Per quanto oramai, in epoca di streaming e file ad alta qualità, la domanda sia da considerare anacronistica, per cui la cambieremmo con “meglio il disco in vinile, il CD o la musica liquida“, il punto è che da anni, purtroppo, gli ascoltatori di musica litigano svestendosi della loro vera passione e vestendo i panni di fisici teorici, matematici, ingegneri del suono molto poco de facto.
Senza contare i numerosi blogger che non avendo dimestichezza né con la passione né con la scienza, ripropongono garbugli di concetti rubati da forum e wikipedia (senza contare l’uso sgangherato delle AI), supportati da ben poca esperienza reale della riproduzione sonora, articoli che poi per logiche di SEO e di condivisioni frettolose diventano, come si suol dire, “virali”.
Ecco, ci vorrebbe anche il vaccino…
Mettiamo da subito le mani avanti, questo non sarà un articolo “da laboratorio”. Chi scrive, è un grande appassionato di musica in vinile. Il primo disco che ho comprato con i miei soldi da ragazzino era in vinile.
Allo stesso tempo, per motivi generazionali, ho vissuto molto più l’epoca del CD e ne conservo meravigliosi ricordi, pur non potendomi dichiarare un estimatore del formato (per ragioni di minime dimensioni dei booklet, non per la resa musicale).
Io non mi schiero, perché penso che schierarsi, perdonatemi, sia essenzialmente una… stupidità (e un torto verso se stessi in primo luogo).
Photo by Hans Dinkelberg – CC BY 2.0
Come suddetto, esistono molti articoli in rete (spesso furbescamente aggiornati di data…) che vogliono sfatare il “mito” del vinile, ascrivendolo a una “bufala” che per qualche anno andrà di moda prima che apriremo le orecchie davvero e ci accorgeremo che l’ascolto non è così piacevole come pensiamo.
Ho sempre pensato che, pur descrivendo un fenomeno “bolla” che è in parte reale (che sia diventato anche di moda è innegabile) e portando alla luce fatti e dati numerici spesso incontrovertibili, specialmente in ambito di fisica audio, questi articoli fallissero miseramente nella domanda iniziale.
Domanda che non dovrebbe essere “è meglio il cd o il vinile?” come mero paragone audio, sempre e solo con l’occhio al contenitore e mai al contenuto, ma… “perché oggi potremmo voler ancora ascoltare un disco in vinile?“.
Badate bene, non tutta la musica possibile in vinile (anche perché, semplicemente, non c’è), ma uno o più dischi specifici.
Con grande umiltà, tenterò di spiegarvi le mie ragioni e non per convincervi a cambiare modalità di ascolto, perché ognuno è giusto che scelga la propria, però con qualche leggenda metropolitana in meno nella testa.
La domanda
Come dicevo sopra, due tecnologie. Separate da tanti anni. Una vede una testina muoversi fisicamente tra dei solchi incisi. L’altra è comunque un dispositivo meccanico, che tramite un laser legge delle microincisioni (e spazi vuoti) e le traduce in dati digitali.
Entrambi i sistemi hanno una percentuale di errore, entrambi posso “saltare”, entrambi hanno insomma una componente fisica, meccanica, coinvolta nella riproduzione, anche se chiaramente un giradischi è un apparecchio che ha bisogno di essere messo assai maggiormente al riparo da problematiche di vario tipo rispetto a un lettore cd, decisamente più semplice da utilizzare e meno soggetto a “traumi”.
Nessuno dei due, sottolineiamolo mille volte, traducono “la realtà” in maniera perfetta. Realtà e incisione musicale restano due cose differenti e la seconda è comunque filtrata, a qualsiasi livello qualitativo. Dal supporto, dai mezzi tecnici, dal gusto e dalla bravura dei tecnici, etc…
A tutti gli effetti, cd e disco in vinile sono due modi diversi di ascoltare la musica, ognuno con i suoi pro e i suoi contro.
Le info fisiche e matematiche che danno solitamente in giro sul web – beh, magari sui siti specializzati – sono giuste. Il cd ha ampliato enormemente le possibilità dell’audio, su questo non ci piove. Così come Pro Tools (e tutte le DAW esistenti) ha ampliato quelle del recording rispetto ai costosissimi e degradabili nastri.
Grazie al cielo l’uomo e la scienza vanno avanti. E infatti siamo andati avanti anche rispetto al cd, superando di molto la classica barriera del 44kHz/16bit. Basta oggi iscriversi a un qualunque servizio di streaming in HD (Qobuz, Tidal, Amazon HD, etc…) per verificarlo.
