Occhiali spessi e cappelletto di lana, Ry Cooder predilige il basso profilo ma dagli anni ’60 rimane uno dei protagonisti della musica moderna quanto a spessore artistico e influenza a largo raggio. Il suo nuovo lavoro è ancora una volta il mezzo per raccontare delicate storie e riportare a galla note e personaggi di un mondo musicale a rischio estinzione.
Sono immagini e melodie che hanno il sapore dei “bei vecchi tempi andati”, quelli in cui l’utopia di un mondo migliore era il pane quotidiano di un’intera generazione.
E quello di Cooder è una sorta di esorcismo in musica, un attacco reiterato ai demoni quotidiani armato di strumento a corde al posto dell’acqua santa.
“La chitarra mi ha dato una chiave per gestire la musica e le emozioni, salvandomi dal totale auto-isolamento. Sono abbastanza sicuro che se un violinista amico dei miei genitori – sulla lista nera per le idee politiche – non mi avesse dato una chitarra quando avevo 4 anni, ora sarei lì a saccheggiare drogherie a El Segundo o a decorare automobili hot-rod a Pacoima”.
La parola d’ordine del disco è dichiaratamente “reverence”, in italiano “venerazione, riverenza”, a significare il profondo senso di rispetto che a volte scende su un musicista.
È l’effetto di una musica che porta in sé un collegamento vivo con la tradizione e i suoi protagonisti di ogni epoca.
“Si potrebbe definire un canale per i sentimenti e le esperienze della gente di altri tempi, come quando sei dietro una vecchia chiesa e le tombe solitarie ti raccontano delle cose. (Il maestro africano) Ali Farka Touré una volta mi disse che quando suonava bene la sua musica poteva sentire gli “anziani” tutti intorno e sopra la testa in semicerchio “.
L’album è stato concepito ancora una volta assieme e grazie al figlio Joachim, percussionista originale e dalla rara sensibilità, ormai una presenza imprescindibile nella musica del padre. Con lui Ry si può permettere di trasformare la registrazione in un momento di passione e divertimento, one take, live vocals e via.
I suoni sono quelli che ci si possono aspettare dal patriarca della slide guitar, riferimento imprescindibile per tutti coloro che si sono avvicinati allo stile negli ultimi 40-50 anni.
Strumenti d’epoca e una padronanza assoluta dei suoi mezzi viaggiano di pari passo con la conoscenza approfondita delle radici e del percorso che nel ‘900 ha portato fino alla nascita del rock’n’roll.
Suona un po’ tutto lui, compreso il basso, con il figlio a riempire con grande fluidità il settore ritmico. Ed è sua la mano magica che pennella ritmiche con delicatezza o strappa energicamente le corde per dar vita a un assolo con il suo inimitabile bottleneck.
La title-track è uno dei pezzi più significativi e divertenti, ma – attenti – la versione “live in studio” del video su YT è anche meglio quanto a grinta. E il suono della chitarra è da paura…
Interessante la presenza nei video in quartetto (ci sono anche “Everybody Out to Treat a Stranger Right” e “Straight Street”), la presenza di un sassofonista che trasforma il suo strumento in una vera e propria sezione di fiati grazie all’uso degli effetti.
Sono tre le canzoni originali, l’intrigante “Shrinking Man”, la caraibica “Gentrification” e “Jesus and Woody”, eterea ballad in cui l’artista omaggia ancora una volta uno dei suoi riferimenti principali come songwriter, Woody Guthrie. Tra le altre risalta una cupa cover di un altro maestro di Cooder, Blind WIllie Johnson: “Nobody’s Fault But Mine” è resa ancor più tormentata dal pad ossessivo in sottofondo.
Delicatissima in apertura la versione di “Straight Street” dei Pilgrim Travelers punteggiata dal mandolino di Cooder, deliziosamente fuori di testa la conclusiva “In His Care”.
I vecchi vocal partner Terry Evans e Bobby King sono largamente presenti nell’album, aiutando a dare un carattere gospel a “Everybody Out to Treat a Stranger Right”, altra composizione di Blind Willie Johnson e a “You Must Unload”.
“I’ll Be Rested When The Roll Is Called”, in un coro festoso di banjo e mandolini, è la “Jesus on the Mainline” dell’album, incorniciata in una foto d’epoca che è uno dei marchi di fabbrica di Cooder.
Originale e piena di fascino “Harbour of Love”, rubata al repertorio degli Stanley Brothers, pionieri del bluegrass.
Musica per nostalgici? Forse, anche. Ma c’è chi pensa che la buona musica non abbia una categoria precisa. Soprattutto se scritta, suonata e interpretata con il cuore, la pancia e una mente lucida che si preoccupa solo di mantenere la coerenza. Tutto il resto è fuffa.
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