Florian Schneider-Esleben, cofondatore dei mitici Kraftwerk e pioniere della musica elettronica, è morto a causa di un cancro. Aveva 73 anni.
Non è passato molto tempo dal suo compleanno e un “cancro fulminante”, come lo ha definito l’altro membro del gruppo Ralf Hütter, si è portato via un vero e proprio avanguardista della musica.
La sua mente era densa di creatività, una vera e propria “centrale elettrica“, che è la traduzione di quella parola tedesca che il quartetto scelse per identificare se stesso e la propria musica, qualcosa di mai sentito prima, una mossa a dir poco azzardata che però ha letteralmente aperto una nuova era.
Florian Schneider era nato a Düsseldorf nel 1947, in una Germania devastata dalla guerra, sconfitta e coperta dal manto del disonore per quelli che sono tragici motivi più che noti.
Düsseldorf è stata la sua città fino alla morte, lì iniziò i suoi studi musicali, al Conservatorio. Si data 1968 l’incontro con l’amico di sempre Hütter e due anni dopo i due decideranno di dare vita ai Kraftwerk con un primo album omonimo.
In quel periodo, oltre all’imperante musica locale, in Germania aveva preso molto piede il cosiddetto Krautrock (o Kosmische Musik), che potremmo definire un “progressive rock alla tedesca” che però non disdegnava affatto – anzi possiamo dire che apriva nuove strade – l’uso dei primi strumenti elettronici analogici, forse in maniera ancora più elaborata rispetto a colleghi inglesi e americani.
In questo genere troviamo band come Can, Popul Vuh, Tangerine Dream, Neu e molte altre, con sonorità che pian piano si spingono verso quella che sarà la New Wave degli anni ’80.
Dal Krautrock erano partiti anche i due amici, con una prima band chiamata Organisation. Ma ben preso la componente elettronica prese un deciso sopravvento rispetto al resto, permettendo ai neonati Kraftwerk di anticipare il futuro, anzi, di scriverlo.
Schneider era, come suddetto, un musicista molto preparato, un polistrumentista che nel corso della sua crescita musicale ha imbracciato il flauto, il violino e le percussioni, anche se ovviamente il sintetizzatore è stato da un certo punto in poi il padrone assoluto della scena.
Proprio da Hütter fu definito un “feticista del suono” per la sua cura maniacale sulle particolari tecniche con cui suonare i synth, flauto compreso! E, come ben sanno i fan della band, non si lasciò sfuggire neanche un secondo l’uso dei vocoder.
Grande cura del suono trasmessa in generale alle realizzazioni degli album, non a caso sono una delle band preferite da molti cosiddetti “audiofili”, vista la capacità di spingersi agli estremi dello spettro di frequenze.
Ed ecco quindi i Kraftwerk: Schneider, Hütter, Karl Bartos e Wolfgang Flür dettero vita negli anni ’70 a un sound nuovo, in cui l’elettronica non era solo un contorno, bensì la portata principale.
Nel 1974 uscì l’album Autobahn, il resto è storia. Le loro esibizioni sul palco sono diventate iconiche, con le loro postazioni in fila e loro stessi raffigurati come dei robot con alle spalle video ed effetti visivi intimamente legati alla musica.
Tipiche anche le loro copertine, con un vero e proprio dress code personale e i colori rosso e nero sempre onnipresenti.
La loro musica, nonostante le sonorità spesso particolarmente fredde e, appunto, robotiche, è riuscita anche ad essere orecchiabile, ad avere quella sorta di pennellata “pop” – ma stesa con genio e cura – che gli dette modo di conquistare anche le masse.
Dalla loro fondazione alle ultime esibizioni nel nuovo millennio, nella band sono passati molti musicisti, ma non c’è dubbio su chi per molto tempo è stato un pezzo fondamentale del motore trainante: si chiama Florian ed è stato uno dei grandi innovatori della musica del ‘900.
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