Il termine cantautore va a definire solo parzialmente la figura di questo artista della musica che con le sue opere ha influenzato più di una generazione.
Nativo della provincia di Catania, ha scelto di spegnersi proprio nel suo territorio di origine, all’ombra di quell’Etna che rappresenta idealmente il suo carattere artistico dal flusso rigoglioso e fertile, ma senza il clamore dei vulcani di natura esplosiva.
Un artista non classificabile
Franco Battiato è stato un musicista difficilmente inquadrabile, col filo conduttore di una lirica costantemente influenzata dai suoi campi di interesse, su tutti la filosofia.
Un carattere poliedrico che ha contribuito a renderlo uno dei personaggi di riferimento della canzone d’autore italiana, volto riconoscibilissimo nonostante una natura prevalentemente riservata che per la maggior parte del tempo lo ha tenuto lontano dalle luci della ribalta.
Non si può dare nessuna etichetta a Battiato, né rinchiuderlo in un genere musicale, una consuetudine che di fronte a lui è sempre stata così banale e anacronistica, in ogni tempo.
Dal pop di più alto grado fino ad arrivare a sprazzi di cosiddetta musica “colta”, il nostro amato Franco non si è mai precluso nulla, soprattutto non ha mai smesso di pescare dalle sue radici siciliane, con tutte le molteplici influenze antiche del caso (…da oriente a occidente…), pur ricercando sempre l’innovazione, sia a livello compositivo che a livello strumentale.
Lo si poteva trovare davanti a un pianoforte, con un violino in mano o davanti a un sintetizzatore, analogico prima e digitale poi, sempre però con la stessa attitudine ed ispirazione, mai rinunciando a una nuova possibilità creativa.
Se c’è qualcosa da cui forse Battiato ha preso le distanze non sono che gli inizi pressoché sconosciuti della sua carriera, presto dimenticati, quando era uno dei molti siciliani emigrati verso la vorticosa Milano, allora e ancora oggi patria del fermento musicale italiano.
Siamo nei primissimi anni ’70 e solo brevemente tenta di assoggettarsi alle logiche del tipico “cantante italiano” nel senso più medio del termine.
Abbandonerà presto quelle strade per aprire un ben più ampio panorama di assoluta e fervida genialità, dando luogo ad alcuni dei dischi più importanti pubblicati nel nostro Paese duranti gli anni ’70.
Stiamo parlando di pietre miliari della sperimentazione come quello di debutto, Fetus, così come Pollution uscito nello stesso anno (1972) e frutto della stessa spinta creativa. Sfornerà quasi un disco ogni anno sotto l’etichetta Bla Bla, una realtà indipendente con la sede nella famosa Galleria milanese.
Escono così Sulle Corde di Aries, Clic e M.elle le Gladiator. Il suo impegno discografico si ferma a questo punto per un anno, a causa della chiusura della stessa etichetta indipendente, ma oramai Battiato è già un nome che pesa negli ambienti artistici italiani e sarà la Dischi Ricordi a non farsi scappare l’occasione di averlo tra le sue fila.
Il primo album pubblicato per questo editore porta il suo stesso cognome come titolo, Battiato (1977), ed ha solo due tracce (“Zà” e “Café – Table – Musik”) di circa 20 minuti l’una, ognuna occupante in pratica un lato del 33 giri.
Anche in questo caso l’artista compone in piena libertà: il primo brano è praticamente composto quasi da un solo accordo su pianoforte, il secondo è un insieme di frammenti musicali, come già aveva fatto in passato, con un titolo ispirato alle parole di Marcel Proust.
La EMI e l’ingresso in tutte le case degli italiani
Passano due anni e due dischi (Juke Box e L’Egitto Prima delle Sabbie) e c’è un ulteriore grande cambiamento nella vita artistica di Battiato, che viene ingaggiato dal colosso discografico EMI.
Siamo finalmente arrivati al periodo più conosciuto alle masse di questo autore, ma non per questo meno avvincente, anzi…
Negli anni che seguono, che sfociano nei ruggenti ’80, arrivano gli album impressi nella storia, sia dell’autore che della musica italiana: parliamo ad esempio di L’Era del Cinghiale Bianco (1979) e de La Voce del Padrone (1981).
Sarà soprattutto il secondo che lo porterà nelle case di tutti gli italiani, anche di quelle famiglie per le quali il messaggio dei dischi precedenti era troppo sofisticato e di nicchia.
Ci sono le hit orecchiabili, come “Bandiera Bianca”, “Cuccurucucù” e il classico dei classici “Centro di gravità permanente”. Ma se è vero che le melodie diventano accattivanti al primo ascolto per l’orecchio (come lo era già la title track del disco del ’79), i messaggi inseriti nei testi non perdono un briciolo della magia dell’artista, che non a caso abbiamo definito non solo musicista, ma anche filosofo.
Si potrebbe aggiungere scrittore, poeta.
Il disco successivo, L’Arca di Noé, non è da meno, contiene brani come “Radio Varsavia” e soprattutto quella “Voglio vederti danzare” amata dalle radio ieri come oggi.
Scorrere e citare tutta la discografia sarebbe un’impresa titanica che potrebbe anche diventare a questo punto troppo nozionistica, rischierebbe di avere il sapore di un elenco della spesa svilente per l’autore, proprio oggi che lo stomaco ci brucia per la sua scomparsa.
Certo non si può non ricordare ancora una volta la sua capacità di rinnovarsi e ambire ai suoni moderni (Gommalacca, 1998) e la sua maestrìa nel saper scrivere dei veri e propri capolavori destinati a perdurare nei decenni (“La Cura”, dall’album L’Imboscata del ’96).
Non si temono confronti
Franco Battiato è stato – e sarà sempre – uno dei musicisti di maggiore valore che abbiano calcato il suolo italiano (e non solo) da quando la musica ha iniziato ad essere tramandata prima in forma scritta e poi, per fortuna, anche registrata.
La sua figura non dovrà temere confronti nel futuro su qualsiasi piano la si voglia mettere, popolare o colto che sia.
Battiato è un’artista di quelli che fanno da ponte tra le epoche e gli stili, che mostrano quanto la musica continui ad essere una materia da plasmare in forme infinite.
Grazie, Franco. Grazie, Maestro.
Cover Photo by rabendeviaregia - CC BY 4.0
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