Ma nessuno lo ha citato a mo’ di battuta, che sarebbe stato più che squallido, bensì con quel bieco stupore a voler spezzare l’incredulità, camuffando e annacquando quel profondo senso di instabilità e insicurezza provocato da queste notizie inaspettate.
Tom Petty, un doloroso addio
Ci ha davvero lasciato Tom Petty, e lo ha fatto tenendoci fino all’ultimo minuto col fiato sospeso, con la speranza che le notizie arrivate fossero inattendibili, false, diffuse con la troppa fretta di arrivare per primi sullo scoop rispetto agli altri media.
E in effetti un po’ così è stato quando due importanti organi di stampa americani hanno comunicato la sua morte, nelle ore in cui era ancora in ospedale e i medici non si erano pronunciati ufficialmente. Il suo stesso management aveva inizialmente smentito la notizia.
È bastata qualche ora in più per dissipare ogni dubbio, quando oramai gli aggiornamenti sulla morte celebrale e lo spegnimento delle macchine che lo tenevano in vita artificialmente si stavano rivelando veritieri.
Infine, l’annuncio della famiglia. 66 anni e solo pochi giorni prima sul palco per 3 concerti in California.
Addio Tom.
Il cordoglio per la morte di Tom Petty
Non sono mancati immediatamente i commenti dei suoi colleghi e stupisce-ma-non-stupisce che il silenzioso Bob Dylan abbia stavolta espresso velocemente il suo cordoglio: “era un grande performer, pieno di luce, un amico, non lo dimenticherò“.
Dylan è sempre stato uno dei riferimenti artistici principali di Tom Petty e tra i due era intercorsa una stretta collaborazione, nonché amicizia, testimoniata da brani come “Band of the Hand” del 1986 e da live condivisi insieme e immortalati anch’essi in svariati bootleg.
Da Sheryl Crow a John Mayer a Sir Paul McCartney e molti altri, tutti hanno scritto parole sentite e vicinanza ai familiari dell’artista e ancora in queste ore si accavallano dichiarazioni da ogni parte per un musicista che è stato davvero uno dei “grandi” del rock e del cantautorato americano.
Tom Petty, un’eredità musicale meravigliosa
Lungi dal voler ora ripercorrere biograficamente la sua vita umana e artistica, per la quale certo non mancano le fonti a disposizione in rete, il nostro pensiero vuole andare all’album che forse più di tutti cambiò la sua vita, Damn the Torpedoes del 1979.
Quel suono, un po’ Stones, un po’ E-Street Band, un po’ Byrds, ma tutto miscelato con una naturalezza tale che ogni confronto viene trasformato in uno stile per il quale Petty sarà riconosciuto per decenni. Quel suono, registrato tra i Cherooke Studios di Hollywood e i mitici Sound City Studios, che regalavano quella misteriosa magia analogica ad ogni incisione.
Ma come diceva Frank Zappa, “parlare di musica è come ballare di architettura“.
Quindi il miglior modo per ricordare Tom, oggi e nel futuro, è quello di continuare ad ascoltare la sua musica.
“Refugee” è il brano che apriva l’album che abbiamo appena citato.
Goodbye Tom
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