Casualmente, proprio nel giorno in cui festeggiamo il 25 aprile arriva anche il 25° appuntamento con la mia rubrica Ti Consiglio un Disco. Molto meno casuale invece la scelta dell’album: visto che in questi giorni si parla molto dei concerti italiani di Roger Waters, ecco a voi quello che secondo me è il suo miglior lavoro da solista, Amused to Death.
Non è un mistero che da decenni Waters si batta umanamente e artisticamente contro gli orrori della guerra. Con The Final Cut (1983) meditava sulla guerra per le isole Falkland tra Argentina e Inghilterra, oggi sono ovvi i riferimenti alla Siria e a tutto il Medio Oriente, con il dito puntato verso l’eterna lotta tra Israele e Palestina. Nei primi anni ’90 si era in piena Guerra del Golfo, nonché all’indomani delle proteste nella piazza cinese di Tienanmen (chi non ricorda la famosa foto del Rivoltoso Sconosciuto fermo davanti alla fila carri armati?) e Waters ovviamente sente il bisogno di dire la sua.
Stavolta però la sua riflessione non è più a metà tra le amarezze della guerra e quelle personali – ricordiamo che lui stesso ha perso nonno e padre al fronte durante i due conflitti mondiali – ma mette al centro la nostra indifferenza verso la violenza, verso le devastazioni, ipnotizzati dai mass media e sempre più svuotati di emozioni, come scimmie in un eterno zapping.
Il titolo dell’album, difatti, si ispira a un libro dello studioso dei media Neil Postman, intitolato appunto Amusing Ourselves to Death (“Divertirci fino alla morte”)
Non ci poteva essere album più simbolico di questo oggi, in cui oltre che liberazione dagli oppressori nei paesi in guerra, dovremmo augurarci la nostra stessa liberazione dai troppi discutibili mezzi di informazione, visto che una buona metà sono assolutamente fake. Liberare noi stessi per liberare il mondo.
Buon ascolto!
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