Document, uscito nel Settembre del 1987 sotto la produzione di Scott Litt, fu un successone discografico. Con questo album i R.E.M. cominciarono a saggiare la prima vera grande sovraesposizione massmediologica; seppur ancora quasi del tutto confinata nell’ambito del territorio nazionale. Quello con Scott Litt sarà un sodalizio fortunatissimo e che vedrà il gruppo comporre gli album più significativi della loro carriera. I passaggi più alti di Document risiedono sicuramente in The One I Love e It’s The End Of The World, ed è proprio a queste due canzoni che l’album deve la maggior parte del suo successo. Questi due singoli, al tempo, spopolarono in tutte le classifiche e qualcosa di significativo iniziò a vedersi anche in Europa, dove TV e radio cominciarono timidamente ad introdurre nei loro palinsesti i video e le canzoni del gruppo. Entrando più nello specifico possiamo notare come i concetti fondamentali alla base di questo album siano due: politica e fuoco. Riguardo alla politica non possiamo fare a meno di ricordare che i R.E.M. hanno, da sempre, molto a cuore i problemi del sociale e dell’ecologia. Quando parliamo dei R.E.M. come “band politica” non dobbiamo però commettere l’errore di pensare a loro come ad una “posse” o un qualcosa di simile; i R.E.M. sono pur sempre statunitensi e negli States non c’è una vera e propria “cultura” (o spesso “incultura”) politica come la intendiamo noi europei. Michael e compagni sono molto interessati ai problemi di attualità ma sono anche sufficientemente distaccati dalle piccole vicissitudini della politica istituzionale, tanto da poterne parlare con una certa ironia mista alla giusta consapevolezza riguardo quello che accade nel mondo. In poche parole i R.E.M. sono politicizzati quanto lo possono essere gli attivisti di Greenpeace o di Amnesty International, i loro testi sono sempre piuttosto obliqui, sarcastici, mai troppo espliciti. Lo stesso Michael Stipe in un’intervista disse: “Non mi annoierò mai a scrivere canzoni politiche o canzoni d’amore […] sono troppo scontate e noiose […] la cosa più importante per me come compositore è scrivere sforzandomi di immedesimarmi in situazioni che non vivo in prima persona, cercando di tirar fuori in modo originale quello che la gente può provare in determinate occasioni […] scrivere testi è soprattutto una sfida contro me stesso”. É comunque risaputo che i R.E.M. sono sostenitori del Partito Democratico, durante le elezioni non hanno mai mancato di sostenere canditati di quella formazione politica (Michael Dukakis e Bill Clinton tra tutti) per cui è facile capire la genesi di un album come Document in un periodo di imperante reaganismo. In questo senso molti hanno voluto leggere la caoticità dell’album come una metafora degli anni ottanta: un enorme calderone, un periodo di confusione e smarrimento… quasi una bolgia dell’inferno! Ecco quindi che entra in gioco la seconda componente dell’album: il fuoco. Come era accaduto in Reckoning, anche Document ha un sottotitolo per il mercato americano: File Under Fire (vale a dire: “catalogare sotto la voce fuoco”). Il fuoco è un elemento che richiama la purificazione dei peccati, la distruzione e la creazione, tutti argomenti di cui l’album è impregnato profondamente. Inoltre, come Reckoning era stato un album dalle atmosfere “umide”, questo Document è un lavoro dalle atmosfere “calde”; quasi ovunque emerge un suono pieno ed avvolgente, ipnotico e suadente: tutte sensazioni che è facile provare fissando un camino acceso in una fredda notte invernale e, non a caso, in questo album è presente una canzone intitolata Fireplace (Camino). L’artwork di questa quinta opera remmiana non fa altro che raccontare didascalicamente il caos e le tematiche sociali contenute all’interno. La foto di copertina pare sia un autoscatto eseguito dallo stesso Stipe mentre le immagini interne sono tratte da illustrazioni del periodo ricostruzionista sovietico. Del resto l’enfatizzazione dell’etica del lavoro (oggetto della poetica ricostruzionista) costituisce un altro tema portante dell’album, un aspetto che traspare palesemente in Finest Worksong, la canzone di apertura. In ultima analisi è possibile affermare che il disco, nella usuale conformazione di “concept album”, risulti molto più interessante ed accattivante nei contenuti che non nella musica. Document, specialmente nella sua seconda metà, risulta troppo pesante, statico, delle volte quasi irritante. L’ossessività sonora è quasi certamente intenzionale, volta a trasmettere un’atmosfera pregna di disordine e tensione. Esempi lampanti sono costituiti dal sound marziale di Finest Worksong, dalla ritmica implacabile di Strange (cover degli Wire, storica punk-band inglese), dall’incedere precario ed evanescente di Fireplace. Lightnin’ Hopkins ed Oddfellows Local 151, fortunatamente alternate dalla più ariosa ed armoniosa King Of Birds, completano quest’opera tratteggiata da tinte veramente troppo fosche. La prima parte del disco è sicuramente quella più apprezzabile tanto che Peter Buck, successivamente, dichiarò: “Document… ah si, è quel disco in cui c’è uno dei nostri migliori “lato A” mentre nel “lato B” ci sono dei bizzarri esperimenti”.
Casa discografica: I.R.S.
Anno: 1987
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