Esattamente due mesi dopo viene girato il primo esempio di promozione musicale in video, ciò che poi negli anni si evolverà nel videoclip musicale vero e proprio. Dylan mostra così un nuovo modo di comunicare attraverso i media e lo stile è quantomeno singolare: mentre la canzone scorre, Bob Dylan mostra una serie di fogli su cui sono scritte poche e simboliche parole.
Le parole sono l’opera di Allan Ginsberg, Donovan, Bob Neuwirth e Dylan stesso.
Il video non nasce come opera a sé stante, è infatti una clip ritagliata dal film-documentario Dont Look Back di D.A. Pennebaker, che verrà alla luce solo due anni dopo. Il film viene prodotto dallo stesso manager di Dylan e si basa sul tour che l’artista tiene in Inghilterra nel ’65.
Nei testi che scorrono ci sono giochi di parole e contrasti volontari rispetto al testo della canzone, come nel caso del verso “eleven dollar bills” mentre sul foglio è scritto “20 dollar bills“.
La canzone è potpourri di influenze esterne a Dylan, prese da Jack Kerouac, Woody Guthrie e Pete Seeger (e la loro “Taking it Easy”), nonché da Chuck Berry e dal tipo di improvvisazione vocale scat degli anni ’40, come ammesso dallo stesso musicista. Le parole diventano uno dei simboli della cultura giovanile del tempo, anche per le allusioni alla lotta per i diritti civili.
La critica al cosiddetto “sogno americano” è fortissima e qui Dylan non offre alternative da controcultura, ma quasi invita a “galleggiare” su un mondo che sta andando a rotoli.
E, per ultimo ma non meno importante, è qui che Bob inizia a mostrare la sua nuova anima elettrica e non più solo acustica-folk, il che sappiamo non sarà un’evoluzione indolore, ma oggi possiamo dirlo a piena voce, straordinaria.
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