Per fortuna ci siamo lasciati alle spalle gli orribili mp3 trafugati dal Napster o eMule di turno, purtroppo una delle cause al fatto che oggi alla cultura musicale non venga più associato un valore reale. Ma questa è un’altra storia…
Quindi? Partita chiusa? Buttiamo via il disco in vinile?
Beh, non così in fretta. Altrimenti dovrei ripagarvi del tempo che vi ho rubato a farvi leggere fin qui.
Dividiamo innanzitutto due ambiti: la musica prodotta durante l’era del vinile e quella prodotta nell’era del cd. Le due tecnologie hanno convissuto alla pari per pochi anni a cavallo degli ’80 e ’90, ma noi analizziamone gli estremi (di ben più lunga durata).
La musica “vecchia”
Il disco in vinile aveva dei limiti. Questo è vero ed erano del resto anche quei limiti a dettare il modo di produrre la musica.
La durata dei brani e del disco intero, ad esempio. Vi basti leggere la biografia di Miles Davis e il passo in cui lui dice chiaramente che l’avvento del 33 giri portò finalmente a poter esprimere anche su disco le lunghe improvvisazioni jazzistiche, anziché un tema e pochi secondi di assolo per ogni musicista (un cambiamento epocale!).
Ancora: il posizionamento dei brani, per cui i più importanti erano messi di solito nei primi solchi di lato A e B (o forse ancora meglio quelli centrali visto l’errore di tangenza della testina), perché gli ultimi erano riservati a brani con minore complessità dinamica.
Si narra che George Martin fosse terrorizzato dal dover mettere “A Day in the Life” come ultimo brano di Sgt. Pepper, con quell’ultimo enorme accordo suonato da più pianoforti, genere di paura ancor più intensa nei dischi di musica classica (alcuni difatti scorrono al contrario dal centro verso il bordo per avere il pieno orchestrale finale nei solchi con maggiore dinamica).
Miriadi di altre considerazioni si potrebbero fare (compreso il fatto che di certe band di nicchia magari non è mai stato ristampato niente in cd), ma il dato fondamentale è: quella musica è nata così anche perché doveva stare su quei supporti (nota: se ascoltassimo i nastri orginali con un lettore a bobine ovviamente ci renderemmo conto che le registrazioni avrebbero ancora di più da offrire, ma questa è un’altra storia).
Ne consegue un ragionamento assai semplice: se volete ascoltare la musica proprio come accadeva in origine, dovete ascoltarla sul suo supporto originale (magari proprio un esemplare dell’epoca).
Vi anticipo la contestazione: “ok, ma se tanto la stessa musica l’hanno ristampata su cd, perché dovrei volerla ascoltare su vinile?“. Domanda legittima e giusta, ma ci sono ovviamente casi e casi.
Parlando dei casi un po’ meno fortunati, il riversamento su cd non sempre viene fatto dai nastri originali (che, ricordiamolo, sono di materiale soggetto a degradazione nel tempo e nell’uso, quindi comunque non saranno “freschi” come 40 o 50 anni fa).
O meglio, precisiamo: non oggi, visto che in molti casi siamo all’ennesima ristampa della ristampa della ristampa…
E non è detto che venga fatto dall’etichetta discografica originale, se ancora esiste…
In passato il riversamento dai nastri al digitale non sempre è stato fatto con criterio e comunque, parlando della prima era del cd, tante cose dovevano ancora affinarsi negli studi, per cui, almeno per mia esperienza, sono spesso circolate edizioni in cd davvero poco performanti (ricordo ad esempio una serie terribile sui Genesis dell’era Peter Gabriel e un cd remaster di Aqualung dei Jethro Tull da mettersi le mani nei capelli).
Oggi le cose vanno decisamente meglio, c’è anche da dire però che in tempi recenti si preferisce guardare alle risoluzioni più alte di quelle del cd, al 5.1, al sacd, al blu-ray, ai dsd, e così via… non è che il cd sia ancora, nel digitale, la destinazione primaria (e migliore) dei riversamenti in digitale.
La vecchia musica viene di solito rimasterizzata prima di metterla su cd, qualche volta persino remixata (ma ciò avviene anche su vinile, anche se con meno enfatizzazioni).
Non sempre sono i tecnici originali a farlo (e non è detto che il loro orecchio sia ancora lo stesso), men che meno i musicisti, tranne qualche eccezione come nel caso di alcune recenti ristampe dei Led Zeppelin rielaborate sotto il radar di Jimmy Page (ma a dire il vero criticate dai fan di vecchia data).
