Non c’è dubbio che i primi ad essere colpiti dal morbo che sta affliggendo la popolazione di tutto il pianeta sono gli anziani e in generale le categorie più deboli e/o debilitate. E come ci stanno mostrando i fatti, si tratta di una tragedia trasversale a qualunque inutile e sopravvalutata classificazione umana, colpisce tanto i ricchi quanto i poveri, tanto da una parte che dall’altra del mondo, tanto i “buoni” quando i “cattivi”.
Il mondo musicale non fa eccezione e quello del Jazz in particolare sta piangendo in queste settimane le morti di tanti grandi artisti, da Jymie Merritt a Wallace Roney e molti altri. Non tutti deceduti a causa del COVID-19, ma molti.
Tra questi ieri si è aggiunto uno dei pilastri assoluti del sassofono, Lee Konitz, un vero gigante, tra i più stimati sassofonisti del post-Bird (Charlie Parker, NdR).
Iniziamo a pensare che lassù ci sia voglia di una big band jazz…
Si è spento ieri al Lenox Hill Hospital di New York, a quanto riportato dal figlio è stato stroncato da una polmonite legata al virus.
Lee Konitz è associato alla scuola del “Cool Jazz” e a un suono allo stesso tempo intenso e rilassato.
Per chi non lo sapesse, il Cool Jazz nasce a cavallo tra gli anni ’40 e i ’50, laddove la parola “cool” indicava, appunto, una certa “calma”, rilassatezza. Questo perché pur nascendo dal più frenetico Bebop, il Cool ne incarnava una versione meno impetuosa e sicuramente più cantabile, con qualche pesca fruttuosa dagli studi sulle melodie della musica classica.
Non a caso, fu identificato come la risposta dei “bianchi” alla musica “nera” e difatti vede nelle sue fila musicisti come Konitz, Stan Getz, Chet Baker, Dave Brubeck e altri. Ma attenzione a non incanalarsi troppo in questa classificazione, poiché ricordiamo che la consacrazione di questa corrente del Jazz avvenne con uno dei musicisti per antonomasia della black music, Miles Davis, affiancato non a caso da Gil Evans per il suo album Birth of the Cool.
E qui ci ricolleghiamo quindi a Konitz, che in questo album capolavoro del 1949 imbraccia il suo sax contralto accanto alla tromba di Davis, a Gerry Mulligan al baritono, a Max Roach alla batteria e a molti altri musicisti che si alternano in un atipico “nonetto”.
Del resto, Lee Konitz stesso aveva già un forte sodalizio con la musica di Gil Evans, sin dal 1947, anno in cui milita nella big band di Claude Thornhill e suona splendidamente sugli arrangiamenti di Evans, come nel brano “Yardbird Suite” di Charlie Parker. Brano che poi sarà riproposto da Konitz varie volte nel corso della carriera, come nel live del 1958 con Zoot Sims e il Red Garland Trio.
Altro grande sodalizio lo ebbe con il pianista italo-americano Lennie Tristano, una figura assai particolare e spesso in aperto contrasto con i contemporanei, che portava avanti un singolare metodo di insegnamento (Tristano School) che abbandonava durante l’improvvisazione qualsiasi schema prefissato, privilegiando l’intuizione delle forme melodiche e le variazioni ritmiche.
Al contrario, però, di Tristano, Konitz non si chiuse in questa sola filosofia e in un certo auto-isolamento, ma volle sedersi accanto a quanti più musicisti possibile per assorbirne le influenze. Da qui si capisce bene il perché la sua discografia sia così sconfinata, parliamo di poco meno di 150 incisioni dal 1943 al 2011…
L’ultima lo ha visto per l’etichetta ECM al fianco di Charlie Haden, Brad Mehldau e Paul Motian, ma lo ricordiamo anche a tanti musicisti nostrani, quali Enrico Rava, Stefano Bollani, Enrico Pierannunzi, Franco Cerri e svariati altri grandi jazzisti italiani.
Nonostante quanto detto sopra a proposito della Tristano School, Konitz aveva un approccio molto lucido sulle melodie. Lui stesso ebbe modo di dichiarare nel 1957: “Sento che nell’improvvisazione la melodia dovrebbe servire da veicolo per le variazioni musicali. Per questo motivo non mi sono mai preoccupato di trovare nuove melodie da suonare. Spesso ho la sensazione di poter suonare e registrare le stesse melodie più e più volte e di riuscire a trovare nuove variazioni“.
Leon Lee Konitz era nato a Chicago il 13 ottobre del ’27, appena due anni prima della Grande Depressione, in una famiglia di ebrei immigrati.
La sua passione musicale sbocciò prima sul clarinetto, a 11 anni, dopo aver sentito il grande Benny Goodman.
La sua formazione fu però prevalentemente classica, con il Maestro Lou Honig, lo stesso di altri grandi sassofonisti quali Johnny Griffin e Eddie Harris. Konitz passò al sassofono tenore a 12 anni e studiò con Santy Runyon. Ma la scintilla definitiva avvenne durante un concerto in cui prese in mano per la prima volta un sax contralto, scoprendo la sua vera voce.
Nella sua vita ha suonato comunque entrambi gli strumenti più volte, nonché il soprano.
Come avrete già intuito da quanto scritto sopra, fu anche un grande ammiratore di Charlie Parker (del resto, chi non lo ammirava?). Ma i suoi “innamoramenti” documentati raccontano di altrettanti nomi importanti, a partire dagli anni ’30 di Lester Young con la big band di Count Basie, passando per Johnny Hodges, Roy Eldridge e altri.
E ovviamente anche non sassofonisti, ad esempio l’inimitabile Louis Armstrong, non a caso Konitz amava citare spesso i suoi miti durante gli assoli, anche nota per nota se lo riteneva opportuno, ovviamente un dichiarato omaggio al loro genio.
Oltre a far parte di grandi band, all’estremo opposto Konitz amò moltissimo le esibizioni/incisioni in duo. Ne coltivò molte, come quelle contenute nell’album Duets con Jim Hall, Joe Henderson e altri, e tante con gli italiani sovracitati.
Lee Knoitz resterà nella storia come uno dei più talentuosi e prolifici musicisti di sempre, sempre curioso, sempre voglioso di suonare con altri musicisti e altri stili differenti dal proprio.
Un vero “Maestro Zen del Jazz” come lo hanno definito.
Riposa in pace, Maestro.Cover Photo by Schorle – CC BY-SA 4.0
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