Ci vuole arte per scivolare con disinvoltura tra il basso a 6 corde e il contrabbasso, e di arte ne ha davvero parecchia dalla sua John Patitucci, un vero e proprio punto di riferimento per tutti i bassisti del mondo Jazz-Fusion da una trentina d’anni a questa parte.
Lo sviluppo e Chick Corea
Classe 1959, nato a Brooklyn ma con evidenti origini italiane (i nonni erano di Torano Castello, nel cosentino), John inizia a suonare giovanissimo subendo l’influenza di due colonne portanti del contrabbasso jazzistico: Ray Brown e Ron Carter. Per perfezionare il suo percorso didattico si sposterà poi in California, installandosi successivamente a Los Angeles per avviarsi in maniera definitiva alla professione artistica.
Verso la metà degli anni ’80 avviene l’incontro chiave della sua carriera musicale, vale a dire quello col grande Chick Corea. Il pianista dimostrerà nei decenni di faticare molto a fare a meno di Patitucci, arruolandolo in pianta pressochè stabile nelle sue formazioni Elektric Band e Akoustic Band: proprio grazie a quest’ultima ci facciamo subito una bella scorpacciata di JP alle prese con il contrabbasso nel mondo del Jazz.
John Patitucci, sopraffino solista del basso
Una delle principali “firme” di John Patitucci come musicista è la sua spiccatissima abilità di solista, che risulta inalterata a prescindere dallo strumento utilizzato; è tuttavia sul basso a 6 corde che questo aspetto trova la sua manifestazione più iconica.
Approfittando dell’ampio range di questo strumento, Patitucci si distingue in serratissimi fraseggi che un orecchio inesperto potrebbe confondere con quelli di un chitarrista, grazie all’abitudine di sfruttare le posizioni più acute della tastiera ma anche per via di un tone molto definito e articolato.
Particolarmente interessanti risultano certe sue performance incrociate sempre con Chick Corea, il quale non si limita a lasciare al bassista il campo completamente libero durante il suo turno di improvvisazione ma interagisce invece in maniera efficace ed eccellente (ça va sans dire…) regalando imbeccate che Patitucci è molto abile nel raccogliere, sicuramente per via della lunga collaborazione ma anche grazie a delle basi di preparazione estremamente solide, sostenute da una tecnica di pizzicato sopraffina.
Una visione ampia
Contrariamente a quanto la sua consistente esperienza possa far pensare, John Patitucci non è però totalmente assorbito dal ruolo di bassista/contrabbassista jazz. Nel vasto curriculum di musicista live e in studio con artisti di ogni genere può infatti contare anche collaborazioni con grandi maestri della musica per film come John Williams, Henry Mancini e Jerry Goldsmith, segnalandosi ulteriormente come session man versatile e sensibile.
Del suo ruolo di contrabbassista nell’area jazzistica abbiamo già detto e soprattutto sentito grazie al primo video dell’articolo. Andiamo ora ad ascoltare Patitucci al double bass in una veste ancor più tradizionale, con questa intensa interpretazione del canto eucaristico “Let all mortal flesh keep silence“, nel quale tra l’altro dimostra di sapersela cavare in maniera assolutamente egregia anche nell’utilizzo dell’ostico archetto.
Un fuoriclasse della didattica
John Patitucci è anche unanimemente apprezzato per il suo ruolo nella didattica. Sin dai tempi dei metodi video “Bass Workshop” ed “Electric Bass 2” l’artista si è eretto a punto di riferimento internazionale nell’insegnamento, ricoprendo peraltro posizioni di prestigio e responsabilità in importanti istituzione americane del settore.
Particolarmente interessante in questo periodo di didattica a distanza è il percorso avviato in tempi più recenti sulla piattaforma online ArtistWorks, la quale ospita un dettagliato corso in Jazz Bass impartito da Patitucci nel quale si affronta l’approccio al genere sia sul basso elettrico che sul contrabbasso, senza ovviamente trascurare i necessari approfondimenti teorici.
Ma torniamo alla musica suonata con questa perfomance estratta da uno dei suddetti video-metodi, nella quale un John ben più giovane di oggi dava un saggio della storica “Cello Suite No.1 in G” di Johann Sebastian Bach, concepita per violoncello ma eseguita dall’artista su basso a 6 corde.
Patitucci e il basso a sei corde
Già, il sei corde: quello strumento che per qualcuno “non è un vero basso”. A lui Patitucci ha legato la sua storia di musicista in chiave elettronica, e in particolare ai modelli signature realizzati da Yamaha, come il JP2 della serie TRB: un vero e proprio mostro da ben 26 tasti in scala 35″, il cui range elevatissimo calza a pennello su un bassista con le sue caratteristiche.
Desta particolare curiosità l’impostazione di imbracciamento degli strumenti elettrici che è caratteristica di John Patitucci. Il basso è infatti sempre regolato con una tracolla piuttosto stretta, di modo che il corno superiore si va a posizionare appena sotto il collo dell’artista, garantendo così una certa prossimità del manico all’interno del campo visivo; si direbbe un retaggio derivante dal contrabbasso, impressione rafforzata anche dal posizionamento della mano destra sulle corde e dalla caratteristica della pizzicata.
Dopo aver detto a sufficienza del Patitucci sideman, godiamoci in conclusione l’artista nel ruolo di leader, responsabilità che ricopre non di rado come ampiamente dimostrato dai 15 album in studio pubblicati come solista.
Lo apprezziamo proprio in una delle non rare esibizioni sul territorio italiano, quella del locale milanese Blue Note di pochi anni fa, nella sua formazione “Electric Guitar Quartet”.
Aggiungi Commento