Di natali scozzesi, e non inglesi come qualcuno potrebbe pensare, il giovane Ian Anderson arriva con la famiglia nella cittadina di Blackpool, nella contea del Lancashire che affaccia sul mare d’Irlanda, nel 1959. Ha subito le idee chiare sul suo futuro, frequenta infatti dal ’64 al ’66 il Blackpool College of Art in cui matura la sua preparazione artistica.
Definirlo un semplice “frontman” è in effetti arduo. Sul palco è un vero e proprio anfitrione, tanto da portare l’esibizione su confini teatrali. A partire dall’immagine scelta sin dagli inizi, quella del menestrello elisabettiano, un giullare di corte che proviene dalla campagna e porta con sé il suo flauto, quasi un figlio di Pan si potrebbe dire, la divinità dei boschi spesso raffigurata con simile strumento.
Il paragone con alcune divinità non finisce qui, la classica immagine che lo raffigura suonante il flauto su una gamba sola è molto vicina a quella del Krishna induista e del Cocopelli Navajo. Ma è in realtà un caso, scoperto solo successivamente da lui stesso, che invece si sforzò di assumere tale posizione (non senza fatica) dopo una descrizione del genere che fece un giornalista (sbagliando oltretutto).
Anderson è un eccezionale polistrumentista, ma nasce come chitarrista. Se diamo adito alle leggende metropolitane, pare che abbandonò la chitarra elettrica dopo aver visto Eric Clapton in concerto. Non potendo essere così bravo, scambiò la sua chitarra elettrica con un flauto, riportando i dettami rock-blues sul nuovo strumento.
Vero o no che sia, siamo tutti contenti che lo abbia fatto! Pur rimanendo il fatto che a livello compositivo, ha dato moltissimo anche sulla sei corde. Si accompagna spesso infatti con una piccola acustica su cui sviluppa degli accompagnamenti ritmici tutt’altro che facili e scontati (provare per credere!).
Autore di veri e propri capolavori del rock (che non staremo qui a riassumere, dovete avere certi dischi in casa!), nel 2007 ha ricevuto l’onorificenza inglese che lo ha nominato Membro dell’Impero Britannico.
Auguri Ian! Festeggiamo col capolavoro dei Jethro Tull:
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