“Little Blue Girl” è un brano che risale al 1935, scritto da Richard Rodgers e Lorenz Hart, per la prima volta introdotto in un musical di Broadway intitolato Jumbo.
È questa la canzone che dà titolo al primo album di Nina Simone, nel ’58 giovane promessa della musica jazz e del pianoforte classico, due mondi che non riuscirà mai a separare per sua indole.
Nina è una donna molto sicura di sé, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. È cresciuta in clima di pieno odio per la sua “razza”, che soprattutto nel Sud degli Stati Uniti soffoca qualunque diritto civile delle popolazioni afroamericane. Diritti per i quali lei stessa si sarebbe battuta aspramente.
I suoi studi avvengono sul pianoforte classico, ma il suo idolo è Billie Holiday ed è così che inizia a interessarsi al Jazz. Matura in fretta, come i più talentuosi giovani sanno fare, e costruisce la sua carriera album dopo album, fino a incredibili traguardi come quello di suonare nel tempio della musica classica (assai “bianca”) newyorkese, la Carnegie Hall.
Proprio lì presenta il brano “Mississippi Goddam”, ispirato all’assassinio a sfondo razziale di alcune giovani di colore.
Crescerà sempre di più in lei un malessere profondo, finché non solo abbandonerà la musica, ma anche gli stessi Stati Uniti, viaggiando per tutto il mondo. Anche per questo, non abbiamo molte ristampe dei suoi album, messi omertosamente da parte per lungo tempo dalle case discografiche.
Solo alla fine degli anni ’80, grazie a uno spot pubblicitario, il mondo si ricorderà di lei.
Di questa artista che era (ed è nonostante sia scomparsa nel 2003) una stella luminosissima del panorama musicale di ogni tempo.
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