Durante gli anni ’80, decade d’oro per la chitarra in cui tantissimi storici guitar heroes hanno iniziato la loro carriera, muovevo i primi passi nel mondo della musica e divoravo qualunque rivista parlasse di musica e di chitarra.
Ricordo molto bene il nome di Alex Masi, probabilmente l’unico chitarrista italiano a cui all’epoca si fossero aperte le porte dell’Olimpo della chitarra mondiale, gli Stati Uniti.
Seguivo sempre con interesse le notizie che arrivavano in merito a questo artista nostrano ed ero orgoglioso che un nostro conterraneo avesse raggiunto un tale livello di fama a livello internazionale. Si sa, in Italia c’è una marcata esterofilia che favorisce chiunque provenga da altri paesi, per questo il profilo di Alex non è mai stato promosso a dovere rispetto ai colleghi d’oltreoceano, però ciò non significa che la sua carriera non sia stata fortunata, anzi…
Uno dei marchi per cui ho organizzato dei clinic tour è Music Man, marchio di cui Alex Masi è endorser, perciò mi fu proposto il suo nome dal marchio stesso. Ero molto curioso di poter conoscere Alex, di sapere tutto ciò che qui in Italia non era mai stato trattato in merito alla sua attività musicale, perciò, dopo aver pianificato una settimana di clinic in giro per l’Italia, non mi restava che attendere il suo arrivo.
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Alex è un personaggio schivo ma molto schietto, non nasconde ciò che è e ciò che pensa solo per compiacere chi ha davanti, perciò è sempre molto interessante sentire ciò che ha da raccontare.
L’inizio della sua carriera è avvenuto in Italia, infatti Alex aveva formato la sua band, i Dark Lord, nei primi anni 80. Nel frattempo registrava dei suoi demo tape, con quello che la tecnologia forniva all’epoca, per poi imbustarli e spedirli in giro per il mondo a varie etichette e riviste, nella speranza di poter essere notato da qualcuno al di fuori del nostro paese.
Si sa, molto spesso per riuscire è necessario che vari elementi si incastrino perfettamente e, nel caso di Alex, il successo mondiale ottenuto da Yngwie Malmsteen in quegli anni aveva decisamente spostato i riflettori sulla figura del chitarrista europeo che sfondava negli States.
Per questo motivo un produttore americano aveva risposto ad Alex proponendogli di volare a Los Angeles dove era già stata approntata una band per lui ed esisteva già un preciso progetto discografico che l’avrebbe inserito in un mondo di cui fino ad allora aveva solo letto sulle riviste di musica.
Allora non c’erano email, non c’era internet su cui cercare informazioni su chiunque, c’era solo il telefono fisso la la cara vecchia carta da lettere. Per questo motivo Alex era partito all’avventura senza avere tutti gli elementi che oggi potremmo procurarci per garantirci la serietà di un progetto o di una persona, però quello era il famoso treno (in quel caso un aereo) che passa una sola volta nella vita.
Una volta arrivato a destinazione Alex era stato catapultato in un’altra dimensione! Quello era il “real deal”, non era il mondo degli wannabe, stava entrando nel mondo di quelli veri, perciò era estremamente eccitato. Le promesse fatte prima della partenza erano state mantenute, perciò c’era già la sua band ad attenderlo ed aveva iniziato immediatamente a lavorare sul suo primo album prima ancora di disfare la valigia.
Allora arrivavano in Italia notizie frammentarie dell’attività della band Masi, ma la realtà era che Alex si era guadagnato da subito l’attenzione e la stima del mondo chitarristico mondiale. Alex aveva potuto da subito notare le sensibili differenze con l’Italia in termini di professionalità e concretezza, elemento che non ha mai smesso di fargli preferire senza alcun dubbio l’ambiente lavorativo americano.
Non si tratta di esterofilia, semplicemente Alex aveva da subito intuito quanto la professione del musicista negli USA fosse considerata e rispettata, a differenza purtroppo den nostro paese in cui ancora oggi si stanca a definire un lavoro il fatto di suonare uno strumento musicale.
Qualche anno fa avevo letto una sua massima che non lascia spazio all’interpretazione: “in Italia anche la mediocrità viene raggiunta con approssimazione“, frase che suona sicuramente dura, ma che scaturisce da un’esperienza personale su cui è spesso difficile portare elementi che la contraddicano.