Il grosso rischio, comunque, è che la musica nata con certi limiti, se immessa in canali senza più quei limiti e rimaneggiata, possa essere gestita senza controllo e alcuna logica artistica. Quindi si fanno suonare le canzoni “di più”, il che non significa “meglio”!
Ecco che i famosi “non limiti” del cd diventano un’arma a doppio taglio.
Chiaramente ci sono anche i casi in cui un remaster o addirittura un remix possa essere preferibile all’originale (interessante il remix del 2013 di In Utero dei Nirvana, ad esempio). C’è anche gente, per fortuna, che sa ancora fare il proprio lavoro!
Facciamo una piccola pausa per una curiosità: avete mai sentito parlare delle “Kangaroo Cut“? Non credo che molti di voi conoscano il termine, io stesso l’ho imparato grazie a un interessante video di un grandissimo esperto.
Kangaroo Cut è termine che indicava una lacca di riferimento o un test pressing (copie che venivano usate per verificare la qualità di stampa) che causava dei salti della testina.
Ebbene, durante i primi decenni del vinile, gli ingegneri del suono (anche i più famosi come Rudy Van Gelder) non avevano certo in mente di produrre dischi per “audiofili”, tutt’altro, dovevano considerare quelli che erano i mezzi di riproduzione dell’epoca, che non erano né così tanti come oggi, né così sviluppati sonicamente se parliamo della primissima era.
Questo significava spesso dover tagliare una parte di basse frequenze, comprimere la dinamica e dare dei piccoli boost in zone dove psicoacusticamente si poteva rilivellare la situazione.
Per cui, le Kangaroo Cut non erano necessariamente “malfatte”, semplicemente non corrispondevano ai criteri dei mezzi di produzione dell’epoca. Per lo stesso motivo, potreste incontrare stampe degli anni ’60 particolarmente brillanti sulle alte frequenze e scariche di bassi (mettiamoci anche le curve differenti dallo standard RIAA a complicare la situazione).
Tenetene conto quando valutate un disco in vinile “vintage”, prima di farvi un’idea generale sbagliata del supporto stesso, e anche quando ascoltate una reissue, se suona maggiormente “piena” non vuol dire per forza che il tecnico ha stravolto il lavoro del fonico originale, al giorno d’oggi è magari riuscito a fare ciò che quest’ultimo non poté realizzare, cioé tenersi il più vicino possibile al suono dei Master Tape (sebbene vi ricordo ancora una volta che parliamo di nastri con 30/40/50 anni e più sulle spalle, spesso restaurati, e non “freschi” come al momento dell’incisione).
Tutte queste parole per dire cosa?
Che si preferisce chi ha lavorato meglio, non il supporto che ci sembra migliore perché le tabelline matematiche ci dicono che è così!
I dischi di oggi
E qui si apre un capitolo davvero rognoso.
Oggi, tranne casi di reissue totalmente analogiche molto costose come Analogue Productions, MoFi, Classic Records, Speakers Corner, Pure Pleasure, Impex, ORG e altre (costi a partire dai 30/40 fino anche alle 200 euro, ma detto tra noi, valgono ogni euro speso!), quel mondo produttivo è un caro ricordo.
Non abbiamo più le fabbriche di una volta (mentre i macchinari sono spesso “quelli vecchi”, restaurati). Non abbiamo più la mole di personale specializzato di una volta. Almeno nelle produzioni standard, non abbiamo neanche più il materiale vinilico di una volta (per inciso, la corsa al risparmio inizia già a far capolino negli anni ’70, con non così rari episodi di scarti vinilici rilavorati).
Controllo qualità? Mmmh…
Di sicuro, ben poca (nessuna?) musica viene prodotta con l’intento primario di finire su vinile. Gli studi, giustamente direi, sfruttano tutte le potenzialità che oggi hanno a disposizione e certo non si chiudono in limiti che si sono dilatati oramai fortemente. Spesso ne hanno abusato (loudness war), ma in generale c’è di che lavorar davvero bene, anzi meglio, al giorno d’oggi.
Ma un vinile prodotto da un mix digitale, è diabolico?
Sulle cose più datate, benché sia sempre bene prediligere la tecnologia originale e una vecchia e buona stampa, il riversamento dell’analogico in digitale non è per forza “il male” anche se ristampato poi a sua volta su vinile.
