Innanzitutto: il suono del basso elettrico è in larga parte dipendente dal bassista.
C’è una prima importante variabile da considerare che è il genere musicale. Nel pop, R&B, Jazz per ottenere una buona registrazione possiamo accontentarci di registrare in diretta, attraverso una buona Direct Box che oltre a bilanciare il suono abbasserà l’impedenza dello strumento fino a renderla compatibile con l’ingresso del nostro preamplificatore o mixer.
Quando le cose si fanno più dure, come nel rock e i suoi derivati, allora un amplificatore diventa importante e ci darà quel carattere assai importante per restituire quel misto di autorevolezza e presenza necessari.
Esistono diversi tipi di basso elettrico (basso a 4 corde, a 5, ecc.), diversi tipi di cordiere, lisce, ruvide e semi-ruvide e anche diverse combinazioni di pickup, ma a me piace semplificare le cose e così restringo il mondo in tre categorie che chiamerò “P” in omaggio al Fender Precision, “JB” a ricordare il Fender Jazz Bass e infine “G” per raggruppare i bassi in stile Gibson e con pickup humbuckers.
Ho le mie ragioni per semplificare così e proverò con lo spazio di cui dispongo di chiarire il mio punto: il tipo P e il tipo JB, sebbene abbiano una forma e costruzione simili, hanno circuiti e pickups molto differenti:
- Il P esprime sempre un carattere più marcato ma minore flessibilità.
- Il JB invece ha una gamma di timbri più vasta ma può mancare di carattere nei medio-bassi tanto utili nel Rock.
- I bassi di tipo G, con pick-ups generalmente humbucker, mostrano una minore apertura sulle alte e la particolare risonanza dei pickup gli conferisce un carattere che lo avvicina al contrabbasso.
In tutti i casi però registro la D.I. in aggiunta all’amplificatore che catturerò scegliendo un microfono a capsula larga, magari dinamico o a condensatore ma con pad per evitare di saturare il circuito interno del microfono. I miei preferiti per il basso elettrico sono EV RE-20, Sennheiser MD-421, Shure SM7, Neumann u89, Neumann u47Fet.
Parto sempre con la capsula ben centrata sull’altoparlante da 15 pollici, così da avere più alte possibili, a una distanza di circa 4 dita o dieci centimetri.
Poi ascoltando modifico la posizione, verificando l’interazione di fase con la D.I. Box. Pochi millimetri di differenza possono modificare il timbro notevolmente a causa del “comb filter” che si crea tra D.I. E microfono. Infatti la D.I. si troverà sempre in anticipo rispetto al microfono ma non è necessario modificare questa differenza, in special modo se il suono c’è.
Parlando di D.I. Box io preferisco quelle passive con un trasformatore di qualità come la Jensen ISOMAX o la Radial JDI. Molti preamplificatori microfonici moderni offrono una valida alternativa con il loro ingresso HI-Z dove Z sta per impedenza e quindi sono ingressi che accettano alta impedenza, tipica degli strumenti musicali come chitarre e bassi.
In registrazione uso pochissimo processo sul microfono, solo un compressore, possibilmente LA2a con una riduzione del gain di massimo 1dB tanto ci pensa il cono dell’ampli a smussare i picchi.
Altro discorso è la D.I. che processerò con una banda di parametrico molto stretta a cercare una risonanza particolarmente nociva che di solito ritrovo tra i 500 e 700 Hz. Rimuovendo questo fastidioso “naso” il suono sembra avvicinarsi e improvvisamente il basso diventa più “elegante” e caldo. Io uso un RANE PE15 vintage per questo lavoro.
A seguire un compressore che ridurrà i picchi fino a 5 o 6 dB. Ho sempre pronto un dbx 160 per questo lavoro. Resta solo da bilanciare il rapporto tra le due sorgenti e la registrazione è fatta.
In fase di missaggio, se il suono è equilibrato e non presenta problemi tecnici da affrontare, il processo sarà minimale. Per prima cosa creo un gruppo aux dove faccio convergere entrambe le tracce così da processarle insieme. Poi per prima cosa inserisco un filtro passa-alto. So che può sembrare strano e effettivamente a volte non è necessario. Ma usando il filtro giusto, con la corretta frequenza e approfittando della rotazione di fase che avviene nella frequenza scelta per il low-cut avvengono a volte veri miracoli psico-acustici.
Per approfondire vi consiglio di rileggere il mio articolo a questo proposito.
Insomma scegliendo bene la giusta frequenza tra i 30 e i 50 Hz potremmo ottenere, oltre che una importante pulizia nella banda bassissima, un incremento delle basse frequenze che sembrerà sorprendente e che io giustifico con il fatto che la riproduzione non viene disturbata da movimenti del cono che non producono effetti sonori ma modulano in modo deleterio e basse udibili.
Ora, se vi piacciono quei bassi rotondi e corposi potete provare questo: con un filtro shelving date tra i 6 e i 10 dB a 100 Hz e fate seguire questo EQ da un compressore stile 1176 riducendo il gain di circa 10 dB con un attacco il più veloce possibile senza generare artefatti, circa 5 ms, e un release lungo abbastanza da arrivare all’attacco della nota successiva.
Se invece volete restere fedeli al suono registrato potrebbe bastare 1 dB a 50÷80 Hz in shelving (che combinato con il passa-alto darà una specie di campana) e un paio di dB nella zona tra i 700 e i 1200 Hz per avere maggiore definizione delle dita e del “growl” delle corde. Il tutto ovviamente ascoltando il basso insieme agli altri strumenti.
Potete anche provare un trick che ho imparato dal compianto Mike Shipley, cioè quello di inserire il plugin “LO-FI” di Pro Tools sulla D.I. Regolando solo 0,2 o 0,3 di saturazione. A volte fa miracoli.
Un altro plug-in che fa miracoli è Phoenix di Crane Song, un piccolo tocco di questa magia e ti ritrovi immerso nel “suono analogico”!
Se il basso risultasse ancora poco definito aggiungete, in parallelo, un plugin di distorsione. Il mio preferito è Sansamp che ho tra i plug-ins di Pro Tools. In generale no uso altri effetti a parte un pizzico di Chorus o di Harmonizer in stile H3000. Il mio preferito è MicroPitch Shift di Soundtoys.
E con questo vi saluto!
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