Oggigiorno lo streaming musicale gode di una serie di servizi davvero ampi e diversificati. Spotify, Apple Music, Amazon Music e Amazon HD, Deezer, YouTube Music, Tidal e Qobuz sono attualmente quelli più gettonati, i leader del settore con Spotify in testa che seppur in ritardo tecnologico gode comunque ancora del fatto di essere stato il capostipite di questo genere di fruizione online in tempo reale.
Nella situazione attuale chi non ha grandi pretese sceglie semplicemente il mezzo più economico, ma chi invece ha delle necessità cosiddette “audiofile” è solitamente portato (almeno per adesso, Amazon HD sta pian piano crescendo) a trovarsi di fronte a due scelte: Tidal o Qobuz, due piattaforme che hanno fatto dell’alta risoluzione la propria bandiera.
Per questo mi sono armato di mezzi sia comuni che audiofili, sempre però raggiungibili da chiunque a livello di costi (niente Hi End sfrenato, sorry), per fare una comparazione.
Chi mi conosce e segue le mie rubriche qui su Musicoff sa bene quanto sia ancora “analogico” in ambito Hi Fi, quindi sebbene questo sarà il mio giudizio e il mio punto di vista, credetemi è il più oggettivo possibile, non tifando io a prescindere per l’una o per l’altra sponda.
Le considerazioni riportate sono, inoltre, frutto di attento ascolto, ma niente a che vedere con mezzi di misurazione da laboratorio. Il mio è un invito a leggere e poi provare da soli a confrontare le due piattaforme, dato che entrambe offrono un mese gratuito di prova!
Test Pt.1, collegamenti da “newbie”
La Pt.1 del mio test è stata dedicata all’ascolto utilizzando come streamer un mezzo comune a tutti noi, il semplice smartphone (Samsung S10+ nel mio caso), comparando i brani solo in “qualità CD” (44/16). Ci concentreremo dopo sull’alta risoluzione, non abbiate fretta…
La prova è stata effettuata su un impianto Hi-Fi in due modalità di sorgente, con il classico jack RCA dallo smartphone verso l’amplificatore e in una condizione assai più comoda e secondo me comune oramai a molte case “non audiofile”, cioé con una smart tv collegata a sua volta in analogico all’amplificatore.
In questo modo si ha il plus di avere su schermo tutte le info che forniscono le app sulla musica in ascolto, nonché le belle copertine in dimensioni ben più godibili.
N.B. Gli audiofili staranno inorridendo di fronte a queste tipologie di collegamento, ma rilassatevi, questo è il test appositamente dedicato alle persone che non hanno grandi apparati Hi Fi nelle proprie case e si adoperano con quanto possono e con conoscenze di base… se non vi interessa, andate dritti alla Pt.2 del test.
Veniamo quindi al suono, senza perdere troppo tempo con la navigabilità delle rispettive app ed eventuali loro bug, diciamo solo che l’app di Tidal sembra più stabile, ma Qobuz ha il plus di avere articoli da leggere scritti da giornalisti (a quanto pare piuttosto ben preparati), storie degli album e bio degli artisti.
Ricordo poi che rispetto anche solo a un anno fa, Qobuz ha sempre più ampliato il suo catalogo, tanto che ora lo scarto (numericamente) rispetto a Tidal non è più così ampio.
Ho ritrovato su Qobuz tutto quello che avevo su Tidal (tranne un paio di cosette, ma davvero di nicchia) e anzi anche di più, visto che su Tidal non c’è niente di Neil Young (tranne un paio di album… quelli brutti…), che ha litigato tempo fa con la piattaforma.
Il suono, dicevamo…
Ebbene, iniziamo col dire che in generale, pur essendo questi tipi di collegamento i più semplici, del suono già si può rimanere più che soddisfatti, sia Tidal che Qobuz hanno la capacità di elevare non poco di livello anche il cavetto o il convertitore più basico.
Quella che sento è una riproduzione che può appagare molte esigenze a costo zero (di hardware Hi Fi) e può sicuramente già stupire chi non è mai entrato in contatto con uno streaming musicale al di sopra del formato mp3.
Venendo al confronto, ho verificato che pur essendo entrambi ottimi ascolti, Tidal tende ad essere un po’ più “pompato” e aggressivo – il che non escludo possa piacere su determinati generi – ma si perde un pelo di ricostruzione sonora in larghezza e profondità e soprattutto una certa naturalezza nell’articolazione dei suoni.