Se tutta la catena produttiva si avvale di tecnici all’altezza, parliamo comunque di conversioni pari a svariate volte la qualità audio di un cd (sperando che si parta da nastri ben conservati, restaurabili e con il minimo di intervento invasivo via software… io sono uno di quelli che “se il fruscio di fondo c’era, va lasciato lì“).
Al contrario, occhio a chi invece non ha possibilità di attingere alle sorgenti analogiche originali e compie lavori a dir poco discutibili, lavorando una fonte digitale presa chissà dove (se non proprio da un cd…). Negli ultimi anni sono fioccate pseudo-etichette russe, spagnole o altro (pure italiane) e la cosa deprimente è che le ritroviamo sugli scaffali di tanti centri commerciali a prezzi bassi per attirare, perdonatemi, i “gonzi”.
In tal caso, vale eccome la frase “ascoltare un cd stampato sul vinile” (previa manipolazione con vari software, non ovviamente in maniera diretta, non sarebbe tecnicamente possibile), per cui… risparmiate i soldi.
Tutto sta a informarsi bene su chi produce e come produce. Niente di più di ciò che si faceva una volta, in effetti (quando ancora ci si interessava di leggere i credits sugli album…), solo che oggi la statistica non è certo a favore dei vinilisti (o vinilomani?).
Tendenzialmente le operazioni cruciali per produrre un vinile di qualità sono mastering, cutting e stampa (ho fatto una semplificazione). Dovreste sapere un po’ su tutte le fasi. Lo so, non è facile.
Un buon metodo è frequentare i gruppi di discussione tra appassionati (ad esempio lo Steve Hoffman forum), ma con le dovute cautele, visto che oramai la “parificazione” dei social ha messo sullo stesso piano veri esperti e mediocri improvvisati, in ogni campo.
Spesso quando esce un nuovo disco o una riedizione, scattano i pareri degli appassionati.
Ci sono poi anche alcuni siti/riviste di settore, mi vengono in mente ad esempio Analog Planet e Stereophile.
Ma non voglio divagare, questo non è un articolo per insegnarvi a comprare i dischi (mi ci vorrebbe una rubrica intera).
Date una chance al disco in vinile
Se vi fidate di me almeno per fare una prova, date una chance al vinile, partendo dai vecchi dischi. E per l’amor del cielo, fatelo su un sistema di almeno medio livello, che non corrisponde a niente che potete trovare nelle catene commerciali, ma solo in negozi specializzati di HiFi.
Ok i dischi, ma quali?
No, non intendo solo quali titoli, intendo proprio quali fisicamente. Cioé, quali stampe.
Sappiate che tra una stampa e un’altra ci può passare in mezzo il mare. Quali differenze da tenere di conto? Paese di stampa, edizione/anno, etichetta, condizioni…
Un cd ristampato, se non ha avuto rimaneggiamenti, sarà uguale all’originale e al 99,99% esente da difetti casuali di fabbrica.
Ciò dà effettivamente una grande sensazione di sicurezza, insieme tutte le restanti possibilità del “contenitore” che sono state una conquista tecnologica.
Badate bene, ora avrò schiere di puntigliosi audiofili contro, perché anche nel mondo dei cd ci sono edizioni diverse, formati migliori (SACD) e tante variabili. Sono d’accordo, tuttavia niente si avvicina minimamente alla complessità del mondo del vinile, in cui nello stesso anno il medesimo disco stampato in Inghilterra, in Germania, in Italia, in USA, ecc. poteva avere sostanziali differenze sonore date da fonti, processi e materiali diversi.
Un appassionato medio può avere due o tre (o molte di più) stampe diverse del suo disco preferito, per motivi ben udibili (non solo sfumature!).
Per cui ascoltare un vinile prima stampa UK di una band inglese e una ristampa di qualche anno dopo (o addirittura dello stesso periodo) di un altro Paese, potrebbe essere differente come il giorno e la notte per il vostro godimento sonoro.
Ma come lo ascolti?
Ecco come tante persone ascoltavano il vinile anni or sono e ancora oggi lo ascoltano: impianti economici e non calibrati, testine consumate e/o economiche, messa in dima delle stesse più che fantasiosa, vinili sporchi e di edizioni acquistate a caso. E ce ne sarebbe da dire, mi fermo al macroscopico.
Se non lo avete graffiato con una chiave, un cd lo mettete nel lettore di un computer, collegate anche solo delle cuffie da 30 euro e, tutto sommato, ve lo godete decentemente (al di là della bassa o alta qualità di riproduzione, intendo solo che non salta, non distorce, non suona come un fritto misto…). Anche se siete dei neofiti, non dovete regolare granché, premete play e la “fatica” è finita.
