Registrato in analogico su nastro, Signs è il nuovo lavoro della Tedeschi-Trucks Band e contrappone ottimismo al senso di perdita con la consueta classe
Non è facile per una band famosa per esibizioni particolarmente coinvolgenti sul palco trovare la stessa efficacia in studio, soprattutto nel proporre materiale originale. Messa nel cassetto la soluzione più facile, quella di registrare un album live, Susan Tedeschi e Derek Trucks hanno però deciso di impegnare tutte le loro forze nella produzione di un disco interamente basato sulle loro nuove composizioni.
Con l’aiuto dei musicisti della band e di amici illustri come Warren Haynes e Doyle Bramhall II hanno creato undici canzoni che propongono l’abituale mix di soul, blues, southern e classic rock, animate dagli arrangiamenti e dai vivaci scambi tra solisti, cori e sezione di fiati. Con un gruppo di dodici ottimi elementi c’è del buon materiale a disposizione per offrire la giusta cornice alla voce grintosa della Tedeschi e alla straordinaria chitarra di Trucks.
Mentre i figli di Gregg Allman e di Dickey Betts proseguono sulla strada paterna con la loro band, la coppia d’oro del soul-blues USA dedica il nuovo lavoro a vari personaggi e familiari scomparsi di recente, dallo stesso Gregg Allman a Butch Trucks, zio di Derek e batterista degli Allman Bros, fino all’amico e mentore Col.Bruce Hampton, morto sul palco davanti ai loro occhi. È dedicata a lui la delicata “The Ending” in chiusura.
Non tutte le canzoni di Signs sono di livello stellare, ma la qualità del suono delle registrazioni realizzate in analogico su nastro da due pollici riesce a trasmettere con efficacia la compattezza e il groove della band, facendone risaltare i momenti migliori. Tutto gira come sempre intorno alle interpretazioni vocali di Susan Tedeschi che riesce a sottolineare il carattere bluesy con eleganza e temperamento.
Dal southern soul della incalzante “Signs High Times” all’intrigante ballad dai risvolti pop “I’m Gonna Be There” e alla grintosa “Shame” lei è sempre in prima linea con testi capaci di trasformare il dolore in passione senza dimenticare il collegamento alla situazione sociale più ampia.
Inutile ripetere che quando entra in campo Derek con la sua chitarra non ce n’è per nessuno, il livello è sempre e comunque altissimo.
Ci si chiede se sia percepibile anche dai non chitarristi il carattere surreale di uno strumento suonato con una tecnica inarrivabile non solo per la perfetta intonazione della slide, ma anche per la scelta delle note fondata su una musicalità implacabile e mai eccessiva. Nell’album Derek non si mette più di tanto in evidenza, ma quello che fa è sempre speciale seppur offerto con la consueta semplicità.
Sono canzoni che renderanno molto di più sul palco – in Italia il 17 maggio a Milano, Teatro degli Arcimboldi e il 18 a Trieste, Politeama Rossetti – ma nel frattempo è possibile ascoltare la scoppiettante “They Don’t Shine”, il secondo singolo tratto dall’album.
Per non perdere tempo abbiamo fatto qualche domanda ai due blues-coniugi…
Avete dovuto modificare qualcosa nella registrazione lavorando su nastro, in rapporto alle dinamiche o alla ripresa delle chitarre, ad esempio?
La registrazione su nastro ha cambiato l’intero approccio. Ha costretto ognuno di noi a dare il massimo nel momento in cui il nastro girava. È una grande sfida, ma tutti sono stati capaci di concentrarsi ed essere all’altezza del proprio ruolo. Il suono che riesci a ottenere su nastro ne vale comunque la pena.
Quanta parte dell’album è stata registrata live? Avete aggiunto solo le voci e gli assolo?
C’è un po’ di tutto, ma la maggior parte dei pezzi sono stati registrati live. È dura con una band da dodici elementi ma siamo tutti ben abituati a suonare dal vivo. Devi tenere le orecchie bene aperte e trovare il tuo spazio all’interno del pezzo, all’opposto di mettere il paraocchi e concentrarti solo sulla tua parte.
Che strumentazione avete usato in sala?
Derek: Ho usato in primo luogo la mia Gibson SG preferita, quella che porto in tour, e un’altra SG Les Paul del ’61 che non esce dallo studio. Ho usato anche una vecchia Martin acustica. Come amplificatori ho sfruttato per la maggior parte un Fender Super Reverb e un Vibrolux.
Susan: Ho cantato tutte le mie parti nel disco attraverso un microfono Telefunken U47. Come chitarre ho suonato la mia strat del 1979 e una Gibson Les Paul modello “Beano” amplificate con un Fender Super Reverb che amo molto. E ho usato anche la mia Martin vintage per le parti acustiche.
Derek, l’impossibile perfezione del tuo stile slide è un argomento comune di discussione per migliaia di stupefatti chitarristi in tutto il mondo. Sei in grado di dire cos’è che ti mette in una categoria a parte rispetto ad altri bravissimi strumentisti? Un orecchio straordinario o un modo diverso di studiare la tecnica, magari?
Questa è una domanda tosta! Penso che il semplice ascolto di ogni tipo di musica e la ricerca dei grandi esecutori di ogni strumento mi abbia aiutato lungo il percorso, fra le altre cose. Ci sono decine di migliaia di fantastici chitarristi nel mondo, ma non tutti sono interessati a diventare musicisti!
Qual è la sfida per un artista che scrive canzoni nell’America di oggi? Nei vostri testi risuona una certa empatia con i problemi sociali e politici del periodo in cui viviamo.
Devi scrivere di quello che conosci e molti di noi in America e in giro per il mondo stanno vivendo un’epoca unica e impegnativa. Siamo certamente empatici con coloro che soffrono o con le persone bersagliate da odio e oppressione. A livello personale, abbiamo perso alcune persone a noi molto vicine negli ultimi anni. Il periodo in cui viviamo e le perdite subite sono sempre stati di fronte a noi nel corso della lavorazione.
“
Aggiungi Commento