Ciao amici di MusicOff! Con questo secondo appuntamento riprendiamo il racconto sulla storia della chitarra semiacustica iniziato nella precedente uscita, tratto dal libro La chitarra Jazz – suoni e colori, scritto con l’amico liutaio Erich Perrotta.
Buona lettura!
(…) È in questo periodo che si afferma l’opera di uno dei più grandi liutai di chitarre Archtop di tutta la storia, il newyorkese d’origine napoletana John D’Angelico (1905-1964).
Comunemente considerato il capostipite della scuola di liuteria Archtop moderna, nel 1932 stabilisce il suo laboratorio nel quartiere italiano di New York, producendo principalmente due modelli di chitarra: la New Yorker e la Excel.
Costruite interamente a mano, con l’aiuto di due assistenti (James D’Aquisto e Vincent Di Serio), all’apice della sua produzione il laboratorio di D’Angelico produceva in media 35 strumenti all’anno, fortemente influenzati dalla produzione Gibson (Super 400 ed L5 erano i modelli a cui principalmente si ispirava).
Sebbene il prezzo delle sue chitarre fosse allineato a quello della produzione industriale, offriva la possibilità di personalizzare lo strumento per quanto riguardava i legni, i manici e ogni altro particolare sui gusti del committente.
Siamo quindi agli anni ’30 e al momento della fatidica “rivoluzione” per il Jazz, per la chitarra e praticamente per tutta l’evoluzione musicale moderna. Rivoluzione che nasce dal concatenarsi di una serie di eventi fondamentali.
I due salienti: nel 1935 casa Gibson commercializza il primo modello di chitarra Archtop amplificata con pick up magnetico, la ES150; nel 1939 il produttore Jazz John Hammond convince Benny Goodman a fare una audizione con il giovane chitarrista texano (appena ventitreenne) Charlie Christian. Goodman, inizialmente riluttante, dopo averlo sentito non ci pensa a lungo e in poche ore Christian fa parte della band.
Come dicevamo all’inizio, l’evoluzione tecnico-tecnologica (la chitarra amplificata) in sincronia con il genio musicale di Charlie Christian danno una svolta assolutamente innovativa e inaspettata, in un periodo di tempo di appena due anni, non solo allo stile chitarristico, ma alla stessa musica Jazz.
Si presenta finalmente la possibilità di far sentire capacità solistiche e talenti musicali della chitarra e del chitarrista fino ad allora inesprimibili, al pari di altri strumenti più blasonati e meglio utilizzabili in questo ruolo come i fiati. Non è un caso infatti che il primo assolo di chitarra mai registrato (“Hittin the bottle” del 1935) sia di paternità del trombonista Eddie Durham, lui stesso texano, chitarrista ed arrangiatore, e pioniere, attraverso vari tentativi, dell’amplificazione della chitarra.
Fu poi lo stesso Durham, nel 1937, a “presentare” Charlie Christian e la chitarra amplificata.
Molte grandi band cominciano ad “arruolare” chitarristi Jazz “elettrici” in seguito alla forte diffusione dello Swing e al grande successo della big band di Goodman, con il preminente e inedito ruolo solista di Charlie Christian.
Contemporaneamente, a riprova dei proficui interscambi culturali tra “vecchio” e “nuovo” continente di cui dicevamo, in Europa nell’ambiente Jazz degli anni ’30 esplode il “fenomeno” belga Django Reinhardt, che sviluppa una tecnica chitarristica innovativa, fortemente influenzata dalla cultura Gipsy.
Ovviamente la Gibson non rimane l’unica offerta sul mercato delle chitarre Archtop dell’epoca. Tra le fabbriche, la più stretta concorrente a partire dagli anni ’30 è la Epiphone, dal nome del fondatore nel 1923 Epaminondas “Epi” Stathopoulos, figlio di un liutaio emigrante di origini greche.
La storia del padre, Anastasios, è la storia comune di molti liutai statunitensi dell’epoca. Trasferitosi a New York nel 1903, aveva installato il proprio laboratorio a Long Island, dove costruiva strumenti etnici, come l’Ud, e mandolini. Alla morte del padre, nel 1915, Epaminondas gli era succeduto, aggiungendo, nel 1924, una linea di banjo.
Nel 1928 la Epiphone, inizia a produrre anche chitarre. I cataloghi delle due concorrenti si rincorrono anno per anno, offrendo chitarre molto simili. Tra i modelli più blasonati ricordiamo la Deluxe, la Broadway e la Triumph. Quando nel 1934 la Gibson presenta la Super 400, la Epiphone offre una valida alternativa, il modello Emperor, con caratteristiche molto simili. Molti importanti musicisti, tra cui il bluesman John Lee Hooker e i Beatle John Lennon e Paul McCartney che hanno suonato negli anni successivi con una chitarra Epiphone.
Un’altra importante fabbrica di chitarre Archtop di questi anni è la Gretsch. Fondata a Brooklyn dall’immigrato tedesco Friedrich Gretsch nel 1883, viene ereditata dal figlio Fred che la rende una delle più grandi ed importanti fabbriche di chitarre, sia Archtop che Flattop, accaparrandosi un ampio spazio del mercato, soprattutto Country e Jazz, con artisti del calibro di Chet Atkins e George Harrison.
In questi anni quindi la scena della liuteria dedicata alle chitarre Archtop e al Jazz è in pieno fermento e concentrata attorno alla città di New York, dove transitano e collaborano liutai e musicisti.