Il disco in vinile manco per idea…. Solo per calibrare il giradischi vi serviranno pomeriggi di studio, a seconda della complessità, e 1mm o 0,10 grammi sono valori che vi cambieranno la vita!
La vostra “valigetta di tool e accessori” traboccherà di strumenti per le regolazioni.
Vi diranno che c’è un profondo fascino nel sentire scricchiolare un vinile. Beh, qualche volta ce l’avrà pure, se magari mettete un vecchio blues. Ma non siamo certo masochisti e se sono silenziosi, per quanto possibile su un disco che magari ha 50 anni sulle spalle (quanti oggetti avete in casa della stessa età che ancora funzionano?), siamo più contenti.
Il disco in vinile nuovo o ben conservato non dovrebbe fare rumore (esclusi difetti di fabbricazione). Certo, ha pur sempre una maggiore incidenza di noise meccanico, che comunque può essere tenuto abbastanza lontano dall’udibile se si fanno i passi adeguati e non si ascolta al massimo dell’economia.
Il vinile va scelto, pulito, trattato con cura e ascoltato con un sistema che abbia un minimo di dignità.
Non entro nelle spiegazioni tecniche, ma se non siete pronti a dedicarvi anima e corpo (e portafoglio!) a un impegno consistente, fate dietrofront dai negozi di dischi e restate belli sicuri attraccati al porto di cd e streaming. Perché altrimenti, odierete quel mondo.
O vi ritroverete anche voi a scrivere boutade su internet, come coloro che hanno riesumato il vecchio giradischi del papà e con una testina da 50 euro pensano di assaporare chissà quali gioie…
Insomma, se volete valutare una bici da corsa su un percorso sterrato, ma compratevi una bella mountain bike no?! Oppure…
Facciamo un esempio. Io e “Tizio” abbiamo lo stesso disco in vinile, ma due impianti diversi, due padronanze diverse degli strumenti, io lavo i dischi e lui no, io ho un’edizione pregiata lui una ristampa economica… o magari abbiamo lo stesso disco, ma la sua testina “non ce la fa“…
Quindi se un giorno ascolterete un vinile da lui e vi farà schifo, magari non è colpa del formato in sé.
Un’esperienza di ascolto
Come vedete non vi sto riempiendo di dati, perché l’ho premesso all’inizio: alle mie spalle c’è un mobile di vinili, ma ne ho anche uno di cd. Sono fratelli, si amano e probabilmente ridono delle nostre facezie.
Se eravate interessati a calcoli di bit e kHz, range dinamici, forme d’onda, approfondimenti su RIIA o altro, sono tutte cose interessanti ma avete sbagliato articolo, non è questo il punto!
Il punto è stabilire la bellezza di un’esperienza e di capire bene che ogni tipo di tecnologia ha il suo grado di eccellenza. E parlo di eccellenza intesa in senso generale, quella che ti fa saltare sulla sedie e abbandonarti totalmente alla musica, rapiti da essa.
Io penso che la produzione musicale celi in sè il segno dei tempi, le necessità e le velleità artistiche del momento e tutta una serie di aspetti per cui ogni cosa ha la sua logica. Potrei parlarvi ancora degli artwork, della totale incomprensione che circola sulle più alte grammature dei vinili (oh, mon dieu…) e di molto altro.
Su un disco in vinile ci deve essere una musica ben finalizzata per quel supporto, conoscendone le fonti e i tecnici che ci hanno messo le mani, altrimenti non ha senso. Ricordatevi che la spazzatura resta tale anche se il sacco che la contiene è di seta pregiata…
Potrei prendervi dei cd e metterli al confronto con dischi in vinile che li fanno a pezzetti (un esempio tra i tantissimi: Fleetwood Mac – Rumours, edizione doppio vinile 45rpm con mastering e cutting di Kevin Gray e Steve Hoffman alla AcousTech Mastering), ma perché? Per dimostrare cosa se non che quello specifico cd e quello specifico vinile sono diversi?
Mi ripeto, contenitore e contenuto sono due cose estremamente differenti e la capienza del primo o non implica per forza la bontà del secondo. Come anche un disco in vinile non vuol dire per forza un “suono più caldo” o altre parole a vanvera interpretabili a piacimento.
