Come tanti di quelli che mi conoscono sanno ho lavorato per tanti anni con un sistema B&W (Bower & Wilkins) 705 abbinato ad un sub B&W ASW610: un sistema che ho adorato (tanti anni fa venivo dalle Adam A7X che non ho gradito poi chissà quanto) e che negli anni avevo imparato a conoscere bene dopo ore ed ore di ascolto e lavoro.
Perché cambiare impianto audio?
Come avviene dunque una scelta così drastica di cambiare impianto? Si, drastica, perchè per un sound engineer cambiare ascolto è come per un pilota cambiare auto, o qualcosa di molto simile: ti trovi ad avere al timone una nuova macchina da gestire, con cui “dialogare”.
Bene, per rispondere alla domanda, da quando lo scorso anno mi son trasferito qui nel nuovo studio (Hologram Studios), ho fatto – e continuerò a fare – via via tanti upgrade per far compiere un level up generale a tutto (mic, pre, ecc).
L’impianto di ascolto, seppur ormai a me molto familiare, iniziava da un po’ a starmi stretto, visto anche che da quando sono entrato in questa nuova regia ho un’acustica veramente pazzesca, che ha messo a fuoco ancora di più i “limiti” di quel sistema (che rimane, in ogni caso, un gran sistema per me) e cioè: linearità delle basse (motivo per cui aggiunsi un sub), focus sulle medie un po’ più “alto” della zona cruciale per voci e chitarre.
Diciamo che in generale sono le caratteristiche di un ascolto completamente Hi Fi, le B&W sono delle casse di questa tipologia d’uso infatti, anche se con gli anni sono diventate uno standard anche per l’audio pro (anche agli Abbey Road Studios usano grandi speaker B&W ad esempio, NdR).
Da diversi mesi quindi ho iniziato a “fare cassa” ed a spulciare le alternative che mi offriva il mercato e di una cosa ero certo: non volevo più un sistema passivo, né un sistema con un sub (mi accorgevo che nella zona di crossover avevo spesso problemi di balance).
La mia nuova scelta: Amphion
Ve lo dico subito: sulla prima premessa ho fallito!
Scherzi a parte, le alternative erano tante tante (alcune anche provate) ma c’era questo brand, Amphion, che mi aveva attratto – lo confesso – prima di tutto per il suo design elegante, compatto e ai miei occhi bellissimo da vedere.
Tramite alcune conoscenze in comune sono venuto in contatto con Michele Signore, che si occupa di Amphion in Italia, che è stato molto gentile e in poco tempo sono riuscito a provare le One18 e le Two15, i modelli che avevo selezionato, in combinazione con l’amplificatore Amp700, sempre di casa Amphion.
Come avete visto nelle foto ho scelto le Two 15.
Come suonano? Splendidamente.
Un suono sempre a fuoco
È uno speaker a 2 vie, con due driver per LF/MF (basse e medie) e due corrispettivi radiatori passivi in alluminio sul retro, ed un tweeter.
La prima cosa che salta all’occhio è la posizione del tweeter, leggermente incassato all’interno del cabinet, per farlo stare sullo stesso asse dei due driver. Questo credo sia fondamentale per l’allineamento, la fase ed in generale per come la percezione sonora sia compatta e idealmente localizzabile singolarmente, come se, semplificherò, il suono venisse da un unico cono.
Confermo, infatti, che nell’ascolto l’immagine stereo è definita e anche abbastanza ampia, non c’è quella sensazione di essere sempre in bilico fra il corretto sweet spot e altre posizioni in cui qualcosa “non torna”, perchè magari siamo usciti dal fuoco del tweeter.
Questa è una caratteristica molto importante che, essendo sia musicista che fonico, apprezzo moltissimo anche in fase creativa, quando mi concentro più sul suonare che sulla perfezione sonora: con le Two15 riesco a tenere sotto controllo entrambi i fattori con un mio margine di movimento maggiore.
Parliamo di frequenze
Le basse frequenze sono super tight, si estendono il “giusto” oserei dire, senza avere quell’enfasi e quella “definizione” sulle sub, per dire, che è bene lasciare ai mastering engineer.
Sono comunque molto estese, direi praticamente lineari fino ai 55/60Hz, solidissime, con la giusta percezione ed un timing perfetto rispetto all’intero spettro. Segno che anche i radiatori passivi fanno benissimo il loro lavoro.
Forse è un po’ avanti la zona intorno ai 200Hz (cosa che ho controllato e sistemato utilizzando SoundID Reference), ma in generale l’ascolto di questo range è stupendo.
Le medie sono belle in-the-face, centrate benissimo, non direi che siamo davanti alla risposta delle Yamaha NS-10 ma direi più ad un incrocio fra un po’ diqueste e il mondo moderno. Tutta la parte media è molto intellegibile, porta fuori molti “difetti” e permette di agire subito sui suoni e di capire quale sia la strada giusta.
Cercavo esattamente questo, le B&W erano un po’ troppo “amiche” in questa zona (come da diffusoir Hi Fi del resto), ora è tutto molto più a fuoco.
Le alte sono meravigliose, dettagliate, non stancano, perfettamente in fase col resto per dare davvero un’idea completa del suono e permettere di lavorare per molto tempo.
Le dinamiche
Il suono di questo sistema mi ha stregato anche per la cura con la quale restituisce le dinamiche: le compressioni in generale sono molto più evidenti, si capisce molto bene la percezione dinamica di uno strumento e lavorare con i comp è molto più veloce e chiaro.
Ho sentito subito, per esempio, alcune over-compressioni in alcuni miei vecchi lavori.
Sicuramente è un impianto che non perdona, e questo, è sicuramente un bene! Parte del merito va anche all’amplificatore Amphion Amp700, potente (visto che serve un bel finale per pilotarle come si deve), linearissimo, lavora in modo eccezionale in quanto a sinergia.
Due stand che fanno “cantare” le casse
Non potevo esimermi poi dal dare dei supporti adeguati a questi diffusori e così ho chiamato Gaetano Conti di Solidsteel per chiedergli qualche dritta.
Lui, sempre gentilissimo, ha trovato rapidamente la soluzione alle mie esigenze nel modello Solidsteel NS-10: un paio di stand, stupendi da vedere, con 5 “colonne” in alluminio che poggiano su una base in acciaio inossidabile e sorreggono un top plate in legno. Il tutto è verniciato in nero ed è decisamente elegante.
Le colonne tubolari sono riempite in Stratocell®, un tipo di polietilene che aiuta ad assorbire la trasmissione delle vibrazioni, un sistema che si completa con le punte regolabili, sempre in acciaio inossidabile, che vanno a poggiare sul pavimento.
Nonostante la mia regia abbia un pavimento flottante, questo ha aiutato ancora un po’ a linearizzare la risposta dell’impianto. Credo che su pavimenti classici sia a dir poco cruciale.
Bene, siamo arrivati alla fine di questo piccolo racconto, spero di non avervi annoiato, adesso torno ai miei piacevoli ascolti!
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