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Jeff Beck è morto, un colpo tremendo al mondo della musica

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Addio a Jeff Beck, inaspettatamente l'eroe della 6 corde ci lascia e un grande vuoto adesso è nei nostri cuori e in tutto il mondo musicale.

È morto Jeff Beck, uno dei più innovativi guitar hero di sempre, dallo stile unico e inconfondibile, anzi, imprevedibile. Ha segnato la musica sin dagli anni ’60. Aveva 78 anni.

A nome della sua famiglia, è con profonda tristezza che condividiamo la notizia della scomparsa di Jeff Beck. Dopo aver contratto improvvisamente una meningite batterica, si è spento serenamente ieri“, si legge in un comunicato sulla sua pagina facebook ufficiale “La sua famiglia chiede di mantenere la privacy mentre elabora questa tremenda perdita“.

Beck era stato recentemente in tour per l’album con Johnny Depp, 18. Ha ricevuto ben 7 Grammy Awards per le sue meravigliose performance strumentali e un ottavo per il suo lavoro del 2009 in The Imagine Project di Herbie Hancock.

Una forza della natura sin dall’epoca dei mitici Yardbirds, band a cui si unì nel 1965 come sostituto di Eric Clapton.
Da lì in poi ha scritto intere pagine di storia della musica, le sue mani e il suo genio rimaranno per sempre un simbolo, un’icona.

Addio Jeff, grazie.

Jeff Beck è stato uno dei più grandi e innovativi chitarristi della storia del rock, accanto a lui possiamo mettere solo altre icone come Hendrix, Page, Clapton e pochi altri, quelli che hanno letteralmente “inventato” la chitarra elettrica rock.

La sua carriera inizia negli anni ’60, quando si unisce al gruppo The Yardbirds insieme a un giovanissimo Jimmy Page, sostituendo il precedente “God”, ovvero Eric Clapton. Pensare a questi tre giovani che all’epoca si alternano nella stessa band già mette i brividi.
Con gli Yardbirds, Beck inizia a dare vita a un nuovo stile di playing chitarristico completamente personale, che mescola elementi blues, rock, psichedelici e che in futuro darà spazio anche al jazz (molti lo ascrivono tra i primi musicisti del genere fusion).
La sua tecnica è unica e innovativa, con un uso estremo dell’effetto wah-wah e del talk box, ma soprattutto per la particolarità dei suoi bending uniti a un attento uso del volume della chitarra e della distorsione.

In parallelo allo scossone che intanto stava creando Jimi Hendrix nella Londra del tempo (e in tutto il mondo), il suo stile prende un’altra strada, a partire dal fingerpicking della mano destra e poi, quando passerà da Telecaster e Les Paul a una Stratocaster, dall’uso della leva del ponte vibrato.
La combinazione tra questa, potenziometro del volume e dita – e ovviamente un’espressività e una capacità di improvvisazione senza pari – delinea uno stile chitarristico (ben più che una mera “tecnica”) che ancora oggi non ha eguali.

Sicuramente molti musicisti, anche famosi, hanno preso qua e là da questo tipo di sound, ma nessuno ne è mai stato padrone come il suo stesso “papà”, l’unico che riusciva a fondersi al 100% con lo strumento e ad esaltare in modo inaspettato ogni nota fino anche all’ultimo armonico.

Nel 1968, Beck decide di formare la sua band, The Jeff Beck Group, e pubblica l’album di debutto Truth, una vera pietra miliare che vede anche due altri musicisti famosi ancora giovanissimi, ovvero Rod Stewart alla voce e Ron Wood al basso. Il disco include alcuni dei suoi brani più famosi, compreso un vero e proprio inno quale “Beck’s Bolero”.

Dopo altri 3 album con il Jeff Beck Group (con alcuni cambi di formazione), negli anni ’70 Beck pubblica due dischi di successo che lo consacrano definitivamente come antesignano guitar hero, entrambi prodotti dal grande George Martin (produttore e mentore dei Beatles), ovvero Blow by Blow e Wired, che lo vedono esplorare nuovi generi come il funk e il jazz.

Negli anni ’80 e ’90, Beck continua a pubblicare album e a esibirsi in concerti, restando un punto di riferimento assoluto per i chitarristi della nuova generazione. Tutti gli “eroi” chitarristici di quelle decadi hanno dichiarato di aver “rubato” qualcosa dal suo stile.

Saltando al nuovo millennio, nel 2010, pubblica l’album Emotion and Commotion, che gli vale un Grammy Award. Nel 2016 pubblica l’album Loud Hailer, che si concentra su temi sociali e politici e conferma ancora una volta la sua potenza espressiva.

Culmine della sua bravura, universalmente riconosciuto dai fan, è il suo celebre Live at Ronnie Scott’s, dove la performance supera davvero ogni confine di bravura e pone Beck nell’Olimpo dei chitarristi inarrivabili.
Qui, come in tanti suoi concerti, ha anche l’occasione di omaggiare brani di amici – e che amici! – reinterprentandoli in modo formidabile…

La carriera di Jeff Beck è stata segnata da una continua evoluzione e sperimentazione, non ha mai smesso di cercare nuovi stimoli e di lasciare spazio ai giovani talenti a partire dalla sua band (la bassista Tal Wilkenfeld ne è un classico esempio).

Ha sempre cercato di superare i propri limiti e di spingere i confini della musica un po’ più in là. La sua tecnica chitarristica è stata un’ispirazione per generazioni di musicisti e la sua influenza è palpabile ancora oggi.

Oltre alla sua carriera musicale, Jeff Beck era una persona molto riservata. Non si è mai esposto troppo al pubblico e ha sempre cercato di mantenere la sua vita privata lontana dai riflettori. Tutti i fan conoscono bene la sua passione per le auto d’epoca e che aveva una collezione di vetture straordinaria.
Ogni volta che poteva, fuori dai tour e dalle sessioni in studio, si rintanava nel suo garage per mettere le mani in qualche vecchio motore da restaurare o semplicemente da “coccolare”.

La sua morte rappresenta una grande perdita per la musica mondiale, pensare di non poter più sentire una di quelle maestose note provenire dalla sua chitarra fa male al cuore, poiché nessun altro potrà più farlo come lui.
Per fortuna ci resta una vasta discografia e tanti bei live a testimoniare la grandezza di uno dei migliori musicisti dello scorso secolo… e anche di quello in corso!

Cover Photo by Takahiro Kyono - CC BY 4.0