Quando però tutti i pezzi del puzzle quadrano, non si può resistere a ciò che se ne sprigiona fuori con forza dirompente. Invito tutti almeno una volta nella vita, senza dover rinnegare poi qualsiasi altro supporto, ad assistere a una riproduzione del vinile fatta con mezzi e conoscenze di qualità elevata, ne resterete stupefatti ci metto entrambe le mani sul fuoco.
Ha senso produrne oggi per quanto riguarda le nuove release? Sta anche al cuore dell’artista, benché sia rattristato da come molti stiano approfittando e lucrando su chi, un po’ ingenuotto, vuol far parte di un mondo ma non sa ascoltare.
Però, con un bel mastering e un processo di produzione azzeccato, io sfido chiunque a dire che a prescindere dalla natura digitale/analogica della fonte un disco in vinile non possa suonare in maniera non solo accettabile, ma assolutamente eccezionale, se però il mezzo di riproduzione lo consente.
Arte a 360°
Chiamatelo fascino o chiamatelo suono, calcolatelo se volete (ma davvero non avete di meglio da fare?). Qui non si deve per forza cercare o il romanticismo o la fredda matematica, bianco o nero.
Come i bravi divulgatori, dobbiamo portare entrambe le cose nel nostro bagaglio, alla ricerca della migliore esperienza emozionale della musica che amiamo.
Io personalmente non ho alcun dubbio nelle mie scelte, che compio di volta in volta, disco dopo disco.
Questo mondo fatto di continue opposizioni è una cortina fumogena che annebbia le nostre capacità di giudizio, l’essere “contro” è solo un’occasione per perdersi l’altra metà del cielo, in ogni singola cosa.
Se devo spezzare una lancia a favore dei solchi, ciò che considero l’aspetto più importante è che l’esperienza del vinile obbliga un pelo di più a taluni comportamenti oramai perduti: nessun ascolto random, difficilmente sarà un sentire di sottofondo ma, anzi, meditativo, ci sarà tutta quella delicata (si spera) gestualità che pretende l’oggetto e che ci riabitua un po’ a prenderci cura di una materia che contiene dell’Arte e non le mele del mercato.
Sono cose che andrebbero riscoperte, a prescindere da tutto.
Buoni ascolti, in qualunque formato
Aggiornamento 22/12/2022
Torno su questo articolo per aggiungere un video di Marco Lincetto, fonico professionista e produttore musicale (Velut Luna), in cui si esamina attentamente uno dei soliti post che si possono trovare in giro per gruppi facebook, forum e quant’altro, promossi dai soliti “scientisti” (e non scienziati) che purtroppo hanno oramai messo insieme il loro polpettone di nozioni e cercano ogni volta di riscaldarlo e proporlo ad altri come piatto del giorno.
Non aggiungerò altro, vi lascio al video la cui parte che a noi interessa inizia dal minuto 05.36.
Ciao articolo interessantissimo in cui mi sono imbattuto dopo l’ennesima discussione sul tema. Io come te sono un amante della musica in primis e ho una predilezione per il vinile, sarà perché li ho avuti intorno sin da ragazzino. Il CD mi piace molto ma trovo che sia soggetto a rimaneggiamenti più spinti. Quello che mi ha colpito dell’articolo è che sostieni che anche dopo la prima metà degli 80 ovvero quando si è introdotta la tecnica digitale per la produzione anche del vinile, quest’ultimo avrà una qualità varie volte superiore al CD. qui ti seguo meno perchè di pancia direi che una volta prodotto il master digitale riversarlo su vinile o su CD dovrebbe essere lo stesso ma evidentemente no. forse perchè per riversarlo su CD lo devi in qualche modo comprimere mentre sul vinile lo incidi real-time ovvero facendolo “suonare” e quindi non si perde nessuna info? grazie anticipatamente della risposta.
Maurizio
Ciao e grazie di cuore per aver letto l’articolo! 😉
Attenzione, non ho mai detto che il vinile ha una “qualità superiore al cd”, anzi, il senso dell’articolo è proprio evitare questa domanda!
Nel merito dei vinili prodotti da master digitali (che ovviamente non sono “il cd”), invece, ti dico che spesso si prende per buono il fatto che “se il master è digitale e il vinile ha più limiti del cd, allora il cd conterrà più informazioni e suonerà meglio”. Insomma, si parla sempre del contenitore e non del contenuto.
Questa è uno dei più grandi equivoci al giorno d’oggi, perché le persone non riescono a esaminare un argomento se non in maniera estremamente lineare, dimenticandosi di un fattore a dir poco fondamentale: il fattore umano!
