cielo con la loro “Astronomy”, un titolo semplice che racchiude tutto il loro stile leggermente mistery and creepy, con quel assolo un po’ rallentato.
Stesso titolo per il brano dei Metallica, ma a differenza dei precedenti il loro stile è più ruggente e si avvicina più all’hard rock/heavy metal, in fin dei conti non potremmo aspettarci altro da loro.
Quasi come un allineamento astronomico, i Coldplay fanno uscire il brano “Higher Power” tra la notte del 6 e 7 maggio, pensando di lanciarla direttamente dalla Stazione Spaziale Internazionale affidando all’astronauta Thomas Pesquet il bottone del primo play in un gesto simbolico. Il brano è un grido di ripresa dopo i tempi bui passato. E come il brano afferma: “the boy is electric… the universe is connected” (questo ragazzo è elettrico…l’universo è connesso).
Tutti avremo guardato almeno una volta verso il cielo e sognando ad occhi aperti avremo viaggiato restando con i piedi per terra.
Grazie alla musica tutto questo è possibile.
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