Jeff Beck fa urlare la sua chitarra, Jan Hammer abbraccia il pubblico con il suo potente synth e sotto di loro una sezione ritmica paurosa: Jeff Beck with the Jan Hammer Group Live.
Jeff Beck fa urlare la sua chitarra, Jan Hammer abbraccia il pubblico con il suo potente synth e sotto di loro una sezione ritmica paurosa: Jeff Beck with the Jan Hammer Group Live.
Penso fossi al primo anno di università, parliamo dell’oramai lontano 1999, quando al mio negozio di dischi di fiducia fui incuriosito da quella copertina rosso sangue su cui troneggiava lo sfondo di un chitarrista. All’epoca per me il vinile era questione morta e sepolta, per cui uscii con in mano il CD, che oggi, insieme al disco nero originale che ho ricomprato anni dopo, conservo ancora gelosamente, con affetto nostalgico.
Ascoltare questo disco per me è un po’ come sentirmi a casa. Come passeggiare per stanze in cui hai vissuto per anni e che conosci a memoria, tanto che se ti alzi di notte non hai neanche bisogno di accendere la luce. Ecco, è esattamente la stessa cosa, in qualunque punto possa poggiare la puntina, so già quali saranno le 3 o 4 note successive o il fill di batteria in arrivo.
Uscito nel 1977, questo non è stato uno degli album più ben visti dalla critica per quanto riguarda Beck. Sarà che uscì in un periodo in cui la Fusion era già diventata un po’ stantìa e autoreferenziale. Sarà che la Disco e il Punk, due generi all’estremo opposto, stavano soppiantando tutto. Sarà che i giovani chitarristi dell’epoca stavano tornando al rock più sanguigno e velocista, certo non alle scale derivate dal jazz.
Sarà che venne considerato un prodotto di serie B se messo accanto ai dischi della Mahavisnu Orchestra, la band Jazz-Rock per definizione insieme ai Soft Machine e alla Fusion dei Weather Report (sommessamente ricordo che neanche in Italia scherzavamo con Area, Perigeo, Arti e Mestieri e altri).
Sarà quel che sarà, che dicano un po’ quel che vogliono ma questo live… spacca!
Perdonate la locuzione adolescenziale, ma non saprei come altro definirlo. Certo, forse non tutta la scaletta è perfetta (io avrei preferito qualche altra cosa dall’album Wired in sostituzione di alcuni brani o in aggiunta), ma scorre che è un piacere. Soprattutto la seconda parte, con le imperiose “Full Mooon Boogie“, “Scatterbrain” o “Blue Wind“. Che valgono il costo del disco.
Costo peraltro davvero a buon mercato, perché in CD ve lo tirano letteralmente dietro (anni fa lo trovavo anche nelle grosse catene se non addirittura negli autogrill in offerta), ma anche in vinile addirittura le prime stampe americane o inglesi originali hanno costi del tutto normali.
Io con questo disco ho conosciuto Jeff Beck. E anche Jan Hammer. Ma ovvio, essendo chitarrista fui totalmente rapito dalla maestrìa del primo, che con la chitarra fa davvero quello che vuole.
Jeff Beck è unico, non posso consigliarvi un solo disco, anche perché ha attraversato tante fasi diverse. Potrebbe piacervi la fase precedente del Jeff Beck Group o quella con Appice & Bogart, questa della Fusion (in ogni caso Blow by Blow e Wired dovreste averli a tutti i costi), o tutte le fasi successive anni ’80, ’90 e del nuovo millennio.
Non ha mai smesso di produrre, di stupire, di cercare nuovi terreni da esplorare.
Il chitarrista perfetto non esiste. Ma per quanto mi riguarda, Jeff Beck, ci va davvero molto vicino.
Il duello tra chitarra e synth nel live di Jeff Beck
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