Sulle voci ad esempio, con un brano di Norah Jones, è facile percepire come Tidal ponga la cantante piuttosto in faccia all’ascoltatore, con una certa prepotenza sui picchi dinamici, mentre Qobuz porge l’ascolto senza la sensazione che qualcuno stia cantando a due passi dal tuo naso, con un certo aumento del realismo.
Inoltre, in generale direi che con Qobuz la musica gode di maggiore ariosità e una più netta separazione degli strumenti, sensazioni verificate con “Lost for Words” dei Pink Floyd, “Eye in the Sky” degli Alan Parsons Project, “The Sea” di Ary e “Babylon Sisters” degli Steely Dan.
Mentre Tidal ha la lieve tendenza a formare una seppur molto dettagliata e avvolgente massa sonora, Qobuz dilata di più i suoni e a mio parere li “stacca” anche maggiormente dai diffusori, rendendo l’esperienza di ascolto ancora più tridimensionale rispetto a quanto non faccia già il comunque ottimo Tidal.
Conclusioni del test “newbie”: visto il prezzo dell’abbonamento, visto il catalogo oramai abbastanza fornito, per me Qobuz è maggiormente consigliabile di Tidal anche per coloro che non hanno mezzi esoterici di riproduzione.
Inutile dire che il confronto è stato fatto anche in modalità “smartphone e auricolari”, ma l’ho dato per scontato essendo davvero l’uso più banale (ma anche il più comune, ne convengo).
Test Pt.2, Hi-Res Audio contro MQA
Adesso tiriamo fuori i denti affilati, perché si passa un pochino nel mondo “audiofilo” e bisogna verificare come si comporta l’Hi-Res di Qobuz contro il formato MQA di Tidal, ma bisogna premettere due cose:
- l’offerta di titoli in alta risoluzione a quanto leggo dalle ultime statistiche è numericamente superiore in Qobuz
- mentre l’Hi-Res di Qobuz (FLAC 24-Bit fino a 192 kHz) è realmente un formato non compresso e/o ricodificato ed è proveniente senza manipolazioni direttamente dagli studi di registrazione, il formato MQA non è un formato non-compresso e subisce un certo grado di manipolazione (e qui infatti è scattata l’incazzatura di Neil Young a proposito della dicitura “master” visualizzata nel player), pur comunque ricordando che stiamo parlando di un mezzo di altissima qualità, lontano anni luce dalla codifica di alcuni altri famosi competitor.
Volendomi comunque mantenere in un range di costo accessibile, perché come ho detto questo non è un articolo destinato agli “esoterici”, la prova è stata fatta utilizzando lo streamer Bluesound Node nella sua versione 2021.
Si tratta di un oggetto che ha un costo relativamente accessibile in ambito Hi Fi (ovviamente niente prezzi da ipermercato) e che da quando è entrato in commercio non ha mai smesso accumulare recensioni positive, sia con la vecchia versione 2i che con la nuova a cui sono state apportate alcune modifiche estetiche e di funzionalità, mantenendo al 99% le capacità sonore che erano già ottime.
Le sue qualità stanno nel suono sempre ritmico, definito, ampio e vivace (il DAC integrato va bene, ovviamente volendo si possono usare DAC esterni per fare ancora meglio, consiglio ad esempio di curiosare tra i prodotti SMSL*), nella sua capacità di supportare l’Hi-Res Audio e il formato MQA di Tidal e nella funzionalità della sua applicazione BluOS, che raccoglie in sé qualunque nostra fonte di streaming e quindi ci evita di passare ogni volta da un’app all’altra.
*aggiornamento: dopo aver fatto alcuni upgrade sia alla sezione di alimentazione del Node che tramite l’aggiunta di un DAC esterno (un SMSL DO200) posso confermare il margine di miglioramento ulteriore
Attenzione: giusto per evitare “brutti pensieri”, ve ne parlo in totale trasparenza, l’azienda non ha nulla a che fare né con me né con Musicoff, è semplicemente ciò che ho selezionato per conto mio. Voi scegliete pure lo streamer che preferite, ricordandovi che l’MQA è un formato proprietario di Tidal e viene concesso su licenza, quindi non tutti i DAC lo supportano.
Andando dritti al punto, le impressioni restano simili a quelle avute nella Pt.1 del test.
