Ciao amici di MusicOff, questo è il primo appuntamento di questo diario del mio tour internazionale al fianco del grande artista reggae Alborosie; sono tornato oggi in Giamaica dopo un primo assaggio di Sudamerica, la seconda parte del tour in quelle zone la faremo questo inverno mentre questa estate gireremo con 47 date tutta l’Europa.
Il concerto vero e proprio è veramente l’ultima cosa di un tour, la parte più impegnativa è l’allestimento sia sotto il profilo prettamente musicale (scaletta, arrangiamenti, etc…), sia quello relativo alla strumentazione ed è proprio da qui che voglio iniziare perché è il punto da cui inizia la preparazione vera della tournée.
Due mesi fa sono stato ingaggiato da Alborosie per il world tour di Fredom&Fyah in concomitanza con l’uscita dell’album omonimo; il genere è certamente reggae ma da quest’anno evidentemente aveva la necessità di qualcosa di più spinto, una chitarra più presente, più protagonista… Una piccola parentesi per dirvi che la chitarra è uno strumento che non fa parte della cultura giamaicana, dove invece batteria, basso e tastiere la fanno da padroni. La chitarra nel reggae da sempre si è divisa due parti principali: quella ritmica in levare, che i giamaicani chiamano in molti modi diversi (skank, chop, bang) e quella che si occupa di seguire la linea di basso (stuck line o come volgarmente chiamiamo in Europa “cocotte“).
Nella band siamo due chitarristi e io mi occupo esclusivamente delle “stuck line” e dei soli, da qui parte la scelta della strumentazione adatta.
La necessità prima ancora del suono se vogliamo è quella di pensare ad una attrezzatura dinamica facile da trasportare, dato che come ad esempio in questa settimana in Sudamerica ho preso 7 aerei diversi con 4 dogane di cui una in America dove dopo l’11 settembre i controlli sono veramente minuziosi; così ho iniziato a pensare ad una strumentazione ad hoc, le cose richieste da Alborosie sui suoni brani sono state phaser, wah wah, delay e distorsore.
Ho deciso così di affidarmi solo ed esclusivamente ad artigiani italiani con i quali ho lavorato per arrivare ad avere una chitarra molto versatile, ma con un carattere ben definito, una pedaliera con l’effettistica appena descritta e cavi di altissima qualità. La chitarra è una combinazione di quattro mani per il corpo è il manico mi sono affidato a Marco Sciascia che mi ha costruito una simil Stratocaster (ribattezzata Geremycaster con dedica al 12 tasto dedicata a mio figlio) con tastiera in ebano e meccaniche autobloccanti Wilkinson, mentre per la “voce” mi sono affidato a Federico Cesarini che ha avvolto manualmente i tre pickup (due humbucker manico e ponte e un single coil centrale). Federico ha anche pensato ad uno switch per i due pickup e ad un selettore che dà la possibilità di tenere sempre attivo l’humbucker al ponte.
La pedaliera merita un discorso a sé, in quanto avevo la necessità di farla entrare nella custodia della chitarra così da poter portare un solo bagaglio… Qui è di nuovo entrato in gioco Marco Sciascia che mi ha preparato un “compatto” contenente non uno ma due suoi pedali: un distorsore ed un overdrive e un classico dd5 boss con tap delay incorporato.
Questa micro pedaliera entra perfettamente nella bag.
Per la modulazione la scelta è caduta obbligatoriamente su Mooer con un phaser classico e il wah wah ottico, perché sono al momento tra i più piccoli in circolazione. Mancavano ancora i cavi e per essere sicuro di averne di alta qualità e robustezza mi sono rivolto a Marco Niccolai che mi ha preparato due cavi da 5 mt con caratteristiche diverse per i percorsi chitarra-pedaliera e pedaliera-ampli.
Morale della favola: ho una attrezzatura molto versatile e potente ma soprattutto contenuta nella custodia (morbida) della chitarra, un solo oggetto da poter portare tranquillamente a bordo e sistemare in cappelliera.
Dato che faremo così tante serate e festival non c’è la possibilità di portare la propria strumentazione se non quella strettamente personale per cui l’amplificatore è a carico del backline del posto. In questi casi si usa fare una lista di ampli che si conoscono e poi sarà compito del service fartelo trovare sul posto. Le scelte ricadono su amplificatori a valvole facilmente reperibili tipo Fender Twin o Deluxe, etc…
Il 15 aprile sono partito dall’Italia per un mese e mezzo di prove e considerando che qui siamo in Giamaica e non ci si affanna le prove le abbiamo fatte soltanto il lunedì, martedì e mercoledì di ogni settimana per due ore… si avete capito bene, solo due ore al contrario di come siamo abituati noi che di solito per la preparazione di un tour si prova mediamente sei ore al giorno per tutti i giorni!
Per cui ho capito ben presto che le prove vere sono quelle che poi fai a casa… la cosa molto diversa dal nostro modo di fare musica è che nel reggae c’è un grosso spazio per la creatività e l’inventiva, esistono come nel pop o nel rock le varie parti quindi strofe, ritornello etc… ma non c’è una vera e propria struttura definitiva ed è questa la prima cosa che ho dovuto imparare in fretta.
Il brano lo comanda l’artista e spesso anche il batterista, così come le dinamiche, le pause, per farla breve non potrà mai esserci un concerto uguale all’altro!
Anche gli spazi dei soli sono istintivi e unici di quel concerto.
L’altra caratteristica tipica degli show reggae è che quasi tutti i brani sono uniti tra loro senza pause, la difficoltà è quella di entrare subito nell’onda perché qui non esistono sequenze, è l’istinto che ti porta a cambi anche molto violenti di bpm tra un pezzo e l’altro, questa è una delle esperienze più interessanti. Bisogna sentire il tuo corpo che ti dà il battito per il brano successivo e la cosa strana è che il tuo corpo memorizza il bpm e sarà sempre così concerto dopo concerto… incredibile…
Le prove sono state organizzate in uno spazio apposito con tutta la strumentazione di backline, quindi mixer, monitor, ampli, microfoni… In questo tour la band è veramente imponente: due fiati (tromba e sax), due coristi, due chitarristi, due tastieristi, basso e batteria. Come dicevo prima il mio ruolo è quello dei soli e delle stuck-line, su molte parti doppio anche i fiati.
Anche nelle prove c’è creatività e si sfrutta l’inventiva del musicista: ad esempio, le intro e le chiusure posso essere proposte in sede di prove e valutate, così è proprio la band coinvolta in prima persona nella creazione dello spettacolo.
Direi che come primo appuntamento ho descritto tutto ciò che è la base prima di affrontare un tour di questo tipo, nel prossimo appuntamento vi parlerò delle date appena fatte in Sudamerica con retroscena e curiosità!
Valter Vincenti
Kingston, Giamaica – 26/05/2016
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