Ovvero, chi ha lavorato al mastering del vinile (e soprattutto al cutting) e in che modo il vinile è stato prodotto.
Per cui, può capitare tranquillamente che un vinile suoni “meglio” di un’edizione in cd o digitale, attenzione però non sto dicendo che sia così sempre, sto dicendo che “può anche capitare”.
Ma ripeto, l’obiettivo dell’articolo è estirpare del tutto questa domanda dalle nostre menti e rimettere in gioco solo una cosa: la passione. Ed esiste la passione, oltre che per la musica in senso lato, anche nel comprare i dischi. E questo non è “feticismo”, perché la musica non è solo il prodotto “sfuso” come fosse un vino nel bag in box, ma è un prodotto artistico a tutto tondo e, soprattutto, rientra in un grande mondo culturale che non è solo “clicco sul file e ascolto”.
Ecco cosa volevo mettere in luce in particolare, ovvero che stare a domandarsi quale formato “suona meglio” e accanirsi come tifoserie allo stadio è una totale perdita di tempo, che potrebbe essere meglio speso entrando in un bel negozio di dischi, anche solo per fare due chiacchiere.
W la cultura musicale in tutti i formati, ma soprattutto, in tutti i luoghi e insieme ad altre persone.
Grazie ancora per aver letto l’articolo 😉
certo certo, c’è cd e cd, vinile e vinile etc. assolutamente d’accordo. io mi do la regola di preferire il vinile se prodotto interamente in analogico (quindi pre-85 per essere sicuri) ad un cd dello stesso album prodotto successivamente (ovviamente ci saranno le eccezioni ma credo sia una buona approssimazione. dopo va valutato caso per caso. mi interessava però, da un punto di vista tecnico, la questione del mastering digitale che pensavo definisse uno spartiacque ovvero dopo il cui avvento non aveva più senso comprare vinile e, se si, perché. cioè a fronte di un master digitale cosa potrebbe rendere migliore un supporto vinilico vs cd.
Ciao, no figurati, non è assolutamente uno spartiacque, se un un disco in vinile è fatto bene, è fatto bene anche oggi nel 2023, anche se viene da master digitalizzato (che ripeto, nulla ha a che fare col cd, io parlo di nastri analogici che vengono digitalizzati ad altissima risoluzione, non produzioni becere che pur ci sono e vanno evitate come dico nell’articolo).
Ovviamente se il master fosse AAA saremmo più felici (un nome su tutti, Analogue Productions, qualunque cosa sfornino è eccezionale), ma questo non è sempre detto, hanno fatto errori anche in dominio analogico, non è sempre tutto oro colato.
La questione non è “cosa rende il vinile meglio del cd”, ma cosa rende quel vinile particolarmente speciale da essere acquistato (senza dimenticare il “perché ci piace comprare i dischi”). In questo senso, bisogna star dietro alle informazioni e ai credits, ogni singola volta. Pre o post 1985 non ha alcuna valenza pratica (ci sono remaster odierni che suonano molto meglio di remaster degli anni ’70).
Nel campo di uso di master digitalizzati, tanto per fare un esempio celebre, Mobile Fidelity ha dichiarato (non senza scatenare polemica) di star usando un metodo che parte dai nastri analogici, che vengono però digitalizzati ad altissima risoluzione (dsd256, ovvero 256 volte superiore al cd) e poi il tutto (senza interventi software) passa di nuovo nelle macchine analogiche per il cutting. E questi dischi costano pure tanto. Ne vale la pena? Certo che sì, suonano in modo meraviglioso.
Se poi uno non ha voglia di vinile, la MoFi produce comunque i SACD. Però sono diversi, perché il vinile ha comunque il suo passaggio analogico finale e quindi può essere sonicamente preferibile.
Il punto è questo: è un mondo difficile 😀 e se ci fosse una legge del taglione per dire “non comprare più dischi dopo quell’anno” sarebbe bello (so che ci sono i sapientoni sui gruppi fb che lo dicono, io li lascerei perdere), almeno avremmo un riferimento sicuro. Lo so, ci sono passato anche io, “datemi una regola che così non ci penso più e vado sempre sul sicuro”, ma la realtà è che ci si deve costantemente informare su ogni singola edizione e capire se ne vale la pena o meno. E a volte, anche da esperti, si prende qualche fregatura, te lo assicuro. Il mondo del vinile è un mondo maggiormente soggetto a magagne, essendo la sua produzione una lunghissima e complicata catena di eventi e di competenze.
