Salve a tutti fedelissimi amici di MusicOff. Siamo lieti di annunciare che ci troviamo quasi in dirittura di arrivo per quanto riguarda la carrellata introduttiva sull’Hard Disk Recording.La scorsa volta abbiamo parlato del “riverbero e suoi derivati”, oggi passiamo alle modulazioni, ovvero al Chorus, Flanger, Phaser, che sono i più autorevoli rappresentanti di questa categoria.
Procediamo per ordine ed iniziamo dal Chorus.
Per comprendere in maniera semplice e veloce il funzionamento di questo effetto, pensiamo al significato della parola stessa: chorus non vuol dire altro che “coro”, ed infatti questo è l’effetto che si cerca di emulare.
In un coro possiamo avere molteplici voci che cantano la stessa parte, ed è ovvio che ci saranno delle piccole naturali differenze di intonazione e di “tempo di attacco” tra le varie voci. Se così non fosse avvertiremmo solamente un innalzamento di volume per ogni voce aggiunta. Il paragone che abbiamo appena fatto potrebbe portarci a pensare che questo effetto sia dedicato esclusivamente ad operare su parti vocali; ne viene invece fatto un largo uso sulle chitarre clean (pensate all’introduzione di “Una canzone per te” di Vasco Rossi), o anche sui vari “electric piano”.
Analizziamone ora il funzionamento nel dettaglio ed impariamo a settare a nostro piacimento tutti i parametri.
Il collegamento viene fatto in aux e, come di consueto con gli effetti, preferiamo in uscita solo segnale wet.
Il nostro caro processore non fa altro che prendere il segnale in entrata, moltiplicarlo per ottenere più voci ed infine ritardarle e cambiarne leggermente l’intonazione.
Questo in parole povere ovviamente, in quanto tutto il processo è regolato da parametri che influiscono drasticamente sul risultato finale.
Infatti, sia il ritardo sia la variazione di intonazione, variano nel tempo e sono regolate da un LFO (low frequency oscillator), che controlla la variazione facendone oscillare il valore con un andamento molte volte selezionabile tra le classiche forme d’onda (sinusoidale o triangolare generalmente).
Analizziamo singolarmenti i parametri regolabili:
Il Delay regola il minimo ritardo utilizzato nel processo, generalmente può variare tra i 20ms ed i 30ms, considerando il fatto che più ci avviciniamo al valore minimo selezionabile, più l’effetto chorus tenderà a somigliare ad un flanger. Vedremo dopo il perchè.
La profondità, o Width, è invece l’ampiezza dell’onda generata dall’LFO che serve da controllo al delay. Numericamente, sommando il valore del parametro delay con quello di width, otteniamo il massimo valore di delay utilizzato nel processo. Viene da se come questo parametro aumenti anche lo spostamento di pitch dell’onda risultante, in quanto la variazione continua e molto ampia di delay, implica una variazione della velocità di lettura del campione, ed una conseguente variazione della sua intonazione.
LFO Waveform ci permette semplicemente di selezionare la forma d’onda generata dall’LFO di controllo. La scelta ci è generalmente data tra la forma sinusoidale e la triangolare, come accennavamo prima.
Il controllo Speed invece, regola la frequenza dell’onda prodotta dall’LFO di controllo, influisce quindi sulla velocità con cui cambia il pitch.
L’ultimo parametro rappresenta il numero delle voci che il chorus produrrà. Generalmente sono tutte controllate da un solo LFO, ma vengono fatte partire tutte con una fase diversa, altrimenti si sommerebbero e come al solito ne udiremmo una sola con volume più elevato.
Passiamo al flanger ora.
Abbiamo a che fare con qualcosa di più semplice ora, di cui la leggenda pone la nascita per sbaglio. Il flanger infatti, è un effetto realizzato sovrapponendo al segnale originale, un secondo uguale, ma con piccole oscillazioni nella velocità di riproduzione.
Si dice che i Beatles stessero mettendo un delay su un pezzo utilizzando, come si faceva un tempo, un secondo registratore fatto partire pochi millisecondi in ritardo.
