HomeMusica e CulturaArtisti - PerformanceAqualung dei Jethro Tull, la sezione ritmica isolata

Aqualung dei Jethro Tull, la sezione ritmica isolata

"TA NA-NA-NA-NAAA-NA", questo è il verso onomatopeico che ha esclamato chiunque abbia proposto di suonare questa canzone alla sua band!

1971. I Jethro Tull sono già famosi, costituiscono una delle punte di diamante della musica inglese e il loro stile è davvero unico.
Colorano il blues con pennellate bucolico-medievali, tradizionali delle loro terre, ma sono capaci anche di splendide ballate, il tutto spingendosi man mano (progressivamente se volessimo fare un gioco di parole) verso quel rock sinfonico tanto in voga, senza però perdersi mai in esagerate complicazioni, rimanendo sempre ben aggrappati alle loro radici (c’è chi dice, in effetti, che non furono mai una band veramente progressive).
Svetta su tutto quell’istrione di Ian Anderson, con il suo flauto che già stava generando decine di proseliti (o veri propri cloni) in tutto il mondo. Un vero menestrello incantatore.

Ma, d’altronde, nonostante l’ottima produzione discografica (Stand Up su tutti a parere di chi scrive), mancava il disco della consacrazione. Ed eccolo arrivare, Aqualung.

Aqualung

La grafica interna dell’album

Il nome deriva da quello di un respiratore artificiale subacqueo sviluppato da Jacques Cousteau e Emile Gagnan nel 1943, che produce un rumore simile, secondo Anderson, al rantolo di un barbone (sì, dovete avere la sua fantasia per immaginarvelo, non è semplice…).
Ed è un barbone chiuso nel suo cappotto, infatti, quello raffigurato in copertina. Così simile al personaggio interpretato sul palco dal cantante.

La situazione nei testi però si complica e si discosta molto (per fortuna) dalla personalità del frontman : il barbone è un vero rifiuto della società, addirittura un pedofilo, che ha fallito nella vita e non riesce a prendersela con se stesso, rivolgendo così le proprie imprecazioni a Dio.
Ovviamente, senza giustificare le azioni del soggetto, la critica negativa alla società resta comunque fortissima in tutto l’album.

Il brano, al contrario, è un Capolavoro di quelli con la C maiuscola. Due le facce che lo compongono: la dolcezza acustica della voce di Anderson che si poggia delicatamente sul sottofondo della chitarra di accompagnamento; l’irruenza elettrica della band sin dall’inizio, da quel riff entrato nella storia del rock.

In tutto ciò, il ruolo della sezione ritmica non è affatto marginale. La batteria di Clive Bunker e il basso di Jeffrey Hammond (all’occorrenza anche lui al flauto dolce) restano le solidissime fondamenta su cui si poggia tutto il resto, dalle melodie vocali agli assoli, tra cui quello famoso di chitarra di un ispiratissimo Martin Barre.

Quindi, cari batteristi e bassisti amanti del rock, ora non avete più scuse, il piatto è servito!

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