Però, al contrario, a volte si ha in mano un disco che è davvero unico. E quando cominci a sapere come muoverti, ovvero a che etichette affidarti, quali sono le migliori stamperie e i migliori tecnici di mastering/cutting, il sorriso arriva sempre più spesso. Purtroppo, a caro prezzo, perché generalmente le buone produzioni non le regalano 😉
Leggiti anche questo articolo: https://www.musicoff.com/musica-e-cultura/ascoltare-musica-hi-fi-consumer/che-significa-remaster-dai-nastri-originali-sui-dischi 😉
p.s. a monte di tutto questo però sta il senso del mio articolo, come ti dicevo, ovvero: io compro i dischi perché amo vivere così la musica, per tutto quello che c’è intorno a questo mondo. E onestamente, se poi capita che ascolto il cd o lo streaming dello stesso disco e si sente un pelo meglio, onestamente, non me ne importa poi tanto. Cerco di comprare le edizioni migliori possibili, certo, ma è più uno stile di vita che una ricerca di laboratorio. È una passione, in fondo, e ha la sua dose di irrazionalità e follia (tipo spendere 200 euro per un singolo disco, che anche se è la migliore edizione al mondo di quel disco, per chi non è nel mondo del vinile è pura pazzia 😀 ).
ci troviamo assolutamente sulla stessa lunghezza d’onda. tutte le domande non erano per avere una verità in tasca ma per capirci di più dato che a monte c’è la passione per musica, in qualsiasi forma (difatti compro di tutto e in tutti i formati). cmq la risposta alla mia domanda tecnica è che nel vinile, teoricamente, si riesce a riversare una risoluzione maggiore (faccio ovviamente riferimento al dsd256 che se riversato in un CD dovrebbe scendere di risoluzione, giusto? dimmi che ho capito 🙂 )
No assolutamente, sono entrambe delle “riduzioni” e il disco in vinile ha sicuramente maggiori problematiche. Ma attenzione nel vinile non si “riversa” (intendendo il termine in senso digitale), esiste la tecnica del cutting che è un procedimento analogico, meccanico, e deve essere fatto a monte di alcune operazioni di eq sugli estremi di banda e altre accortezze che sono una vera e propria arte che non tutti gli ingegneri del suono sono in grado di affrontare (non a caso il tecnico del cutting è spesso una figura a parte). Ovviamente non siamo più nel 1960, oggi le testine sono molto più performanti e si producono più spesso album a doppi e tripli dischi o magari a 45rpm, il che vuol dire più spazio per i solchi e meno compromessi.
A livello di “risoluzione” il cd, meglio ancora il SACD, sono i formati fisici con minor perdita in assoluto. Io non ho un lettore SACD ma ti dico che ogni tanto ci penso, perché sono ascolti davvero belli, ma è anche vero che ne producono davvero pochi e poi oramai bisogna investire nella musica liquida (file digitale) cosa che faccio in parallelo al mondo dei vinili.
Sul fatto del “vinile che suona meglio”, diciamo che può riuscire a farlo, sono casi specifici. A volte succede che ci sia un’edizione in vinile che surclassa tutti gli altri formati, anche se c’è chi afferma che questo non sia possibile e si sbaglia (esempio: Steely Dan – AJA, la recentissima edizione Analogue Productions UHQR 45rpm, non esiste edizione cd che tenga il confronto, ma neanche file digitale secondo me).
Il vinile ha una parte di processamento finale diversa, analogica, che influisce sul risultato e lo fa virare (sonicamente) dal cd. Questo può farlo preferire o meno, ma i supporti presi da soli (vergini) non sono migliori o peggiori, hanno solo dei numeri sulla carta che vogliono dire poco se non riportati al contenuto e a chi lavora ad esso. Bisogna uscire da questa ottica che guarda ai formati in senso lato, non devi pensare a vinile VS cd, devi solo pensare a “specifica edizione in vinile” VS “specifica edizione in cd”. Tutto il resto non conta nulla, è come parlare del sesso degli angeli. 😉
In generale, se nell’ottica di vita si ha solamente la resa audio pura (il che mi fa un po’ tristezza, ma certi audiofili ragionano così) un disco totalmente nato in digitale (dal recording al master) sarebbe meglio ascoltarlo su file digitale non compresso, tramite un DAC di buon livello. Ma poi, siccome si ama la musica e l’artista, a me il disco (se penso che meriti) piace comprarlo. E poi il vinile ha tutta la parte “my-fi” data dalla leggera colorazione sonora della testina o altro, che ognuno sceglie come più gli aggrada.