Qualcuno toccò la flangia del nastro (che poi non è altro che il bordo della “ruota” di metallo dove il nastro è arrotolato, da li il nome “flanger”), variando il pitch.
Con altri piccoli accorgimenti in fasi di missaggio inventarono il “flanger”.
Il tipico suono di questo effetto, che ci fa quasi avvertire un “fruscio” intonato la cui frequenza oscilla, è dato dal fenomeno dell’annullamento per controfase.
Spieghiamo meglio!
La somma delle due onde, che non procedono linearmente, evidenzia alcune frequenze che si trovano in controfase. Si genera quindi una sorta di filtro notch (che se ricordate è un filtro che taglia via un range strettissimo di frequenze), che si sposta seguendo il profilo dell’onda prodotta dal solito LFO.
I parametri di controllo del flanger sono gli stessi che troviamo nel chorus, ma il delay in questo caso varierà in un range più basso, ovvero tra 1ms e 10 ms. In più, in alcune macchine, troviamo il parametro “feedback”, che determina quanto segnale già effettato viene riprocessato nuovamente, e la speed che determina con quale velocità il filtro notch si sposterà.
Si possono creare molte particolari sfumature con questo controllo, ma la regolazione va fatta molto finemente per non incorrere in fastidiose distorsioni dovute ad un eccessivo aumento di dinamica in uscita.
Per quanto riguarda il phaser invece possiamo dire che il funzionamento è simile a quello del flanger, quest’ultimo viene addirittura considerato un tipo di phaser.
Nel phaser abbiamo uno speciale filtro che non agisce né sullo spettro né sulla dinamica dell’onda, ma ne altera solo la fase.
Immaginiamo di vedere in un diagramma cartesiano un’onda sinusoidale che inizia all’origine degli assi. Facendola passare in questo filtro, in uscita avremmo la stessa identica onda, ma l’attacco non sarà più al centro degli assi, bensì avrà una Y diversa da 0. In più aggiungiamo il solito LFO che fa variare nel tempo lo sfasamento dell’onda originale, e mixiamo il tutto.
Avverrà di conseguenza che, sommando il segnale sorgente e quello sfasato, otterremo delle cancellazioni del segnale, proprio come se ci fosse un filtro notch che si sposta, e proprio come accade nel flanger.
La differenza sta nel fatto che questa volta abbiamo i nostri cari parametri che regolano l’azione di questo filtro sul segnale.
Vediamo come!
La profondità in questo caso, regola la quantità di segnale filtrato che verrà di nuovo mixato con il sorgente, che uditivamente ci darà una percezione più o meno evidente della presenza del phaser.
Abbiamo il parametro range che delimita il range di frequenze dove il filtro potrà oscillare, abbiamo quindi la possibilità di delimitare l’effetto del phaser. Il feedback e la speed funzionano ovviamente come nel caso del flanger.
La differenza quindi tra il phaser ed il flanger è che il primo agisce sulla fase del segnale, e non lo ritarda, mentre il secondo ottiene l’effetto descritto prima utilizzando un ritardo temporale.
Come sempre ribadiamo, e non ci stancheremo mai di farlo, che in questi casi la teoria è si molto utile, per sapere dove stiamo mettendo le manine, ma gli esperimenti sono sempre e comunque il modo migliore per integrare questa parte teorica e comprenderla a fondo. Non dobbiamo spaventarci davanti a definizioni che potrebbero sembrare molto complesse, in quanto tutto quello che leggiamo è facilmente riscontrabile nella pratica.
Cosa dire di più?
Sfasiamo musicoffili… sfasiamo =)
Ah… scusate la dimenticanza!
Per capire al meglio il tipo di suono che potremmo ottenere usando questi effetti, eccovi tre piccoli samples da ascoltare (in formato wav per non diminuirne la qualità).
Ogni sample consta di due frasi identiche; la prima è “dry” e la seconda effettata:
Aggiungi Commento