Pensare che in questo gruppo anglo-italiano rischiava di giocare le sue carte un colosso come Ritchie Blackmore! Ebbene sì, da qui parte la storia dei The Trip.
Alla fine degli anni ’60 in Italia non c’erano solo i Gianni Morandi o le Rita Pavone (maldestramente riportata alla ribalta in questi giorni…), il panorama musicale italiano si stava infatti iniziando a popolare di band e artisti fortemente influenzati dalle nuove musiche importate da Inghilterra e Stati Uniti.
Dalle coste dell’isola britannica arrivavano gli echi, difatti, di una nuova musica sinfonica (all’epoca il termine “progressive” non era neanche nato), un misto tra musica tradizionale, blues d’oltreoceano, musica classica e suoni from outer space, con composizioni assai più lunghe dei 3 minuti scarsi canonici.
Il tutto anche grazie alle innovazioni tecnologiche in ambito di tasti bianchi e neri, dai grandi sintetizzatori al Mellotron, fusi con l’organo, ora non più “roba da chiesa” ma cibo per rockettari, pesantemente distorto attraverso amplificatori portati in piena saturazione valvolare.
In tutto questo – e non che in Italia mancassero i produttori di strumenti, da Binson a Eko, Meazzi, FBT, Farfisa, Welson e compagnia cantante – si innestano i The Trip. Che poi del tutto italiani, come dicevamo, proprio non sono, visto che buona parte della band è composta da nomi stranieri. Ma d’altronde, è in Italia che trovano la loro strada, grazie al produttore Alberigo Crocetta che dopo averli sentiti al Piper li mette sotto contratto per l’allora gloriosa RCA.
Le abilità tecniche dei musicisti sono indubbie, soprattutto quelle di Joe Vescovi, tastierista “figlio”, come tanti altri, del Jimi Hendrix delle tastiere, cioè Keith Emerson (The Nice, Emerson, Lake & Palmer).
Caronte è la loro più importante pubblicazione del periodo e, probabilmente, di sempre. Ad oggi rimane uno dei 100 dischi fondamentali della storia del Progressive, seppur sicuramente più di nicchia rispetto ai cugini al di là della Manica. Ma è la storia del Prog Italiano questa, un genere considerato di nicchia… forse più da noi che all’estero, poiché sia negli Stati Uniti che in altri Paesi, Giappone in primis, abbiamo fatto e facciamo ancora furore.
Là dove si ricordano dei nostri musicisti che non avevano nulla di invidiare ad altri e anzi, a volte potevano anche insegnare (Area docet…).
Lasciamoci ora traghettare da Caronte lungo i suoi lidi musicali, a volte calmi, a volte tempestuosi.
Preparate l’obolo, inizia il viaggio…
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