Rick Beato, noto produttore musicale e divulgatore di successo sul suo canale YouTube, in un video con l’altrettanto famosissimo produttore musicale Rick Rubin, ha espresso un’opinione netta sul sistema di streaming musicale, paragonandolo a un flusso continuo di acqua che scorre dal rubinetto di casa.
Secondo Beato, la musica, nell’era dello streaming, è diventata un bene abbondante e privo di valore percepito.
Nel corso di una sua recente riflessione pubblica, Beato ha spiegato come la disponibilità illimitata di musica in streaming abbia modificato in modo sostanziale il rapporto tra ascoltatori e opere musicali, annullando la percezione del loro valore economico e culturale.
“Ho aperto il rubinetto della mia cucina e ho pensato: questo è praticamente Spotify. L’acqua continua a scorrere all’infinito” (Rick Beato).
Beato non è nuovo a critiche nei confronti del modello di distribuzione digitale e del suo impatto sul lavoro degli artisti.
Il flusso costante di contenuti e l’accesso immediato a milioni di brani ha trasformato la musica in un sottofondo quotidiano, privandola di quell’attenzione dedicata che, in passato, accompagnava l’acquisto di un album o la scoperta di un nuovo artista.
Il confronto con il passato e la trasformazione del valore percepito
Beato ha sottolineato come, negli anni precedenti alla diffusione dello streaming, il supporto fisico rappresentasse non solo un mezzo di fruizione, ma un oggetto culturale dal valore concreto.
L’acquisto di un disco implicava una scelta ponderata, un investimento economico, e spesso un coinvolgimento emotivo nel percorso di scoperta, acquisto e ascolto.
Con lo streaming, invece, la musica è diventata una risorsa inesauribile, sempre disponibile e senza costi percepiti per chi ascolta. Questa condizione ha contribuito, secondo Beato, a una progressiva svalutazione non solo economica, ma anche culturale e artistica del lavoro musicale.
Da cui la domanda che in molti da anni si fanno (a dire il vero sin dall’epoca dei download massivi tramite Napster ed eMule): se il valore “percepito” della musica è zero (o quasi), il valore attribuito di riflesso a un’artista… lo è altrettanto?
Una sfida aperta per artisti e industria musicale
La riflessione di Beato si inserisce in un dibattito più ampio che coinvolge artisti, produttori e addetti ai lavori, sempre più consapevoli delle criticità legate all’attuale modello di business della musica digitale.
Il valore di una canzone o di un album fatica a emergere in un contesto dominato dalla quantità e dalla velocità di consumo, e anche la remunerazione per gli autori e i musicisti risulta spesso inadeguata rispetto al ruolo centrale che la musica continua ad avere nella vita quotidiana di milioni di persone.
Beato, da sempre molto attivo nel sollevare questo tipo di questioni, ha ribadito come sia necessario ripensare il modello di fruizione e soprattutto il sistema di compensazione per chi crea la musica.
La sua posizione, seppur critica, si fa portavoce di un’esigenza sentita da larga parte della comunità musicale, ancora alla ricerca di un equilibrio tra innovazioni tecnologiche e riconoscimento del valore del proprio lavoro.
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