Il formato MQA di Tidal è senza dubbio un passo avanti nella qualità di ascolto e per quanto trovo anche io che la scritta “master” sia fuorviante, bisogna dire che in ogni caso stiamo parlando di un ascolto di ottimo livello.
Quello che dirò di seguito, quindi, non va preso come differenza tra “sufficiente e buono”, ma tra “molto buono e ottimo”.
Citerò 3 brani tra quelli che ho ascoltato…
Intanto “Sunrise” di Norah Jones, nella versione tratta dal disco live pubblicato recentemente, ‘Till We Meet Again (se non lo avete ascoltato fatelo e conservate le lacrime e i brividi per l’ultimo brano…).
Tidal si comporta molto bene, c’è un’ottima atmosfera, pianoforte e voce di Norah sono molto “live” anche nella sala d’ascolto. Pur tuttavia, switchando verso Qobuz ecco che si fa un ulteriore passo “dentro” il concerto.
Chiaramente non è una differenza marchiata a fuoco, ma è percepibile come il panorama diventi più arioso e ampio su ogni asse, il pianoforte brilla maggiormente di timbrica e dinamica, tutto sembra ancor più reale.
Passiamo all’altro brano “Eye in the Sky” degli Alan Parsons Project. Anche qui, su Tidal inizia il brano e capisci subito di essere trasportato su alti livelli di musica e mix.
Si tratta di uno di quelli talmente ben prodotti che non può mai suonare male e Tidal lo valorizza sicuramente. Pur tuttavia, la sensazione mentre ascolto è di una lievissima bidimensionalità ed avendone io un’ottima versione in vinile AAA dal master originale (ri)prodotta dalla prestigiosa Speakers Corner, conosco bene l’impatto che dovrebbe avere su di me. Con Tidal su questo aspetto ci stiamo sfiorando, ma forse non toccando del tutto.
Qobuz più che toccarmi, mi abbraccia. Sin dai primi suoni si capisce immediatamente il cambio di passo. Piccoli dettagli ancora più a fuoco ma soprattutto la solita dilatazione di scenario e qui anche un punch più accentuato, ma pur sempre elegante.
Stupendo, tanto che sento il brano fino all’ultima nota e “rischio” di ascoltare tutto il disco, ma devo continuare il test…
Cito un terzo e ultimo brano (ne ho sentiti di più e di svariati generi, ma tanto mi ripeterei), “Gravity” di John Mayer.
Brano che nonostante sia un lento è prorompente sin dai primi colpi iniziali di cassa e rullante della batteria. Tidal ancora una volta merita un plauso, ogni colpo è lì davanti a te, tridimensionale, “materico” direbbero gli audiofili incalliti. Voce e chitarra sono un gran godimento, merito di Mayer ovviamente che suona con un feeling davvero celestiale.
Qobuz fa lo stesso, ma come nei casi precedenti ci mette quell’ingrediente segreto che gli dà la mia personale “stella michelin”.
Stesso impatto iniziale della batteria ma con qualche nuance in più e quando iniziano basso e chitarra noti che, ad esempio, la chitarra secondaria di accompagnamento è maggiormente distinguibile, i suoni ancora una volta sono ampi, delineati. La voce è a dir poco “olografica”.
Mi fermo qui, sto usando troppi termini tipici del settore Hi Fi e non vorrei abusarne.
Conclusioni del test “entry level audiofilo”: come dicevo sopra fate attenzione a quello che scrivo, perché se Qobuz è un 10 (e lode?), Tidal è comunque un 9 e mezzo. Quindi parliamo di due piattaforme di altissima qualità in ambito di streaming online e se a mio parere tra i due la scelta di Qobuz viene naturale, anche per i minori costi di abbonamento, nel caso si dovesse scegliere Tidal per motivi di catalogo o altro, si cascherebbe pur sempre in piedi (e pure comodi!), soprattutto rispetto a Spotify che ancora ritarda ridicolmente l’annuncio della sua versione Hi Fi con “qualità CD”, una roba che più anacronistica non si può (come annunciare che puoi correre i 100 metri in dieci secondi nell’era di Bolt, eh…vabbé…).
Che dire quindi, chiudo con una frase semplice: Tidal è stupefacente, Qobuz è meraviglioso.
Impianto Hi Fi di base utilizzato per la prova:
- Amplificatore Audio Analogue Puccini Anniversary Airtech
- Cavi di potenza Tellurium Q Black II
- Diffusori Harbeth C7ES3
Aggiungi Commento