In questo articolo, invece, parleremo di un elemento fondamentale del metal ma spesso molto sottovalutato: i nostri amati Powerchord.
Negli ultimi anni, le tipologie di powerchord impiegate per comporre riff e canzoni sono notevolmente variate grazie all’apporto di generi come il progressive, il metalcore ed il djent (figlio dell’unione tra i due generi prima citati).
In molti “snobbano” questi accordi, dando per scontato di sapere tutto ciò che c’è da sapere, ma vi assicuro che alla fine di questo articolo vedremo insieme come il mondo dei powerchords possa offrire tantissime possibilità che prima non avremmo mai valutato, specialmente se utilizziamo accordature Drop!
Iniziamo con qualche cenno teorico di base: cos’è un Powerchord?
Come forse quasi tutti sanno, è un accordo formato essenzialmente da due note: la fondamentale e la quinta.
Sono accordi utilizzati nel rock fin dall’alba dei tempi poiché, non avendo la terza ed essendo la fondamentale e la quinta due note molto simili a livello di armoniche, il suo utilizzo è “distortion friendly”: l’accordo suonerà compatto anche utilizzando distorsioni pesanti e non avremo “dissonanze” armoniche.
Il powerchord, avendo due note, ha anche solamente due rivolti. Spesso l’ottava o la quinta vengono ripetute per avere un suono più grosso e combinando questo elemento con i rivolti, abbiamo quindi le nostre posizioni di “base”.
Osserviamole insieme:
In questo esempio in G abbiamo le quattro posizioni di powerchords più comuni della musica Rock. Sono certo che molti di voi le conoscevano già, anche perchè sono state utilizzate per migliaia di canzoni rock e metal dagli anni ’60 in poi.
Ora che abbiamo capito cosa è un powerchord e quali sono le sue posizioni di base, rendiamo le cose più interessanti.
Come abbiamo già detto nel precedente articolo, nel metal è normale prassi scordare la sesta corda della chitarra per ottenere un’accordatura “drop”.
A questo punto, le forme dei nostri powerchords cambieranno grazie alla sesta corda un tono sotto:
Otteniamo così una posizione più agile per l’esecuzione di riff (tipici del metal “old style” alla Zakk Wylde per intenderci) ed una posizione più completa ed aperta, facilmente diteggiabile, per l’utilizzo in contesti dove necessitiamo di un suono più “completo” come ad esempio nei ritornelli.
Diamo un ascolto agli esempi:
Già semplicemente con queste due nuove posizioni le possibilità sono aumentate in maniera esponenziale… ma non abbiamo neanche grattato la superficie.
Attento: un luogo comune è pensare che un accordo power possa essere sia maggiore che minore (un po’ come gli accordi sus) mancando la terza… e questo non potrebbe essere più sbagliato!
Gli accordi power possono acquistare valore armonico in base al contesto in cui si trovano ed al modo in cui si relazionano con la melodia e con gli altri elementi armonici e ritmici della canzone.
Negli ultimi dieci anni, infatti, gli accordi power sono stati ri-esaminati e ri-valutati dai rockers delle più influenti metal bands del decennio.
Se ascoltiamo dischi di band come i Tesseract, gli Skyharbor, i Periphery e tanti altri esponenti del progressive, del metalcore e del djent, troveremo dei brani ricchi di riff brutali ma anche di accordi bellissimi e spesso dissonanti.
Sì, avete capito bene: dissonanti. No, non c’entra niente con il jazz. O forse un po’ sì?
Stiamo parlando di prendere quei suoni che per anni sono stati eliminati dagli accordi power perchè risultati troppo “fastidiosi” e reintrodurli con un criterio ben preciso per ottenere degli accordi che diano valore armonico ed abbiano un “colore” ben preciso.
In una intervista Mark Holcomb definisce questi accordi “Roaring” Chords.
Ma come si costruisce un accordo del genere? Qui entra in ballo molta della vostra creatività!
La “regola” è quella di non utilizzare tutte le note che compongono un accordo complesso ma di utilizzare solo quelle che possono sottolineare il carattere dell’accordo stesso.
Passiamo alla pratica, in questo esempio abbiamo preso un accordo molto complesso: CMaj9(#11), ovvero un accordo maggiore settima di Do dotato di due estensioni superiori (la nona e l’undicesima diesis).
Nell’esempio è riportato nella sua close position, quindi con le note disposte per terze a salire.
Nella seconda misura, invece, abbiamo quello che potrebbe essere un esempio di “Roaring chords” utilizzabile con le nostre accordature drop.
Come vedete, abbiamo eliminato le note in rosso.
Questo perché una linea da tenere a mente è quella di lasciare sempre molto “spazio” tra i suoni dell’accordo: così facendo manteniamo l’intervallo di quinta tra la prima e la seconda nota del nostro voicing.
Per lo stesso motivo, spostiamo la nona all’ottava superiore. Avrete notato anche l’aggiunta dell’ottava di C all’interno del voicing… non è un’errore!
Molti Roaring chords risultano interessanti grazie al loro carattere dissonante, in questo caso utilizziamo l’intervallo di seconda minore tra si e do!
Ascoltiamo le differenze tra un accordo di settima suonato con la distorsione ed un “Roaring chord”:
Quindi ricapitolando:
- Cerchiamo di mantenere le note caratteristiche dell’accordo (in questo caso la nona e l’undicesima diesis) scegliendone un paio.
- Facciamo “respirare” l’accordo, teniamo larghe le distanze tra le note se possibile.
- Se possibile, disponiamo due note a distanza di semitono o comunque molto vicine tra loro per creare una dissonanza.
Queste sono regole curiosamente simili a quelle degli “Spread Voicing”, una tecnica molto familiare a chi arrangia per orchestra o comunque per archi.
Ora che abbiamo capito la teoria che c’è dietro questi accordi così complessi all’orecchio e pieni di colori, siamo pronti a sperimentarli nelle nostre composizioni!
Qui di seguito una tabella con i più comuni accordi estesi per accordature drop, ed un esempio pratico su come utilizzarli!
Inutile dire che le sigle siano assolutamente approssimative e di riferimento, ma ci aiutano a capire il “contesto sonoro” nel quale potremmo utilizzare questi accordi!
Ovviamente alcuni accordi suonano più dissonanti di altri e saranno adatti, magari, per una parte arpeggiata o per un bridge particolarmente “estremo”, altri invece saranno più spendibili in ritornelli e verses… è il vostro gusto a fare da padrone!
Ecco un esempio di come potreste implementarli nelle vostre canzoni:
Nella trascrizione troverete segnati i voicing che ho utilizzato nella seconda versione e potrete osservare anche visivamente quanto gli accordi vadano ad arricchirsi sperimentando la tecnica di “composizione” che abbiamo imparato oggi!
Beh, che dire… it’s your turn! Ora è il momento di sperimentare con queste nuove posizioni!
Ricordiamoci che non c’è limite alla creatività, se volete darvi un “indirizzo” potete scrivere una parte con dei powerchords, decidere se sono maggiori o minori e poi provare a sostituirli con gli accordi che abbiamo imparato oggi!
Vi ricordo che nel primo articolo trovate due drum tracks con cui esercitarvi a scrivere i vostri riff.
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