Essendo parte della comunità chitarristica statunitense, Alex era entrato in contatto con moltissimi colleghi di fama, tra questi Shawn Lane era sicuramente uno di quelli a cui era più legato. Vedeva in lui un talento straordinario, un’ispirazione che si trova in pochi musicisti al mondo.
Come spesso accade nel mondo dell’arte, il genio a volte genera incomprensione, porta all’impossibilita di rapportarsi con la maggior parte delle persone sullo stesso livello percettivo, perciò tanto la musica di Shawn lo portava a creare qualcosa di mai visto prima, tanto nella vita personale aveva iniziato a distruggersi fino ad arrivare alla sua prematura morte.
Alex lo ricorda ancora come uno dei più grandi chitarristi mai esistiti e si ritiene molto fortunato nell’averlo conosciuto personalmente.
Un’altra sua grande influenza musicale è stata rappresentata dalla musica e dalla filosofia Indiana. Il primo suo approccio a questa influenza era avvenuto con George Harrison all’epoca di brani come “Within You, Without You” dei Beatles, ma poi la sua ricerca era stata approfondita con il materiale di John McLaughlin e della sua Mahavishnu Orchestra verso la fine degli anni ’70. Questo ha portato Alex a comporre secondo questa grande ispirazione ed anche a collaborare con vari musicisti Indiani.
Ma veniamo alle nostre clinic, argomento centrale di questo articolo.
Alex è un musicista molto ispirato, non è un gear geek, perciò le sue richieste erano state molto semplici: una Music Man Silhouette di backup e un amplificatore combo a valvole intorno ai 30/50 watt, poi lui avrebbe portato qualche pedale.
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Avevamo portato con noi un Laney LC50 a cui Alex collegava un compressore Boss CS-3 e un distorsore Radial Tone Bone, oltre a ciò usava un delay Line6 DL4 (che usava anche come looper) nel loop effetti.
La chitarra che aveva portato era una Music Man Silhouette con una configurazione pick up HSH e tremolo sigle locking, caratteristica che Alex ama perché permette alle corde di avere più risonanza, non essendo strette da un locking nut. L’action era bassissima, una delle più basse che abbia mai visto, perché in questo modo lo strumento risultava più morbido e veloce da suonare. La scalatura delle corde ErnieBall era .008.
Nonostante Alex abbia all’attivo svariati album prettamente chitarristici, preferiva suonare anche brani di altri musicisti durante le sue clinic, i fatti spesso amava eseguire materiale di Jeff Beck, che comunque alternava a brani originali, spesso dal sapore indiano, frutto delle sue sperimentazioni con questa influenza.
Alex non ama preparare un percorso didattico preciso per questi eventi, preferisce il discorso si evolva spontaneamente in base alle domande dei presenti, per questo ogni volta gli argomenti toccati potevano essere molto diversi tra loro.
Alex ha una grande tecnica solistica che gli permette di muoversi con grande agio su vari territori musicali, inoltre le sue influenze rendono le sue composizioni molto interessanti. Era sempre molto disponibile nel raccontare qualunque aneddoto e nel dare qualunque informazione la gente gli chiedesse, per questo a volte era abbastanza stupito dal fatto che i presenti non avessero particolari curiosità in merito ad un mondo musicale, quello statunitense, che non conoscevano per nulla se non tramite articoli di giornale.
Alex era lì pronto a spiegare come le cose funzionano veramente, pronto a mettere la sua esperienza a disposizione di tutti, ma non sempre le domande che gli venivano poste dimostravano di voler cogliere questa opportunità.
Devo dire che in tantissimi clinic tour che ho fatto con altrettanti artisti spesso ho assistito a domande quasi imbarazzanti per la loro ovvietà o per la loro estraneità al contesto. Gente come Paul Gilbert ha addirittura smesso di affrontare il momento Q&A per come è sempre stato concepito, infatti preferisce trattare tra una performance e l’altra degli argomenti selezionati da lui per essere certo di trasmettere determinati concetti, sicuramente più importanti della classica domanda “quando hai iniziato a suonare?“. Oppure “cosa pensi di questo o quest’altro chitarrista?“.
Alex torna regolarmente in Italia a trovare la sua famiglia e, in queste occasioni, spesso tiene dei concerti o delle masterclass, ma rimane il fatto che la sua vita sia musicale che personale è a Los Angeles, città che da quando vi ha messo piede continua a permettergli di vivere facendo il chitarrista.
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