Con l’inizio della II Guerra Mondiale e l’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto a seguito dell’attacco di Pearl Arbour, la produzione industriale, e quindi anche quella delle chitarre, viene quasi completamente assorbita dalle necessità belliche, anche per quanto riguarda i materiali. Il prezioso abete Adirondack, ad esempio, utilizzato per le tavole armoniche delle chitarre viene completamente assorbito dalla produzione di velivoli da combattimento.
Al termine della guerra la ripresa nello sviluppo della chitarra Archtop è a dir poco esplosiva: quasi tutte le case produttrici di chitarre sviluppano modelli di questo genere. Chi ne fa il proprio cavallo di battaglia, come la Epiphone e la Gretsch, ma anche la Rickenbaker, e in Europa la Hoefner e la Hagstroem hanno sul proprio catalogo modelli simili.
Persino ditte storicamente dedicate ad altri tipi di chitarra, come la Martin, hanno almeno un modello di Archtop a catalogo.
Ma è nuovamente Gibson nel 1949 a posare la pietra che diventerà miliare nella storia del Jazz: il modello ES175, reso famoso da chitarristi del calibro di Joe Pass, Jim Hall e dal giovane Wes Montgomery.
Nato come strumento di basso costo, completamente in laminato di acero e abete, diventa presto uno standard tra i chitarristi fino ai nostri giorni, anche per la sua alta resistenza al feedback (il tipico fischio delle chitarre suonate ad alto volume, noto come effetto Larsen).
La ES175 non era la prima chitarra del genere. La stessa Gibson aveva già prodotto solo due anni prima la ES350, anch’essa in laminato, ma le ridotte dimensioni della 175, con conseguente guadagno di maneggevolezza e trasportabilità, e il prezzo allora contenuto, la rese la chitarra ideale per i chitarristi Jazz.
L’ultima innovazione alla fine degli anni ’50 (precisamente nel catalogo della primavera del ’58) in casa Gibson è un modello totalmente innovativo: la ES 335, con fasce decisamente più basse (e quindi più comoda), blocco solido nel centro della cassa dove vanno ad ancorarsi i pick up, e quindi effetto Larsen (feedback) molto vicino allo zero.
Già nel 1941 risulta esserci stato un esperimento in questo senso da parte del poliedrico chitarrista Les Paul, che a un corpo centrale solido attaccò le due parti laterali di una Epiphone. È in questi anni che inizia la collaborazione di Les Paul e Ted McCarty, allora presidente della Gibson, che porterà alla nascita dell’omonimo modello nel 1952.
Nel 1957 Gibson pone fine alla storica rivalità con Epiphone, acquistandola. Inizialmente, e fino al 1969, la Epiphone rimane comunque una fabbrica di primordine, costruendo chitarre molto simili alle Gibson nei materiali e nelle finiture, nella fabbrica di Kalamazoo.
L’invenzione e lo sviluppo alla fine degli anni ’50 di chitarre elettriche a corpo solido e a costo decisamente più basso (Fender Telecaster e Stratocaster, Gibson Les Paul ecc.), segna una battuta d’arresto nella vendita delle chitarre Archtop.
Con la diffusione della musica Rock, Soul e Blues in tutte le sue varianti, a partire dagli anni ’60 la richiesta di musica Jazz nei vari contesti subisce un deciso e rapido, sebbene temporaneo, declino.
Ciononostante le nuove generazioni di chitarristi Jazz (come ad esempio John McLaughlin, Pat Metheny, John Scofield, Al Di Meola e Joe Pass) non solo non abbandonano il genere, ma iniziano ad utilizzare linguaggi e fraseggi di altri generi e continenti, dalla musica orientale e araba, africana, latin e classica, soul.
È in questo periodo di “declino” della chitarra Archtop che si colloca l’opera di un altro grande liutaio: James D’Aquisto (1935-1995). Figlio di immigrati palermitani e allievo di D’Angelico per dodici anni, alla morte di quest’ultimo nel 1964 ne continua l’opera, sviluppando modelli personali molto differenti da quelli del maestro e decisamente innovativi.
Le sue chitarre sono a ragione considerate la più grande opera di innovazione nell’ambito della chitarra Archtop dopo la sua nascita, con le personali modifiche apportate a tutti gli aspetti dello strumento e la ricerca acustica: dalle “effe” in forma e dimensioni, ai materiali, al ponte.
Anche le chitarre di D’Aquisto sono oggi ambìto oggetto da collezione, fino a toccare valori nell’ordine delle diverse decine di migliaia di dollari.
Negli anni ’90 sono ancora le innovazioni tecnologiche a dare nuova linfa e slancio alla diffusione della musica Jazz. Con l’evoluzione della produzione discografica su supporti come i Compact Disk, è stato possibile recuperare numerose registrazioni di ogni epoca, dalle origini ad oggi, che sarebbero state altrimenti negate alla gran parte degli appassionati di Jazz.
La globalizzazione della produzione industriale, in particolare con il basso costo dell’est asiatico, ha inoltre permesso alle nuove generazioni di reperire sul mercato chitarre Archtop di ogni fascia di prezzo.
In questi anni, che qualcuno ha definito a ragione “Rinascimento” della chitarra Archtop, si fanno conoscere molti liutai, i più famosi dei quali sono a livello internazionale comunemente considerati gli statunitensi John Monteleone, a Islip nello stato di New York, e Robert Benedetto a East Stroudsburg in Pennsylvania.
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